Settore melicolo, Dalpiaz: «Organizzazione prima di tutto»

Dalpiaz
Intervista ad Alessandro Dalpiaz, direttore di Apot e Assomela, che fa il punto sulle priorità del settore melicolo. «La stagione parte bene, ma in prospettiva non possono essere ignorati alcuni fattori: consumi stagnanti, produzione in aumento e crescita dei costi»

La partenza della nuova stagione commerciale delle mele italiane, anche se in ritardo di una settimana,  è nel complesso positiva. Le incognite riguardano il calibro dei frutti, inferiore rispetto alle altre annate, i consumi, che permangono stagnanti, e gli effetti indiretti del Covid-19, che si riflettono sui costi della logistica e sul costo dei materiali di imballaggio. Nel contesto frutticolo nazionale, la melicoltura oggi se la passa mediamente meglio rispetto ad altri comparti e questo dà l’opportunità di lavorare ancora di più su aspetto che già contraddistingue il settore: l’organizzazione. Su questi aspetti fa il punto Alessandro Dalpiaz, direttore di Apot e Assomela.

Intervista pubblicata anche su Terra è Vita n. 35/2021

Partiamo dai numeri. Come si presenta oggi e quali sono le prospettive per la campagna melicola 2021?

In termini numerici confermo le previsioni di agosto: per l’Italia si stima una produzione di 2.045.611 t, con un leggero calo (-4%) rispetto all’anno scorso. Segna un nuovo record la produzione biologica, che con circa 203.400 t (9,9% del totale) conferma l’Italia come primo produttore in Europa. Dal punto di vista varietale, in Italia rimane stabile Golden Delicious, per la quale ci si attende un raccolto superiore del 4% rispetto alla scorsa stagione, anche se inferiore del 17% rispetto alla media degli ultimi 5 anni. Gala rimane stabile rispetto allo scorso anno con 378.000 t. La produzione di Red Delicious cala del 18%, così come Granny Smith (-31%) e Renetta del Canada (-31%). Crescono invece del 37% le “nuove varietà club”, che raggiungono un nuovo record produttivo di 138.000 t, confermando ancora una volta l’importanza degli impegni del settore per l’innovazione varietale.

Anche dal punto di vista commerciale la partenza è stata positiva: sono andate molto bene le vendite di settembre e ottobre, staremo a vedere come andrà il mercato, quello “vero”, nei prossimi mesi. Importante sarà anche l’export e si dovranno fare i conti con qualche fastidio generato dai prezzi non competitivi degli altri Paesi competitor.

Passando ora a una visone più generale, quali sono le sfide attuali e future del comparto sui fronti ricerca, produzione e mercato?

Tra le tante variabili, tre in particolare sono determinanti per il settore melicolo e in generale per tutta la frutticoltura: consumi, produzione, costi. Sul primo aspetto le statistiche comunitarie ci dicono che negli ultimi 6 anni si è scesi da circa 15 a 13 kg di mele consumate a testa. È pur vero che l’effetto Covid ha marcato in misura evidente e positiva la primavera 2020, così come la diminuzione di consumo dell’annata 2017 va osservata con cautela per le poche mele prodotte, ma la tendenza è chiara. Sulle cause, se ne può dissertare a lungo, ma è chiaro che l’importazione di altri frutti amplifica la scelta ed invita i consumatori a fare anche altre esperienze, a scapito di frutti forse meno moderni ma altrettanto buoni, sicuri e belli. Gli sforzi dei produttori non mancano, sul fronte della marca, promozione o diversificazione varietale od innovazione di prodotto, ma sono percorsi decisamente lenti e comunque in salita. Sul volume di mele da qui al prossimo futuro i giochi sono altrettanto chiari. Molti paesi sono in crescita costante. I cosiddetti “paesi del vicinato” (Russia, Serbia, Ucraina, Moldavia, Turchia, Kazakistan e Uzbekistan) stimano oltre 60.000 ettari di nuovi impianti, con prospettive di espansione, spesso supportate da risorse pubbliche, sia comunitarie che internazionali, come la FAO. La Turchia è ormai un competitor forte in diverse aree, così come la Serbia e si affaccia l’Iran. Tutte variabili che interferiscono su molti mercati e complicano la vita alle OP.  Passiamo ai costi. Se le due stagioni passate possono dirsi buone, quella in partenza pare potenzialmente discreta, ma le complicazioni della logistica ed i costi per l’export (stimati in 0,06 €/kg per i Paesi oltremare e 0,02 €/kg per i trasporti in ambito comunitario) e per i fattori di produzione potrebbero erodere i residui margini di redditività, anche per il settore delle mele. Tutto questo sotto l’ombrello di un clima imprevedibile, di una situazione fitosanitaria pesante e della disponibilità di strumenti di prevenzione e difesa che ballano sotto la pressione della F2F.

Dal punto di vista dell’export, uno degli obiettivi prioritari è quello dell’apertura di nuovi mercati, senza dimenticarsi di curare quelli attuali. Aprire un mercato – oltre a essere un bel lancio per un comunicato stampa – richiede un impegno e una presenza costante, investimenti di almeno 10 anni per essere conosciuti. Il lavoro è lungo e le forze devono essere ben indirizzate. Nel corso dell’ultima campagna commerciale si è continuato ad esplorare con l’esportazione di piccole quantità di prodotto i mercati di Vietnam - un mercato aperto ma complicato dalle rigide regole imposte all’Italia - Taiwan e Tailandia; quest’ultima sembra avere le maggiori potenzialità. Ancora più importante è il mercato in India, dove si esportano 40mila t su un export totale di 900 mila t.

