La frutticoltura italiana ha subito negli ultimi decenni profondi cambiamenti per quanto riguarda gli orientamenti colturali e le tecniche adottate. Specie introdotte negli ultimi decenni (si pensi all’actinidia) si sono ridimensionate a causa di problemi fitopatologici, altre da coltivazioni di nicchia hanno raggiunto superfici significative (si pensi, ad esempio, ai piccoli frutti, al ciliegio e ai frutti tropicali che stanno assumendo una crescente importanza). Altre ancora, come il nocciolo, soprattutto in alcune aree geografiche, anche come conseguenza delle richieste dell’industria dolciaria, si stanno estendendo su ampie superfici. Il quadro fitosanitario delle colture frutticole, pur da sempre meno dinamico rispetto a quello delle colture orto-floricole, si trova oggi in una fase di evoluzione soprattutto in relazione agli effetti del cambiamento climatico. Ovviamente anche la difesa dai parassiti ha subito profondi cambiamenti, come conseguenza delle crescenti restrizioni nello sviluppo e impiego degli agrofarmaci da un lato e, dall’altro, come effetto dei risultati raggiunti dalle ricerche condotte nel campo della difesa integrata. Di seguito ci soffermeremo su aspetti relativi alle problematiche fitopatologiche di alcune di queste colture (melo, drupacee e nocciolo) e ad aspetti che ne caratterizzano la difesa dalle malattie fungine (oidio, ticchiolatura, cancri e marciumi).
Ridotta disponibilità di agrofarmaci per le frutticole minori
Per la loro importanza economica a livello mondiale, le principali colture frutticole hanno sempre potuto disporre di un “arsenale” piuttosto ampio di fungicidi registrati per il contenimento di malattie note. Ciò fa sì che la riduzione del numero di agrofarmaci disponibili sia meno grave rispetto a quanto succede, ad esempio, nel caso delle colture orto-floricole. Problemi di ridotta disponibilità sono, se mai, osservati su frutticole globalmente considerate minori (e cioè nel caso di pero, cotogno, percoche, nettarine, albicocco, ciliegio, mandorlo, susino, limone, mandarino). Oramai da tempo i cosiddetti fruttiferi “minori” soffrono di una più limitata disponibilità di mezzi chimici registrati, in quanto la sperimentazione necessaria per la registrazione è troppo costosa rispetto alla dimensione del loro mercato.
Va comunque segnalato che le norme europee e nazionali per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Dir. 128/2009 Ce, recepite in Italia col Dl 150 del 14/08/2012 ed attuate a partire dal 2014 attraverso il Piano d’azione nazionale - Pan) e per l’immissione in commercio di prodotti fitosanitari (Reg. Ce 1107/09), determinano una progressiva riduzione dei mezzi chimici a disposizione dei frutticoltori e continueranno a modificare la loro disponibilità nei prossimi anni, come già sottolineato recentemente.
Difesa del melo tra ticchiolatura, cancri e marciumi
La ticchiolatura, causata da Venturia inaequalis, rimane la malattia più grave e temuta in tutte le aree di coltivazione, richiedendo un numero elevato di interventi fungicidi nel caso delle varietà sensibili. Va inoltre segnalato che l’uso di varietà resistenti a V. inaequalis ha riportato in auge problemi minori, ad esempio l'oidio, che era normalmente contenuto dagli stessi fungicidi utilizzati contro la ticchiolatura. Per la lotta sono disponibili numerosi principi attivi aventi un diverso meccanismo di azione: tra gli altri captano, ditianon, dodina, fluazinam, pentiopirad, rame, strobilurine, triazoli, nonché miscele a base di boscalid e piraclostrobin. Nel caso degli inibitori della biosintesi dell’ergosterolo (Ibe), noti anche per una buona azione curativa, la revoca di fenbuconazolo, miclobutanil e flutriafol e le limitazioni d’uso imposte per tebuconazolo rendono necessario utilizzare prodotti alternativi. Negli ultimi anni è stato autorizzato l’impiego del fosfonato di potassio, che agisce con azione fungicida e come induttore di resistenza nell’ospite. Anche bicarbonato di potassio e laminarina sono efficaci nel contenere le infezioni primarie di V. inaequalis. Nel caso di questo patogeno, la resistenza nei confronti di alcune classi di fungicidi, pur segnalata da anni, non ha mai causato, nel nostro Paese, problemi pratici significativi: la relativamente buona disponibilità di fungicidi aventi un diverso meccanismo d’azione consente un’adeguata alternanza di principi attivi differenti, riducendo il rischio di problemi di resistenza in campo.
Sempre su melo, sono stati segnalati cancri causati da Neonectria ditissima e disseccamenti provocati da diverse specie appartenenti ai generi Botryosphaeria, Cadophora, Diaporthe, Diplodia, Eutypa, Kalmusia e Paraconiothyrium nei cui confronti è importante adottare corrette pratiche agronomiche e strategie di contenimento per ridurne la diffusione e lo sviluppo di queste malattie. Nell’impostare la difesa da questi agenti di disseccamento va evitato di favorire la comparsa di resistenza, fenomeno già osservato in Cina, ad esempio, nel caso di Botrosphaeria dothidea resistente al tebuconazolo e al carbendazim.
