Dopo due mesi dall’alluvione del 16 e 17 maggio abbiamo fatto un giro di interviste per dare una fotografia aggiornata della situazione di ogni frutteto colpito. Complessivamente emerge un quadro un po’ più positivo rispetto a quanto ci si potesse aspettare inizialmente.
Un giro di voci
«Non è la priva volta che ci troviamo a dover gestire dei terreni alluvionati. La vera particolarità, invece, è il consistente deposito limoso-argilloso (o sabbioso nella migliore delle ipotesi) tra i 2 e i 50 cm rimasto sui campi» commenta Ugo Palara, direttore tecnico di Agrintesa.
«Le implicazioni della presenza di questi depositi sono diverse.
- Gestione del deposito stesso: lavorarlo o rimuoverlo? Ipotizzando uno strato di 10 cm, significa che in un solo ettaro ci sono 1000 m3 di materiale;
- Ripristino del piano di campagna, con costi di lavorazione importanti;
- Valutazione dell’influenza del contenuto di argilla e limo sulla qualità del terreno;
- Ripristino del sistema di drenaggio e scolo attorno ai campi;
Per quanto riguarda le piante, si è verificata la morte per asfissia solo in condizioni di acqua stagnante per otto giorni. Dove l’acqua ha raggiunto i 1,5-2 m le foglie sono completamente bruciate. Pesche e nettarine stanno provando a rifare le foglie attingendo alle sostanze di riserva, ma non è detto che riescano a ricostituirsi del tutto. Certezze sulla sopravvivenza delle piante non ci sono a oggi. Molto dipende anche dal decorso della stagione estiva quando le piante dovranno affrontare lo stress termico.
Certo è che di frutta (drupacee in particolare) ce ne sarà poca. Abbiamo iniziato la stagione con seri danni da gelata tardiva, poi è arrivata l’alluvione. Le piante si trovano in condizioni di scarsa efficienza fisiologica, sia per i danni stessi dell’inondazione sia perché non è stato possibile entrare in campo per eseguire una gestione ottimale. Per cui non siamo sicuri di riuscire neanche a portare a casa quel 20-40% di produzione che si era salvata dal freddo.
Detto questo, ci sono anche impianti completamente sradicati, c’è chi ha avuto l’acqua a due metri nelle strutture, macchine e attrezzature sommerse. In questi casi, tra gli impianti da rifare da zero e le spese per i terzisti, i costi di ripristino aumentano notevolmente. Non sorprende che possa mancare la voglia di ricominciare, specialmente tenendo conto dell’età media degli imprenditori agricoli.
Tutto si può ricostruire, ma è necessario che le Istituzioni eroghino in fretta dei finanziamenti. È impensabile ripartire pescando esclusivamente dalle proprie tasche. Purtroppo, il rischio di rimanere intrappolati nelle maglie burocratiche è altissimo».
«L’alluvione in Emilia-Romagna ha provocato danni sui terreni di 350 degli oltre mille produttori soci, 800 gli ettari di frutteti coinvolti – ha scritto nell’editoriale di Terra e Vita, il direttore di ApoFruit Ernesto Fornari -. Significa circa 150mila quintali di prodotto in meno rispetto alla norma. Circa il 30-40% di questi impianti potrebbe essere compromesso del tutto. Ma anche nel resto d’Italia i danni provocati alle colture dagli eventi climatici avversi sono ingenti.»
«Davanti a una situazione del genere alcune aziende, soprattutto le più piccole, chiuderanno. Come cooperativa abbiamo messo in campo misure straordinarie per supportare i nostri soci:
- un acconto pari al 90% del totale, di tutte le produzioni invernali,
- un anticipo della liquidità di circa un mese e mezzo rispetto alla norma per un valore di 5 milioni di euro.
Anche per tutto il 2023 gli acconti sui conferimenti per i soci colpiti dall’alluvione saranno del 90%, anziché del 60/70%. Inoltre, per chi ha subito danni irreparabili agli impianti e nel 2024 ne realizzerà di nuovi dotati di protezioni contro grandine e gelo-brina, abbiamo stanziato due milioni per concedere un contributo del 25% a fondo perduto sull’investimento a carico del produttore (già coperto al 50% da fondi Ocm), oppure un prestito a condizioni agevolate per il 50% a suo carico. Ma avremmo bisogno di azioni eccezionali per ridare fiducia ai nostri produttori come la dichiarazione di “zona svantaggiata” per tre o cinque anni, che permetterebbe di avere un’importante riduzione del carico fiscale sulla manodopera».
