Al pero serve innovazione a 360 gradi

A sinistra, Luca Corelli Grappadelli dell'Università di Bologna e, a destra, Ugo Palara della New Plant.
Dalle varietà alla difesa, dai modelli d'impianto al post raccolta, il pero assomma in sé un numero di difficoltà che lo rendono una specie poco dinamica

Sono molte le domande che sorgono riflettendo su una specie, il pero, che assomma in sé un numero di difficoltà che, per un motivo o per l’altro, la rendono tra le meno dinamiche e capaci di innovazione di tutto il panorama delle specie da frutto.

Si può cominciare dalle varietà, che sono sempre le stesse, all’incirca da 2 secoli, e sarebbe ora di rinnovarle. Ci sono sempre novità all’orizzonte ma pochissime sono riuscite a prendere piede. Ben lontani dalla dinamicità (persino eccessiva) di drupacee, melo, uva da tavola, kiwi. Ci sono ragioni scientifiche che spiegano la stabilità dei risultati degli incroci, che non si distaccano più di tanto dai genitori, frustrando i costitutori che non riescono a produrre nuovi ideotipi di frutto, con aspetto, caratteristiche gustative, tratti del frutto diversi, identificabili e riconoscibili come è invece avvenuto per altre specie. Al di là degli ibridi con pere orientali che vengono periodicamente proposti, ma che non hanno finora dato buona prova, si può pensare di cambiare le carte in tavola con l’uso delle nuove tecniche di breeding? Dobbiamo probabilmente rassegnarci al fatto che i consumatori vogliono pere nuove e diverse, anche se tutti ritengono che la “regina delle pere” (Abate Fètel) sia ancora insuperabile.

Queste stesse tecnologie potrebbero aiutare anche nella difesa fitosanitaria, che annovera un numero elevato di avversità, contro le quali le risorse basate sulla chimica vanno mostrando sempre più la corda; tra l’altro, come noto, il legislatore tende sempre più alla riduzione di molecole e principi attivi ammessi in frutticoltura. Sempre più prendono rilievo approcci di difesa naturale, ai quali potrebbero affiancarsi soluzioni genetiche, attraverso l’uso delle nuove tecnologie di breeding permesse dal “genome editing”. Abbiamo bisogno di più conoscenze su queste soluzioni, iniziando col far passare il messaggio che la frutticoltura non può continuare a fronteggiare le sfide della coltivazione rinunciando (perché costretta) a utilizzare tecnologie e soluzioni che sono invece utilizzate in molti dei Paesi nostri competitori.

È auspicabile anche l’innovazione di modelli di impianto finora molto statici, perlopiù impostati su portinnesti molto (troppo?) deboli che forniscono sì alcuni vantaggi, come precocità e ridotto sviluppo dell’albero, ma sembrano anche penalizzarne produttività e longevità dei pereti. A fronte di questi, si propongono sistemi di allevamento (bi-asse, guyot, cordone planare) a sviluppo bidimensionale (2-D) che nascono, tra l’altro, per favorire e facilitare l’adozione di soluzioni di meccanizzazione sempre più avanzate, fino ai sistemi di raccolta robotizzata che stanno comparendo per il melo, ancorché in fase sperimentale. Anche il pero se ne potrebbe avvantaggiare, visto che non impone tempi di raccolta rapidissimi e potrebbe quindi non soffrire per la relativa lentezza dell’automazione. I nuovi modelli d’impianto potrebbero anche aumentare la produttività della specie, vero e proprio tallone d’Achille, visto che è più o meno ferma ai valori che venivano riportati negli anni ‘50 del secolo scorso. Dalle prime evidenze sperimentali, tuttavia, si capisce che, per sfruttare appieno le potenzialità dei 2-D, occorrerà modificare diversi aspetti gestionali del pereto perché questi sistemi richiedono di ridurre le distanze tra i filari a valori prossimi a 2 metri per raggiungere gli elevatissimi livelli di produzione di cui sono capaci. Senza tralasciare il “leitmotive” della transizione ecologica: questi sistemi di impianto si prestano all’adozione di nuove strategie di conduzione agronomica per la riduzione dell’uso di pesticidi, di fertilizzanti, il risparmio idrico, magari mutuando da esperienze condotte su melo o kiwi.

Il post-raccolta del pero resta un grande vulnus su cui si dovranno concentrate ben maggiori attenzioni rispetto ad oggi, specialmente per quanto rigurda le fisiopatie da conservazione.

Un ultimo, importante, aspetto riguarda i trend di consumo che, stranamente, per un frutto che per molti è fra i più gustosi, sono negativi da molto tempo. Quanto sono guidate da conoscenze approfondite di marketing le campagne pubblicitarie? E quanto andrebbe tenuto conto delle preferenze dei consumatori più giovani, prima di programmare le nuove strategie di breeding? Solo una ricerca a 360 gradi potrà aiutarci ad uscire da un crisi che sembra irreversibile.

Al pero serve innovazione a 360 gradi - Ultima modifica: 2022-11-16T17:48:23+01:00 da Barbara Gamberini

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