Sempre su melo, numerosi sono i patogeni agenti di marciumi in post-raccolta, la cui presenza e importanza relativa è estremamente variabile a seconda delle annate e delle cultivar. Tra gli altri si ricordano Penicillium expansum, Botrytis cinerea, Alternaria spp. Colletotrichum sp., Monilinia spp., Ramularia mali, Neofabraea alba oltre a specie di Entyloma sp., Gobulevia sp. e Tilletiopsis sp. che, causando la cosiddetta patina bianca, determinano un danno estetico poco gradevole. La difesa dai marciumi in conservazione ormai da anni è sempre meno affidata a trattamenti con fungicidi in post-raccolta, in quanto poco graditi dai consumatori e sempre più basata su sistemi di frigoconservazione avanzati.
Oggigiorno i magazzini più all’avanguardia fanno ricorso all’impiego dell’atmosfera dinamica: quando la cella è completamente riempita, si procede alla chiusura e i parametri dell’ossigeno e dell’anidride carbonica vengono abbassati drasticamente, mediante un processo denominato “pull-down”. Misure di difesa alternative alla lotta chimica, pur altamente auspicabili, basate sull’uso di microrganismi, prodotti cosiddetti naturali come sali, chitosano, oli essenziali e termoterapia sono stati ampiamente indagati come possibili alternative alla difesa chimica. Alcuni microrganismi sono anche stati registrati in alcuni Paesi. Pur potendo essere usati in diversa combinazione, sfruttando la loro azione sinergica per incrementarne l’efficacia contro i marciumi in post-raccolta della frutta, pochi di essi sono utilizzati commercialmente, anche perché l’efficacia è spesso solo parziale e, comunque, poco costante.
La difesa delle drupacee dai marciumi
Il marciume bruno causato da diverse specie appartenenti al genere Monilinia (M. laxa, M. fructigena, M. fructicola) riveste un ruolo di primaria importanza nella produzione delle drupacee. Attraverso la loro spiccata capacità riproduttiva, di adattabilità a diverse condizioni ambientali e una elevata virulenza su diversi ospiti e organi della pianta, questi patogeni rappresentano per i produttori una minaccia da contenere. All’interno di piani di lotta integrata risulta difficile l’esclusione dell’impiego di fungicidi di sintesi. Anche in questo caso assistiamo ad una riduzione di sostanze attive efficaci autorizzate, data l’imminente revoca di diversi Ibe. Ad esempio, la revoca di myclobutanil e la riduzione del numero di applicazioni di tebuconazolo e difenoconazolo, efficaci anche contro la bolla del pesco causata da Taphrina deformans, rappresenta un problema.
Di grande importanza per la protezione dal marciume bruno è il ricorso ad appropriate pratiche colturali per ridurre il potenziale di inoculo. Durante la fioritura e il periodo che precede la maturazione dei frutti, fasi di maggiore suscettibilità alle infezioni, è importante alternare prodotti con diverso meccanismo di azione per evitare la comparsa di resistenza nelle popolazioni di Monilia spp. Nel caso di Monilinia spp. il problema della resistenza ai fungicidi pare da sempre relativamente poco diffuso nel nostro Paese. In alcune regioni, in particolare in Piemonte, albicocco e ciliegio hanno in parte sostituito l’actinidia, dopo gli attacchi di batteriosi.
Le drupacee sono suscettibili a diverse malattie in post-raccolta tra cui, oltre al marciume bruno, i marciumi causati da Botrytis cinerea, Penicillium expansum e Rhizopus stolonifer. L’impossibilità di ricorrere all’uso di mezzi chimici in post-raccolta su drupacee impone una corretta gestione dei marciumi in pre-raccolta con pratiche colturali adeguate, con trattamenti chimici in campo condotti con il rispetto degli intervalli di sicurezza dei prodotti utilizzati e con adeguate condizioni di frigo-conservazione.
Un nuovo oidio per il nocciolo
La superficie coltivata a nocciolo in Italia sta aumentando, con un incremento di circa 20 mila ettari nell’ultimo decennio (Istat, 2020). In alcune regioni, come il Piemonte, questa coltura sta sostituendo la vite, causando anche alcune prese di posizione per l’effetto sul paesaggio.