«L’alluvione di maggio – commenta Giancarlo Minguzzi, presidente Fruitimprese Emilia-Romagna e di Op Minguzzi di Alfonsine (Ravenna) – ha danneggiato le radici degli alberi da frutto rimasti troppo a lungo sott’acqua: valutiamo una perdita di oltre 100 ettari di frutteti solo per la nostra Op».
Ancora più importanti le ripercussioni sui vivai dove le piante sono giovani.
«I danni dell’alluvione sono importanti, ma siamo (dobbiamo esserlo) positivi e ripartiamo: oltre trent’anni d’esperienza nel settore vivaistico servono a qualcosa.» Così parla Daniele Neri di Daniele Neri vivai (Ravenna). Il vivaio a San Michele di Ravenna è stato coinvolto in pieno: l’acqua è arrivata a 1 m e le piante sono rimaste sommerse per 5 giorni.
«Complessivamente abbiamo perso 150 mila astoni di pesco e susino che erano già pronti per novembre e dicembre e 100mila portinnesti. Stimiamo un danno economico di circa 1 milione di euro. Capannoni e attrezzature per fortuna si sono salvati. Dieci ettari di vivaio hanno un valore importante, spero che lo Stato riconosca i danni, anche se si sa che non è così semplice. Nel frattempo non possiamo fare altro che ripartire, abbiamo sistemato i terreni – per fortuna avevamo pochissimo deposito – e stiamo iniziando a ripiantare. Spero che un evento di questa portata non si verifichi più e spero anche che abbiamo insegnato qualcosa, specialmente sul fronte della gestione del territorio e dei corsi d’acqua. Non si poteva certo evitare l’alluvione, ma alcuni danni forse sì, come per esempio l’effetto diga di alberi e arbusti sradicati dai fiumi che hanno impedito all’acqua di scorrere».
«Il nostro vivaio è stato coinvolto dall’esondazione del Savio – ci racconta Marcello Sbrighi di Coviro (Cervia). - L’acqua, dopo aver attraversato le saline di Cervia, è arrivata ai campi di fragole e asparagi e lì c’è rimasta per una settimana a un livello di 50 cm. Gli 8 ettari di asparagi tutto sommato hanno resistito abbastanza bene, ci aspettiamo comunque un calo delle rese del 15-20% ma almeno la produzione di piante non è andata completamente distrutta. Non è andata altrettanto bene per le piante di fragola, che sono molto più sensibili alla salinità. Abbiamo dovuto estirpare e ripiantare due ettari e mezzo mentre in altri 4 le piante sono sopravvissute. Notiamo comunque un rallentamento della crescita anche in quelle da poco trapiantate. Purtroppo, prima di riuscire a bonificare il suolo dal sale ci vorrà del tempo. Oltre ai danni diretti avremo sicuramenti dei forti ritardi nella produzione delle piante, considerando che abbiamo potuto completare i trapianti solo nel mese di giugno».
Le prime considerazioni operative dopo l’alluvione
Quando l’acqua si è ritirata dai campi, due sono stati gli interrogativi che hanno accomunato frutticoltori e tecnici: come gestire le piante e il suolo. Già dalla settimana successiva all’alluvione, ricercatori esperti di tematiche agronomiche, fisiologiche e del suolo del dipartimento di agraria di Bologna, tecnici Ri.Nova, funzionari regionali e cooperative agricole si sono riuniti per cercare di dare indicazioni agli agricoltori sulle azioni più corrette da mettere in campo.
A tal proposito Ri.Nova ha predisposto un documento per fornire indicazioni operative agli imprenditori agricoli. Questo viene viene aggiornato in base all’evoluzione della situazione monitorata anche grazie ai sopralluoghi eseguiti dai tecnici I.Ter, Agrintesa e Granfrutta Zani presso alcune aziende della zona tra Faenza, Reda, Bagnacavallo e Convetello (Ravenna).
Scarica la guida per la gestione dei terreni alluvionati
Carla Scotti, di I.Ter, ci aggiorna sulle osservazioni fatte di recente: «Dopo i primi due sopralluoghi di fine maggio, abbiamo deciso di proseguire nella raccolta dei dati insieme ai tecnici delle varie Op per monitorare l’evoluzione della situazione. Abbiamo pertanto continuato a visitare zone che sono state interessate in maniera diversificata dall’alluvione, nel senso di zone che sono state allagate per periodi diversi in termini di ore e livello di sommersione. Per il momento ci siamo concentrati prevalentemente sulle colture arboree da frutto (pesco, albicocco, melo, kiwi, vite ecc.) perché è proprio su queste piante che ora può fare la differenza dare un’indicazione tempestiva sulle tecniche di gestione del suolo e della pianta. Poi ad agosto, quando si inizierà a pensare le lavorazioni dei seminativi, ci occuperemo anche del resto.
