Il kiwi in Italia: limiti produttivi, opportunità e internazionalizzazione

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La sintesi del convegno organizzato dalla Soi tenutosi in occasione di Macfrut per analizzare gli aspetti innovativi più funzionali alla filiera del kiwi, a partire dalle strategie commerciali, dall’assetto varietale (sempre più dinamico) e dalla tecnica colturale, per arrivare a conservazione e commercializzazione

Nell’ambito del settore ortofrutticolo quello dell’actinidia è un comparto con un notevole potenziale di sviluppo se si considera il crescente apprezzamento dei consumatori e il fatto che rappresenta ancora una frazione ridotta della produzione di frutta fresca su scala mondiale. Il trend positivo delle superfici destinate ad actinidia e delle produzioni su scala globale conferma che l’actinidia suscita un notevole e continuo interesse colturale e mercantile in tutto il mondo, Italia compresa. Dopo alcuni mesi di pausa, dovuta alle difficoltà organizzative generate dalla Pandemia, il Gruppo di Lavoro Actinidia della Soi, ha organizzato, in occasione di Macfrut 2022 a Rimini, un incontro tecnico per fare il punto della situazione e individuare, analizzare, proporre gli aspetti innovativi più funzionali alla filiera del kiwi, a partire dalle strategie commerciali, dall’assetto varietale (sempre più dinamico) e dalla tecnica colturale, per arrivare a conservazione e commercializzazione.

La fotografia della coltivazione del kiwi nel mondo

La sessione mattutina del convegno ha riguardato soprattutto argomenti di carattere economico-commerciale. In apertura il Cso (Elisa Macchi), ha fatto la fotografia statistica della coltivazione del kiwi nel mondo, delineando i nuovi rapporti di forza che si sono creati fra i Paesi maggiori produttori. Fattori salienti, a livello europeo, sono la crescita esponenziale delle coltivazioni di Hayward in Grecia e il costante ridimensionamento dell’offerta italiana che, da alcuni anni, in seguito a difficoltà di ordine climatico e fitosanitario, non riesce più ad esprimere il potenziale produttivo che le conferiva il primato a livello internazionale. Oltre alla Grecia, altri Paesi europei cercano di incrementare la loro base produttiva (Francia, Portogallo, Spagna), ma dietro l’angolo ci sono anche Turchia e Iran che crescono a doppia cifra e vogliono affacciarsi sui mercati loro vicini, Est Europa ed Emirati Arabi in primis.

La Grecia, grazie ai nuovi investimenti e ai costi di produzione più bassi, ma grazie anche alle crescenti difficoltà italiane, sta costantemente erodendo i nostri spazi commerciali e si appresta a diventare il principale referente continentale del kiwi a polpa verde (la tradizionale Hayward). Non trascurabile il fatto che, in conseguenza di ciò, l’Italia sta diventando il più grande importatore di kiwi greco, generando di frequente pratiche sleali di naturalizzazione irregolare di falso prodotto made in Italy.

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Gli equilibri mondiali cambiano

Le cose mutano rapidamente; lo hanno evidenziato gli studi e le analisi svolte da Nomisma (Fabio Lunati) negli ultimi anni. Da un lato la crescita della Grecia che si dimostra un player sempre più importante e competitivo, anche se Nuova Zelanda e Italia si spartiscono tuttora larga parte dell’export mondiale; dall’altro, la capacità di trading che riescono a svolgere Belgio e Olanda che, pur non producendo kiwi, mantengono un’importante centralità nelle contrattazioni internazionali e la leadership delle riesportazioni. Il vero dato di fatto è che l’actinidia sta diventando uno dei prodotti ortofrutticoli di maggior peso negli scambi mondiali dell’agroalimentare, con crescite importanti in termini sia di valore, sia di volumi.