All'oidio classico nell’area mediterranea, causato da Phyllactinia guttata, da alcuni anni si è affiancato un nuovo oidio, inizialmente osservato in Turchia e poi diffusosi in diversi Paesi del Mediterraneo tra cui Italia e Spagna. L’agente di questo nuovo oidio, che causa danni ingenti, è Erysiphe corylacearum. Il carattere distintivo peculiare rispetto all'oidio da P. guttata, è rappresentato dal fatto che nel caso di questo nuovo patogeno l’efflorescenza biancastra si evidenzia sulla pagina superiore della foglia anziché su quella inferiore; inoltre esso può colpire anche i frutti, con sintomi caratteristici in particolare sulle brattee delle nucule. Sulle foglie dopo la comparsa dell’efflorescenza, nel giro di alcuni giorni si manifesta una evidente bollosità e deformazione del lembo a cui fanno seguito lesioni necrotiche, che portano alla caduta delle foglie stesse. Sui frutti si osserva, inoltre, una serie di difettosità interne alla nocciola come imbrunimenti e/o marcescenze che talvolta si presentano solo nel momento del taglio del gheriglio e che per semplificazione vengono descritte come fenomeno di nocciola “avariata”. Anche nel caso dell’avariato, il principale agente causale è Diaporthe, come già osservato nel Caucaso.
Tra le malattie del legno, il “mal dello stacco” e il disseccamento causati da Cytospora rappresentano una seria preoccupazione per i produttori. Indagini sugli agenti causali hanno rilevato la presenza di diverse specie fungine associate a malattie del legno su nocciolo: Anthostoma decipiens, Botryosphaeria dothidea, Diaporthe eres, D. rudis, Diplodia seriata, D. subglobosa, Dothiorella parva e Nothophoma brennandiae. Tra queste, A. decipiens e D. eres sono risultate le più aggressive.
La complessità della difesa fitosanitaria
Da queste poche righe si evince una maggiore complessità della difesa delle colture frutticole negli anni a venire, nonostante il grande avanzamento della ricerca e la disponibilità di mezzi sofisticati.
Prevenzione diventa la parola d’ordine: nel caso delle colture frutticole questo significa impiego di materiale di propagazione certificato e, quando necessarie, di tecniche di diagnosi rapida. La resistenza genetica è ovviamente interessante per le specie da frutto, dove ha fornito buoni risultati nel caso, ad esempio, della ticchiolatura del melo. Oggi varietà di melo resistenti alla ticchiolatura sono utilizzate, anche se non così frequentemente come ci si potrebbe attendere. Quando ciò avviene, si osserva una riduzione dell’uso di agrofarmaci.
L’atteggiamento negativo verso l’impiego di piante geneticamente modificate ha di fatto ostacolato, in Europa, la ricerca in questo ambito. Ricerca che avrebbe permesso di sviluppare varietà resistenti ai patogeni più importanti in colture di rilevante interesse per l’agricoltura europea. La titubanza ad autorizzare in Europa l’impiego di piante derivanti dalle cosiddette tecniche di evoluzione assistita in agricoltura non genera certo ottimismo. Della relativamente minore disponibilità di mezzi chimici si è già detto.
Va comunque ricordato che le nuove molecole ad azione fungicida hanno caratteristiche del tutto innovative: efficacia a dosaggi ridotti, formulazioni innovative, meccanismi di azione sofisticati caratterizzano gli agrofarmaci di ultima generazione. Metodologie nuove, che si avvalgono anche dell’impiego di robot, utilizzate per sintesi e sviluppo, restrizioni severe per la loro registrazione, da un lato li rendono merce sempre più rara e, dall’altro, garantiscono la loro sicurezza, oltre che, ovviamente, l’elevata efficacia.
Negli anni a venire è quindi prevedibile la disponibilità di agrofarmaci per le colture più importanti, mentre sempre più “scoperte” saranno quelle cosiddette minori, ma di grande importanza per l’agricoltura italiana e mediterranea. Proprio su queste colture potrebbero trovare spazi i prodotti cosiddetti alternativi (microrganismi, sali, oli ecc.) che, in assenza di mezzi chimici, potrebbero essere interessanti.
Sarà importante acquisire una maggiore indipendenza dal mondo della grande distribuzione che negli ultimi decenni ha condizionato, non sempre su basi scientifiche, la scelta delle strategie di difesa adottate in campo. Un più corretto rapporto con la grande distribuzione potrebbe, al contrario, rendere più edotto il consumatore sui non pochi problemi fitopatologici che vanno affrontati per commercializzare prodotti sani e sicuri. E, con l’aiuto della grande distribuzione, sarebbe utile fare conoscere al pubblico la salubrità e sicurezza dei prodotti italiani.
Il sistema universitario dovrà essere in grado di formare tecnici preparati, ma anche di aggiornare quelli già presenti sul territorio, per rispondere alla velocità dell’innovazione.
Per finire, ci si augura che in futuro le politiche agricole, incluse quelle che riguardano gli aspetti fitosanitari delle colture, sempre più importanti in un mondo globalizzato, vengano gestite con il supporto di tecnici che bene conoscono le problematiche dell’agricoltura, capaci quindi di tutelare il lavoro dei nostri agricoltori e di comprendere la ricerca necessaria per rendere le aziende più competitive.