Osservando i diversi depositi di fango con spessori diversificati, da 1 cm fino a 20 o 30 cm, ci siamo accorti che il fango finché bagnato, ovviamente, ha degli spessori importanti, poi mentre si secca lo spessore si può ridurre di oltre la metà e questo è importante perché in base allo spessore gli agricoltori decidono le tecniche di incorporamento più adatte.
Dalle analisi eseguite si è visto che hanno un contenuto discretamente buono di sostanza organica e azoto, mentre c’è poco fosforo e poco potassio. La tessitura è molto variabile a seconda della posizione rispetto al punto di rottura del fiume: nelle vicinanze è facile trovare un elevata percentuale di sabbia, ghiaia e detriti, mentre allontanandosi il sedimento è caratterizzato da argilla. Anche la composizione del sedimento influisce sulla scelta delle tecniche di gestione.
I rilievi hanno evidenziato anche una condizione del terreno sottostante abbastanza buona, in particolare, persino nei campi dove l’acqua è defluita solo dopo 4-5 giorni, il suolo in profondità non si è saturato d’acqua. Sembrerebbe quindi che le radici delle piante nel suolo originario non abbiano avuto condizioni di carenze di ossigeno, come invece avvenuto all’interno del sedimento. Nell’unico sito monitorato in cui si è verificata una moria delle piante c’è stato un problema di falda; quindi, non è stata tanto l’acqua della sommersione, ma quanto la falda che si è rialzata che ha allagato le piante.
Quindi per adesso diciamo che sembra che le condizioni di salute del suolo e delle piante non siano così compromesse. Ma occorre comunque essere molto cauti nelle valutazioni, vediamo anche come risponderanno le piante al calore estivo.
Detto questo c’è però un aspetto che ci tengo a sottolineare: anche se le ripercussioni sulla pianta non sono così compromettenti, gli impianti sicuramente hanno subito un danno importante dal punto di vista della sistemazione del suolo, quindi sulla baulatura, sui fossi, sugli scoli ecc. Gli agricoltori stanno lavorando molto per capire come incorporare questi sedimenti a seconda del contesto, nella considerazione che lavorare il terreno con le piante in campo è molto più complesso.
In un’azienda vicino a Boncellino la lavorazione di 20 cm di deposito ha richiesto 5 passate in campo, con tempi e costi aggiuntivi considerevoli. Per questo stiamo cercando di affiancare i produttori nella strategia più idonea. Sconsigliamo di asportare i sedimenti perché è un lavoro immane e inutile, tanto più che le analisi sulla fertilità hanno confermato che non ci sono rischi. Oltre a ripristinare il piano di campagna, è importante ripulire tutto per consentire all’acqua distribuita dagli impianti irrigui di raggiungere la pianta.
Gli agricoltori e i tecnici sono molto operativi e noi, dal lato nostro, vogliamo continuare a condividere le informazioni che abbiamo per dare il massimo supporto a chi non sa come intervenire».
Dopo gli ultimi sopralluoghi sembra emergere un quadro un po’ meno compromesso. Ancora qualche riserva però sull’effettiva ripresa delle piante.
Interventi suggeriti nel frutteto
Gestione dei sedimenti
- In caso di croste inferiori a 1 - 2 cm l’inerbimento nell’interfila è stato preservato.
- Si consiglia di eseguire delle lavorazioni volte ad arieggiare il suolo e che preservino l’inerbimento.
- Per il sottofila si consiglia di evitare lavorazioni al fine di preservare l’apparato radicale ed evitare la rottura dei capillizzi che potrebbero determinare ulteriori stress alla pianta.
- Si auspica che l’irrigazione possa infiltrarsi tra le crepe delle croste e inumidire le croste stesse. I tecnici faranno prove di irrigazione monitorando il ruscellamento e/o assorbimento dell’acqua al fine di valutare la necessità o meno di intervenire nel sottofila con lavorazioni superficiali.
- In caso di croste da 3 a 20 cm, l’inerbimento nell’interfila è stato completamente schiacciato e coperto dal fango alluvionale.
- Si consiglia di eseguire lavorazioni superficiali con profondità (se possibile) doppia allo spessore del sedimento al fine di incorporarlo nel suolo. Il sedimento deve essere in condizioni di tempera: se troppo umido è una “poltiglia”, se troppo secco può essere duro e difficilmente lavorabile.