In Europa la Germania resta il Paese di riferimento per quantità di importazione, ma tutto il mondo guarda all’Asia, all’Estremo Oriente in particolare (Cina, Giappone, Corea, Vietnam), per le enormi potenzialità che offre in termini di consumi. Purtroppo l’Italia su questo fronte soffre ancora di limitazioni dovute alla mancanza di protocolli d’intesa con diversi Paesi esteri che, a volte, pretestuosamente, vengono definite barriere fitosanitarie, ma in realtà sono vere e proprie barriere doganali. Un altro mercato interessante è rappresentato dagli Stati Uniti, nel quale tutti stanno tentando di entrare, anche se finora domina il Cile per ovvie vicinanze logistiche.

Se l’Italia saprà organizzare meglio le carte potrà certamente accrescere il proprio peso a livello internazionale e trovare sollievo dall’apertura di nuovi mercati. Rammarica il fatto che molte volte la mancanza di protocolli di scambio sia dovuta alle inefficienze dei diversi Ministeri che devono esprimersi e adoperarsi: Politiche agricole, Salute, Commercio. Cso Italy, dal canto suo, ha diversi tavoli aperti, ma il sistema Italia non sembra così efficace ed efficiente come avviene, per fare un esempio, in Spagna.

Costi di produzione e assortimento varietale

Alessandro Palmieri (Distal, Università di Bologna) ha invece fatto i conti in tasca ai frutticoltori. Per quanto riguarda i costi di produzione, gli impianti italiani di kiwi verde sono sempre meno efficienti con rese per ettaro non elevate e, con questi trend, è difficile ripagare i costi. Con il kiwi giallo il collocamento sul mercato è molto più interessante, pur trattandosi di una specie che richiede altissimo costi di investimento iniziale (fino a 60mila euro/ha) e quindi quote di ammortamento importanti. E’ vero che il kiwi giallo è in mano a pochi “player” che governano l’offerta in maniera molto controllata, però se non c’è efficienza vegetativa e produttiva – e una buona organizzazione aziendale – le cose si complicano per tutti. E i costi non si coprono. Nemmeno al Sud, dove gli oneri di produzione sono più bassi per via della manodopera meno costosa. Senza dimenticare che siamo in un quadro economico di totale incertezza con l’aumento dei costi delle materie prime, dei fertilizzanti, dei trasporti e una perdurante mancanza di manodopera specializzata.

Roberto Della Casa (Agroter) ha invece fatto un quadro, in ottica di marketing, sulle effettive potenzialità delle numerose nuove introduzioni varietali che contraddistinguono il settore negli ultimi anni. Dopo un quarantennio di produzione monovarietale, oggi la vecchia Hayward viene vista ormai come un prodotto commodity; tutti gli operatori cercano nuove tipologie di frutto, a cominciare dal colore della polpa che sempre più spesso si orienta al giallo o al bicolore (giallo-rosso e verde-rosso).

Ogni giorno nasce un brand, una nuova varietà che diventa quasi sempre un nuovo club. Le figure coinvolte nei vari progetti di sviluppo varietale sono sempre più diversificate: genetisti, editori, vivaisti, organizzazioni di produttori e gruppi misti di volta in volta costituiti in forme consortili diverse; tutti vogliono governare la produzione e l’offerta di mercato, ma tutti probabilmente si ritroveranno uno contro l’altro, perché la distribuzione non sembra intenzionata a dare spazio a tutti. Club e consorzi hanno introdotto nuove cultivar, portando nuova linfa in un momento di difficoltà nello sviluppo della specie, ma se vogliamo giocare ancora un ruolo preponderante nel mercato internazionale si devono raggiungere dimensioni che solo una loro fusione (oggi impensabile!) o, almeno, un loro coordinamento produttivo e commerciale (più probabile!) consentirebbero al fine di mantenere le posizioni di eccellenza che oggi ha l’actinidicoltura italiana possiede.

