Consumi in Italia e in Europa
La pericoltura europea ha goduto negli ultimi anni di una stabilità di mercato relativamente maggiore rispetto alle altre principali specie frutticole, comprese quelle caratterizzate da analoghi livelli di conservabilità e, dunque, potenzialmente meno esposte alle crisi di mercato, come le mele. Ciononostante, nell'ultimo periodo la crisi generalizzata che sta colpendo il comparto frutticolo non ha risparmiato neppure la pera e, tra le principali cause di tale situazione, va certamente annoverato lo stato dei consumi nei tradizionali mercati europei. La diminuzione dei consumi di pere è piuttosto evidente sia a livello europeo, in termini di consumo apparente, sia in termini di acquisti di prodotto fresco da parte delle famiglie italiane. In particolare, relativamente alla dinamica del consumo apparente, l'Ue nel suo complesso registra una contrazione di oltre 500.000 t dal confronto fra il triennio 2010-12 ed il triennio 2004-06 (Fig. 1). Con riferimento ai principali Paesi produttori e consumatori, la flessione appare generalizzata, con le uniche eccezione di Germania e Paesi Bassi che, in controtendenza, accrescono progressivamente il proprio volume di consumo apparente. Rilevanti flessioni si osservano, invece, in Italia, da 870.000 a poco più di 700.000 t, nonché in Spagna e Francia, che nell'ordine rappresentano i primi tre Paesi consumatori. Tra i Paesi europei extra-Ue, è certamente da rimarcare il progresso della Russia, che con una tumultuosa crescita è passata da poco più di 150.000 t nel 2000 fino ad oltre 450.000 t nel 2007, per poi stabilizzarsi su volumi leggermente inferiori. Limitando l'analisi agli acquisti domestici di prodotto fresco, la tendenza negativa, a livello nazionale, è confermata (Fig. 2): nel 2012, difatti, i volumi acquistati sono stati i più bassi dall'inizio del nuovo millennio, con una contrazione complessiva nel periodo pari al 24%, una delle più alte tra le principali specie frutticole. Nel dettaglio, la diminuzione più marcata è stata registrata tra il 2004 e il 2005, ma anche in seguito, ad eccezione di due occasionali rialzi, è proseguita a ritmi del 2-3% annuo. Come per altre referenze frutticole, ad una considerevole contrazione dei volumi acquistati non ha corrisposto un'analoga diminuzione della spesa sostenuta dalle famiglie che, al contrario, è rimasta sostanzialmente immutata dal 2000 ad oggi, su valori prossimi a 600 Ml di Euro, in virtù di una progressiva crescita dei prezzi medi al dettaglio, passati da 1,26 €/kg del 2000 a 1,66 €/kg del 2012.
L'offerta in Italia e in Europa
In presenza di una domanda in decisa contrazione, l'offerta europea di pere si mantiene, seppur con inevitabili oscillazioni dovute all'andamento climatico annuale, tendenzialmente stabile. Nel corso dell'ultimo decennio in sei occasioni l'offerta ha superato 2,5 Ml t, mentre in tre campagne, considerando anche le stime previsionali relative a quella attuale, si è attestata attorno a 2,2 Ml t; solamente nella scorsa campagna si è toccato un picco minimo notevolmente inferiore, 1,9 Ml t, dovuto alla presenza di numerose avversità. In Italia, secondo i dati Istat, la coltivazione di pero è in fase di progressiva diminuzione, con circa 5.000 ha persi dal 2004 al 2011 e ben 4.000 nel 2012, quando gli investimenti sono scesi a poco più di 35.000 ha (Fig. 3). In parallelo, anche il potenziale produttivo ha subito un'inevitabile contrazione, sebbene la progressiva selezione delle imprese più professionali abbia contribuito a contenere il calo dell'offerta: in particolare, la produzione media annua della seconda metà dell'ultimo decennio è inferiore di circa 100.000 t rispetto alla prima metà, ma si evidenzia come i dati più recenti siano influenzati dalle campagne 2010 e 2012, fortemente deficitarie anche a causa di avversità climatiche, mentre il picco raggiunto nel 2011 fa supporre come il potenziale produttivo del nostro Paese, quest'anno previsto attorno a 750.000 t , sia comunque in grado di esprimere un'offerta ancora piuttosto rilevante. A livello varietale, è indispensabile ricordare che l'Europa sta concentrandosi progressivamente su Conference, la cui offerta è pari al 35% circa del totale, mentre l'Italia, come noto, si caratterizza per la netta prevalenza di Abate Fétel, che rappresenta quasi il 40% dell'offerta complessiva. La seconda cultivar per importanza, William, rappresenta poco più del 20% della produzione complessiva, mentre Conference solamente il 12-13%.
