Peschicoltura italiana: segnali positivi tra produzione e mercato

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Il settore sembra essere tornato in equilibrio e ci si interroga sulla durata. Tuttavia, è possibile cogliere da questa situazione contingente un segnale forte per sfruttare un momento positivo e avviare la peschicoltura italiana su binari di maggiore stabilità e soddisfazione per tutti, dal produttore al consumatore?

Negli ultimi anni, durante l’estate, si sente sempre meno levarsi il lamento frutticolo estivo per eccellenza, quello dell’insufficienza dei prezzi corrisposti ai peschicoltori per la loro frutta. Non si sentono più appelli a corrispondere almeno il costo di produzione; gli anni delle liquidazioni a 25-30 centesimi/kg sembra non li ricordi più nessuno. Ciò che è successo è la logica conseguenza degli espianti pesantissimi che la specie ha subito negli ultimi 10-15 anni che inesorabilmente hanno portato a riequilibrare l’offerta con la domanda, purtroppo lasciando molti feriti lungo la strada. Addirittura si direbbe che l’offerta sia divenuta strutturalmente inferiore alla domanda, complici anche le sempre più frequenti avversità climatiche che tutta l’Europa mediterranea subisce, creando così condizioni più vicine a quelle di un mercato senza attori in posizione dominante. È vero: la domanda resta aggregata a fronte di una frammentazione spinta dell’offerta, ma se il prodotto è scarso, ecco che il valore può salire. Siamo nella fase “positiva” di un ciclo che in frutticoltura abbiamo visto tante volte; la domanda da porsi è: quanto durerà? Se i prezzi si manterranno alti per qualche anno, assisteremo anche stavolta ad un’ondata di nuovi impianti con conseguente sovrapproduzione strutturale per poi tornare a quotazioni inferiori al costo di produzione? Possiamo cogliere da questa situazione contingente un segnale forte per avviare la peschicoltura italiana su binari di maggiore stabilità e soddisfazione per tutti, dal produttore al consumatore?

Se è vero che c’è stata una riduzione epocale delle superfici, è anche vero che ci sono alcune novità – positive – di rilievo. Come fu con le nettarine a fine anni ‘60, oggi vediamo remunerazioni molto interessanti per pesche e nettarine piatte, una tipologia di frutto che l’Italia conosceva bene, ma è stata lenta ad adottare su larga scala lasciando la Spagna a dominare il comparto. Anche altre tipologie di frutto si stanno affacciando, con varietà innovative che consentono di migliorare la corretta segmentazione dell’offerta per tipologia, aspetto, sapore. Ancora: oggi sembra esserci una nuova consapevolezza che la semplice adozione di diritti di coltivazione di varietà brevettate non basta a garantire soddisfazione economica se non si mettono in atto strategie di coltivazione mirate alla qualità e non alla quantità. Ci sono organizzazioni di produttori che cercano di arginare la smania di raccogliere troppo anticipatamente mediante disciplinari interni che richiedono una misura oggettiva di durezza della polpa e del °Brix dei frutti. Anche se aggiungono un compito gravoso per gli uffici tecnici, è una scelta da lodare, seguire e replicare ovunque.

Un peschicoltore straniero che conosce molto bene l’Italia, mi racconta spesso che la valorizzazione del prodotto presso i punti vendita è una delle cose più importanti che lui fa durante la stagione di vendita. Dati riservati di alcuni anni addietro mostravano come in presenza di un acquisto ritenuto di qualità insoddisfacente passavano 6 settimane prima del secondo acquisto da parte del medesimo acquirente…. intanto era finita la stagione! È quindi ovvio, e l’occasione potrebbe essere propizia, che vanno ideate e realizzate strategie di marketing di filiera, in cui anche la GDO deve entrare come partner “inter pares” per valorizzare prodotti oggettivamente dotati di migliore qualità. Occorre ragionare veramente come una filiera che ha bisogno di stabilità nelle linee di prodotto, nei livelli qualitativi, nella continuità delle forniture. Una filiera, insomma, in cui i vari attori vedano remunerato in modo equo il valore che forniscono. Altrimenti, a che servirebbe riempirsi la bocca del “made in Italy” agroalimentare quando al produttore non si offre la possibilità di un reddito dignitoso? Si è sicuri di poter sempre apporre quel marchio a prodotti che arrivano da altrove, talora con pratiche sleali di naturalizzazione?

Un’ultima considerazione da professore universitario riguarda l’opportunità di cogliere le annate positive per ridare fiato e opportunità a chi vuole produrre pesche in Italia, per rinnovare il “parco imprenditori”, non esitando, in quelle aziende in cui è presente, a lasciare spazio e decisione ad un membro più giovane della famiglia (spesso con livello di istruzione elevato); un continuo rinnovamento nel modo di fare impresa è fondamentale. In questo ambito, c’è spazio per le organizzazioni di produttori capaci di lavorare bene e insieme, per agevolare la transizione.

 

Peschicoltura italiana: segnali positivi tra produzione e mercato - Ultima modifica: 2025-07-25T16:51:42+02:00 da Sara Vitali

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