Per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione, si investe cercando la varietà dal profilo incantato, oppure la tecnica della rivoluzione nei campi. Tutto bene, tutto necessario, ma il ritmo del processo deve essere calibrato meglio sul ritmo dell’agricoltura, che riflette le stagioni e non le teorie.

Dalpiaz mele
Le complicazioni della logistica, i costi per l’export (stimati in 0,06 €/kg per i Paesi oltremare e 0,02 €/kg per i trasporti in ambito comunitario) e per i fattori di produzione potrebbero erodere i residui margini di redditività, anche per il settore delle mele

Quali sono le priorità in ambito Pac e relativamente alle strategia Farm to Fork da portare nel dibattito europeo?

L’organizzazione del settore è di certo una chiave importante. Il ruolo delle nostre OP è chiaro e misurabile, l’emergenza Covid, affrontata assieme, lo dice, così come alcune emergenze fitosanitarie, ad es. gli scopazzi in Trentino-Alto Adige o la cimice. Il settore ha salutato con soddisfazione la riforma di una PAC che ha confermato l’OCM come strumento rafforzativo della competitività dei produttori. E come tale lo propone anche in altri settori. La melicoltura è felice di questa scelta, che vede finalmente riconosciuto il ruolo quasi pionieristico, e spesso attaccato, delle OP come strumento di reddito per i produttori.

A Bruxelles bisogna insistere su questa strada, con un mix equilibrato tra azione propositiva, per favorire OP sempre più qualificate ed efficienti ed azione di critica, verso i difetti, ormai chiari, di una strategia F2F che rischia di minare i fondamentali del settore, se non declinata in “campo” nel modo giusto. Il settore Biologico ne è un esempio. Nel caso del melo i numeri di oggi disegnano un settore in salute, in grado di ripagare i maggiori costi dei produttori. Un incremento dal 9% circa di mele bio in Italia (contro circa la metà in EU), al 25% auspicato dalla UE, non accompagnato da una decisa crescita del consumo, potrebbe compromettere od invertire il percorso auspicato. La visione non può essere solo concettuale, ma calata nella pratica, e senza strumenti di monitoraggio costanti dei processi, come qualsiasi azienda deve fare, si corre seriamente il rischio di far male ad un settore, anziché favorirlo. I cosiddetti “pesticidi” meriterebbero una lunga analisi, ovviamente con chi si pone professionalmente il problema. Di certo se l’approccio è nella direzione di una loro drastica riduzione, senza responsabile attesa di alternative sicure, provate ed efficaci, avrà ben di che dire la Commissione, ma le valutazioni fatte dall’USDA nel novembre 2020, così come i lavori del Centro di Ricerca dell’Unione Europea, o del recente studio del Centro di Ricerca del Parlamento Europeo, come altri in arrivo, propongono scenari diversi è più preoccupanti di quelli aulici offerti dal Green Deal e dalla Farm to Fork.

Con la Commissione Europea bisognerà intensificare il lavoro di confronto. Ma bisognerà essere coordinati, evitando la corsa al primo che arriva, così come essere seri, nella proposta di dati, analisi e studi validi, accreditati e scientificamente “sostenibili”. Tutto nel segno della difesa primaria del reddito del produttore, come persona e famiglia.

Se Dalpiaz potesse decidere e rendere operativa un’azione immediata a sostegno dei frutticoltori quale sarebbe?

Il primo obiettivo deve rimanere l’aggregazione. Su questo fronte se potessi rendere immediatamente operativa un’azione sarebbe unire le 4 principali organizzazioni del territorio.

Poche Organizzazioni consentono non solo di mitigare gli effetti dei fattori contrari, ma anche di fruire al meglio delle opportunità, quando ci sono, ovviamente. E non in senso puramente commerciale. Se quattro OP del Trentino-Alto Adige governano oltre il 70% della produzione nazionale di mele, le stesse coordinano circa 15.000 frutticoltori, ai quali vengono date direttive precise e controllate, di anno in anno migliori, volte a interagire meglio con i consumatori, con l’ambiente e le comunità che li circondano.

Se queste quattro fossero un unico organismo o anche se ce ne fossero solo un paio si otterrebbero ancora più risultati. E non solo dal punto di vista commerciale.

Voglio sottolineare questo aspetto in particolare perché normalmente si tende ad associare alla parola aggregazione a una maggiore capacità commerciale, che è vero, sono il primo a dirlo, ma non è l’unico vantaggio. Organizzazione vuol dire programmazione, maggiore rapidità nel recepire e applicare le direttive comunitarie, maggiore capacità di rispondere ai temi della sostenibilità, lo stesso trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca alla pratica avverrebbe in tempi più rapidi.

E anche su questo punto avrei qualcosa da dire.  Ciò che manca al momento, un po’ a tutti i livelli della filiera, è proprio la preparazione professionale: nella ricerca, in campo e sul mercato. Oggi abbiamo bisogno di frutticoltori e operatori del settore preparati, con una mentalità aperta al cambiamento e con un approccio innovativo. Apot spende moltissime ore in un anno per la formazione e il confronto, è un aspetto che dovrebbe assumere sempre più importanza in tutte le realtà. Questo unito all’aggregazione sono due elementi chiave per il futuro.

Settore melicolo, Dalpiaz: «Organizzazione prima di tutto» - Ultima modifica: 2021-11-26T11:08:06+01:00 da Sara Vitali

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