- Importante monitorare lo stato di umidità e decidere quando intervenire. Nei filari molto lunghi le condizioni di umidità dei suoli non sono omogenee (più umidi verso lo scolo delle acque) e potrebbe essere difficile raggiungere le condizioni di tempera in tutta la lunghezza; pertanto si invita l’agricoltore a individuare il momento maggiormente idoneo di umidità in funzione della propria esperienza.
- Gli agricoltori stanno inoltre individuando le tipologie di lavorazioni al fine di incorporare i depositi alluvionali recenti nel suolo in relazione alle attrezzature in loro possesso (es. dal trinciazolle sull’ interfila o il giroterra, ai dischi nel sottofila o il girorami in assenza di baulatura e spessore non troppo elevato della crosta).
- Si evidenzia, inoltre, come si stia cercando di monitorare le tecniche e i tempi di ripristino della sistemazione degli appezzamenti (interramento sedimento; rispristino baulature e pendenza scolo-acque, ripristino dei fossi di scolo ecc.). Nelle zone baulate il maggiore spessore di fango si è depositato nell’interfila. Pertanto, caso per caso, si deve valutare con il tecnico la necessità della lavorazione o meno del sottofila.
- In generale, è consigliabile la lavorazione e l’incorporamento del sedimento anche nel sottofila per favorire l’infiltrazione dell’acqua di irrigazione, migliorare la struttura e favorire l’arieggiamento del suolo.
Osservare sintomi di stress idrico
Le specie frutticole tollerano in modo diverso il ristagno idrico. Il pesco è la specie più sensibile all’asfissia radicale, in particolar modo se franco di piede o innestato su GF677.
Seguono ciliegio su Franco, albicocco su GF677, actinidia, noce, albicocco su 29C, susino su 29C, pero su BA29, melo e pero su Franco. Ad ogni modo, le sensibilità delle specie frutticole al ristagno idrico vengono accentuate nei frutteti giovani, i quali presentano una rapida e attiva crescita dell’apparato radicale, implicando un consumo maggiore di ossigeno e rendendo le piante più sensibili all’anossia.
È necessario poi ragionare sulle diverse situazioni di stress che si possono venire a creare. Ad esempio, un repentino aumento delle temperature nella parte aerea del frutteto può portare ad uno stress per mancanza di acqua necessaria alla traspirazione fogliare, sommandosi all’attuale situazione di asfissia radicale. Per tale motivo, si suggerisce di prendere in considerazione l’applicazione di biostimolanti e nutrienti azotati a livello fogliare per favorire il più possibile l’attività fotosintetica della pianta che permetta di avere energia sufficiente per il ripristino delle funzionalità radicali.
In presenza di ristagno idrico possono comparire ingiallimenti fogliari, interruzione nello sviluppo del frutto, epinastia dell’apparato aereo (ovvero inclinazione di foglie e/o germogli), cascola dei frutti ecc.
Il suggerimento è di lasciare sviluppare il più possibile l’apparato fogliare e favorire l’inerbimento. Dagli studi si stima ad esempio che 1 m2 di foglie di actinidia, possano movimentare attraverso la traspirazione giornaliera fino a 3-4 litri di acqua. Si suggerisce, inoltre, di monitorare la comparsa di ingiallimenti, sintomi da stress idrico e monitorare la crescita del frutto (in presenza di asfissia si potrebbe infatti notare uno stop nello sviluppo del frutto).
Interventi irrigui e fertilizzazioni
Terminate le operazioni di drenaggio, si suggerisce la ripresa graduale degli interventi irrigui, con apporti limitati e frequenti, in modo da non compromettere ulteriormente l’apparato radicale a livello di asfissia, permettendo un corretto assorbimento di acqua e nutrienti. Si suggerisce comunque l’utilizzo di cover crops e sovesci per supportare il mantenimento della fertilità biologica del suolo.
Per quanto riguarda le fertilizzazioni, la Regione ha formulato per le aree coinvolte dall’alluvione le seguenti deroghe valide solo per il 2023.
Fatti salvi i Mas in Zona Vulnerabile Nitrati e il massimale di 170 kg N/ha efficienti da fertilizzanti di origine zootecnica, nelle sole zone con precipitazioni cumulate superiori ai 150 mm, è consentita una integrazione della dose azotata rispetto a quella definita in base al sistema di calcolo adottato in base alle epoche di raccolta delle colture:
- per colture raccolte entro il 10 luglio è consentito un aumento del 20% del quantitativo di N;
- per tutte le altre colture a raccolta successiva al 10 luglio (incluse le arboree) è consentito un aumento del 50% del quantitativo di N.
Tale aumento è giustificato dalla stima di perdita di nutrienti nel terreno a seguito di lisciviazione provocata dalle intensissime precipitazioni.