Scambi commerciali in Europa
Il quadro commerciale europeo si caratterizza soprattutto per un'evidente incremento dei volumi esportati, passati da meno di 800.000 t a quasi 1,2 Ml t annue nel corso del decennio 2003-2012. Per contro, le importazioni sono aumentante, ma in misura decisamente più contenuta e, peraltro, altalenante, a testimonianza delle difficoltà registrate nei mercati interni, che hanno spinto i Paesi produttori a ricercare nuovi mercati e a limitare l'ingresso di prodotto estero. La bilancia commerciale dell'Ue nel suo complesso, deficitaria all'inizio del periodo esaminato, è oggi in attivo. L'incremento dei volumi esportati è sostenuto soprattutto da Paesi Bassi e Belgio che, per via della propria struttura produttiva, più di tutti hanno avvertito la necessità di accrescere al massimo il proprio export, con aumenti medi ben superiori per entrambi al 3% annuo: attualmente i due Paesi rappresentano oltre la metà dell'export europeo, con volumi complessivi di 620-640.000 t/annue. Il Belgio, soprattutto, ha saputo cogliere più di tutti le potenzialità dell'emergente mercato russo, che oggi assorbe 120.000 t di prodotto, cioè più del 40% delle esportazioni totali. I Paesi Bassi, invece, hanno percorso una strada più differenziata, consolidando la propria presenza soprattutto nei mercati tradizionali, come la vicina Germania, nonostante la contrazione dell'import di questo Paese (peraltro comune a tutte le specie frutticole), ma anche nel Regno Unito e in Francia. Impressionante è la crescita registrata dal Portogallo, passato da 24.000 a 100.000 t, dovuta alla fortissima espansione in Brasile, oltre che nel tradizionale mercato britannico. Alla luce della difficile situazione dei consumi, anche l'Italia ha intrapreso con decisione la strada dell'export, ma con risultati altalenanti e certamente meno brillanti dei Paesi di cui sopra: nello specifico, l'export italiano è salito da 130 a 180.000 t/anno, ma la quota rispetto al totale europeo è diminuita dal 16% del triennio 2004-2006 al 13,5% del triennio 2010-2012 (Fig. 4). Va comunque rilevato che, in valore, l'export italiano è tra i più apprezzati, con quotazioni superiori alla media europea e a quella dei principali competitor. La strategia dei nostri esportatori ha puntato al mantenimento dei due mercati più importanti, la Germania, che assorbe il 40% del prodotto italiano e la Francia, che ne assorbe il 15%, e all'espansione verso l'Est Europa, Romania in primo luogo, ed in Libia. Tra i principali produttori europei, quello maggiormente in crisi sul versante commerciale appare la Spagna che, difatti, ha perso rilevanti quote di mercato, mantenendo il proprio export su volumi stabili o addirittura lievemente calanti. Infine, è netta la contrazione anche per la Francia che per le pere, come per la maggior parte delle specie frutticole, ha intrapreso un percorso di ridimensionamento del proprio volume di offerta e di concentrazione sul mercato interno.
Quali soluzioni per il futuro
Come osservato, la pericoltura è alle prese con un grave flessione dei consumi che obbliga, di fatto, i Paesi produttori alla costante ricerca di nuovi mercati per collocare un'offerta che si mantiene sostanzialmente stabile. A differenza di altre specie frutticole, il pero presenta storicamente una situazione relativamente meno dinamica, caratterizzata da un elevato peso dei consumi interni e da una pressione competitiva più blanda che tende a mantenersi, vista la diversificazione dei mercati di collocamento del prodotto, ma che sta comunque aumentando ed è, con ogni probabilità, destinata a crescere fortemente nel prossimo futuro. Nell'arena competitiva che va delineandosi, il prodotto italiano parte con un indubbio vantaggio qualitativo, ma un altrettanto evidente svantaggio dovuto ai più elevati costi di produzione sostenuti dalle nostre imprese rispetto ai concorrenti europei e, in particolar modo, ai Paesi del Nord Europa (Tab.1). Sebbene la tipologia di frutti ottenuti non sia perfettamente comparabile, le maggiori rese areiche rendono tali produzioni molto competitive sui mercati esteri, soprattutto nel quadro di crisi economica in cui l'Europa si trova ormai da tempo. Per far fronte a tale situazione, pertanto, il comparto dovrà ripensare a fondo le proprie strategie che, sinora, sono state in larga parte rivolte alla soddisfazione del mercato interno grazie ad una cultivar come Abate Fétel che ha riscosso grande successo nel nostro Paese, ma è meno conosciuta e consumata all'estero e, sempre dal punto di vista economico, registra un costo di produzione decisamente più alto rispetto ad altre varietà. La sfida della competitività sui mercati esteri richiede, per essere vinta, la collaborazione di tutto il sistema, dalla fase produttiva a quella commerciale. Quest'ultima, in particolare, sarà chiamata ad un intenso sforzo per coordinare le diverse leve del marketing e segmentare al meglio i nuovi mercati individuati. In quest'ottica, è certamente da segnalare l'iniziativa proposta dal consorzio PeraItalia®, che si è dato l'obiettivo di promuovere e commercializzare unitariamente le produzioni dei soci aderenti, valutabili in circa 100.000 t di pere da consumo fresco, con forte prevalenza di Abate Fétel. Il disciplinare di PeraItalia®, molto stringente, ha l'obiettivo di valorizzare le qualità organolettiche del frutto, senza trascurare l'offerta rappresentata dai calibri di minore pezzatura, meno graditi dal consumatore italiano, ma in grado potenzialmente di ritagliarsi uno spazio all'estero, dove già trovano ampio favore frutti di calibro medio/piccolo provenienti da Belgio e Paesi Bassi. Una delle principali problematiche che limitano il commercio internazionale degli ortofrutticoli è indubbiamente rappresentato dalla permanenza di numerose barriere fitosanitarie che tuttora ostacolano i flussi commerciali verso aree con interessanti opportunità di sviluppo dei consumi, come gli Stati Uniti (anche se in tale direzione qualcosa si sta muovendo) o i Paesi dell'Estremo Oriente: in quest'ottica, l'alta rappresentatività di un organo capace di controllare ingenti volumi di offerta può certamente costituire un veicolo per rimuovere progressivamente tali barriere e penetrare così in nuovi mercati. Va, infine, sottolineato che l'approccio commerciale non potrà avere successo senza essere supportato dall'intera filiera di produzione e di condizionamento, che dovrà essere in grado di rimodularsi sulle mutate esigenze di mercato, sempre più rivolte all'estero, e sapersi pertanto segmentare offrendo un prodotto rispondente alle richieste, ma con i costi contenuti che i mercati internazionali richiedono.
Allegati
- Scarica il file: Recuperare competitività rimodulando le strategie di produzione ed offerta delle pere