C’è ancora posto per il pesco in Italia

pesco
Questa specie ha le carte in regola per assicurare redditività laddove si correggano errori non solo grossolani, ma anche – teoricamente – non difficili da superare che nel corso degli anni hanno penalizzato la coltura

Nessuna specie arborea ha mai viaggiato tanto sulla Terra quanto il pesco, da quando l’uomo ha deciso di coltivarlo.

Ci sono voluti secoli perché giungesse dalla sua culla cinese, lungo la Via della Seta,  fino al Mediterraneo, e poi via nelle Americhe, dove ha trovato una nuova giovinezza (varietale), grazie anche al ‘rinsanguamento’ di geni portati direttamente dalla Cina in nord America. E dall’America di nuovo in Europa.

Si, ecologicamente parlando, il pesco è pressoché ovunque una specie ‘aliena’ (che non riesce a sopravvivere, se non coltivata)  ed ha ‘colonizzato’ nei secoli non solo quasi tutti i climi temperati, ma si è ‘allargata’ dal freddo Canada ai sub-tropici: nessuna specie uguale a lei come capacità di adattamento, eppure da alcuni decenni ormai, e soprattutto in Romagna  che l’aveva utilizzato per creare i primi frutteti moderni (‘intensivi’) agli inizi del ‘900, il pesco è in caduta libera, ormai inarrestabile.  Abbattimenti imponenti e prolungati hanno cambiato il paesaggio e il pesco è stato sostituito da vigneti,  impianti di kiwi, di susino, noce, perfino da impianti fotovoltaici. Insomma, tutto purché non pesco!

Eppure qua e là, imprenditori proiettati nel futuro stanno dimostrando che questa specie ha le carte in regola per assicurare redditività, laddove si correggano errori non solo grossolani, ma anche – teoricamente – non difficili da superare.  Iniziando dalla scelta delle varietà che, se usata interpretando correttamente la logica dei disciplinari di produzione integrata, costituirebbe un efficace strumento di pianificazione delle produzioni per epoca di maturazione, tipologia di frutto, colore della polpa, ecc. Invece, poiché se non si utilizzano le cultivar elencate nel disciplinare non si può accedere ai contributi OCM, non può stupire che in tale lista si trovi di tutto: troppi segmenti della filiera hanno interesse che le maglie siano le più larghe possibili.

Se osserviamo le tecniche colturali, il quadro è altrettanto mortificante per le ricerche svolte presso tante Istituzioni italiane. Contrariamente ad indicazioni pressoché universalmente condivise, nutrizione e irrigazione sono ancora applicate assai spesso senza criterio e ad esse viene affidata anche la ‘mission impossible’ di risollevare la barca di un diradamento effettuato male e in tempistiche assolutamente sbagliate, con il risultato di ottenere frutti di qualità totalmente insufficiente. La frustrazione è palpabile anche tra i tecnici di settore impegnati nelle OP che, spesso, riferiscono di non riuscire a convincere i propri associati a resistere e non adottare tecniche di coltivazione suggerite da ‘sedicenti’ tecnici che hanno in realtà un prodotto da vendere, la cui utilità è quasi sempre perlomeno discutibile. Si assiste così a laute irrigazioni, fertirrigazioni, potature radicali e uso di brachizzanti, in una sequenza totalmente illogica di interventi l’un contro l’altro armati, da cui chi esce con le ossa rotte sono proprio la qualità e quantità del prodotto.

Passiamo al momento della raccolta. La pesca è fortunatamente un frutto climaterico, così che può essere raccolta ad uno stadio da permettere di limitare i danni da manipolazioni, ed ugualmente arrivare sulle nostre tavole al punto giusto di maturazione (dopo opportuna maturazione in casa). In teoria. In pratica,  siccome si vuole ridurre oltre ogni minimo la percentuale di frutti scartati, si raccoglie troppo in anticipo (ben prima del picco climaterico), così che il frutto non può raggiungere la maturazione una volta staccato…tanto oggi i frutti sono molto colorati ed il consumatore se ne accorge quando l’ha già acquistato! Esistono cultivar che hanno un intenerimento molto ‘rallentato’, che consentirebbe una raccolta ad uno stadio ottimale, ma sono pochi  i frutticoltori attenti a questo aspetto e nella maggior parte dei casi si procede ad una raccolta il più precoce possibile, inseguendo un percepito vantaggio della precocità, che però non si accorda con le politiche di vendita, che prolungano la commercializzazione delle singole varietà per diverse settimane.

Infine, purtroppo la normativa attuale non obbliga ad esporre nel punto vendita il nome della varietà, come per melo e pero, facendo tutti felici (tranne il consumatore): i produttori, perché sono permessi mix di cultivar molto diverse ma con aspetto simile, ed i venditori, che devono solo distinguere tra bianco-giallo, pesca-nettarina e, caso mai, duracina (percoca), ignorando i diversi sapori, per esempio. E come si difendono produttori e venditori, di fronte alla disaffezione del consumatore? Prezzi stracciati! L’importante è produrre almeno 75 t /ha (??) per rimediare con la produttività ciò che si perde col magro prezzo di vendita.

A rifletterci, una tempesta perfetta, causata dall’abbandono di una specie che non meritava tanta mortificazione. Da non dimenticare il totale arresto dei finanziamenti alla ricerca per questa specie, che non ha visto progetti finanziati negli ultimi 15 anni almeno.

Però qualche segnale di riscossa si sta vedendo, e il pesco sta forse per conoscere una nuova stagione di ripresa. La Casa della Frutticoltura (Casa della Frutticoltura – iSTONE-HUB (istonehub.org) è l’iniziativa di un gruppo composito di professionisti appassionati frutticoltura (e di pesco in particolare), che ha già organizzato un evento a Massalombarda, nel settembre 2021, e che invita i lettori di Frutticoltura al XXVI convegno Peschicolo, in programma a Lugo il 3 settembre 2022. Questo convegno rinverdisce la tradizione dei Convegni Peschicoli, prima Romagnoli e poi Nazionali, iniziata negli anni ‘50 e che è proseguita fino all’inizio di questo secolo. Dal 2004, che testimonia il lungo iato a cui è stata sottoposta questa specie, dopo 18 anni si ricomincia!

C’è ancora posto per il pesco in Italia - Ultima modifica: 2022-07-18T09:37:13+02:00 da Sara Vitali

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