Con le nuove varietà bisogna preparare bene il mercato, studiare il collocamento di prodotto, chi sono i competitor, i possibili spazi commerciali, altrimenti si rischia di banalizzare l’innovazione, deludere gli imprenditori e lottare tra piccoli gruppi che di fatto restano “follower” nei confronti di un player internazionale che da tempo domina il mercato lasciando pochi margini ad altri.

Problematiche agronomiche

La seconda sessione del convegno ha affrontato temi di natura agronomica, con particolare enfasi sulle problematiche fitosanitarie e di adattabilità ambientale che negli ultimi anni hanno riguarda la kiwicoltura italiana.

In apertura Cristos Xiloyannis, coordinatore del Gruppo di Lavoro kiwi della SOI, ha rimarcato l’importanza dell’attenta valutazione della vocazionalità ambientale prima di procedere con nuovi impianti. L’actinidia è una specie esigente, per certi versi difficile, e tutti i fattori climatici, pedologici, edafici vanno attentamente analizzati per evitare insuccessi o inefficienze vegeto-produttive che rischiano di compromettere gli elevati investimenti iniziali. Serve un’attenta valutazione dei parametri climatici prima dell’impianto per la scelta della cultivar, del sistema di gestione della chioma, delle strutture di sostegno e protezione. Altrettanto importante la gestione di precisione delle varie operazioni colturali (nutrizione e fertilità del terreno, irrigazione, impiego di bioregolatori), meglio se supportata da idonea sensoristica e sistemi di supporto decisionale, anche al fine di evitare eccessi di apporti controproducenti.

Auspicabile che il miglioramento genetico riesca in futuro introdurre nuove varietà più resilienti e meglio adattabili alle diverse condizioni climatiche italiane, ma soprattutto nuovi portinnesti capaci di tollerare il reimpianto e condizioni pedologiche non ottimali.

A seguire, Bartolomeo Dichio (Università della Basilicata) ha posto l’accento soprattutto sul corretto uso della risorsa idrica; nell’ottica di rendere più efficiente e sostenibile l’irrigazione, bisogna necessariamente considerare l’intero sistema frutteto e, quindi, tutte le tecniche di gestione (del suolo, della chioma della nutrizione e dell’irrigazione). L’actinidia è una specie molto sensibile sia alle carenze, sia agli eccessi di apporti irrigui; le caratteristiche del suolo (chimiche, fisiche, microbiologiche) devono essere ben note per definire quanta acqua apportare, il corretto volume irriguo stagionale e quello di ogni intervento, per definire i turni irrigui e il volume di suolo da bagnare con l’irrigazione.

Fra i tanti, uno dei problemi sostanziali è rappresentato dalla non adeguata formazione degli operatori (tecnici, agricoltori sperimentatori, ecc.); spesso, l’introduzione di sistemi di assistenza o supporto alle decisioni in termini di gestione (per es. irrigazione, fertirrigazione, ecc.) non è preceduto da un’adeguata fase di collaudo ed implementazione eseguita su scala aziendale congiuntamente da esperti, ricercatori, tecnici di campo e imprenditori agricoli.

Le principali avversità dell’actinidia

Le principali avversità dell’actinidia, con i relativi criteri di prevenzione e difesa in epoca di cambiamenti climatici, sono stati i temi affrontati da Giorgio Mariano Balestra (Università della Tuscia). I cambiamenti climatici influenzano la resistenza delle piante ai patogeni, sono infatti in grado di rimodellare le interazioni ospite-patogeno perché modificano la resistenza dell’ospite e l’aggressività del patogeno, influenzando lo sviluppo spaziale e temporale delle malattie.

Comprendere gli effetti del cambiamento climatico sull’insorgenza delle malattie è quindi cruciale ed è necessario adottare appropriate misure di prevenzione e controllo. Per quanto riguarda la PSA, di fatto sono sempre più frequenti le condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo della batteriosi: gelate tardive, temporali e grandinate estive, mancanza di piogge, inondazioni dei terreni, fabbisogni in freddo e/o caldo non rispettati

L’actinidia ha una rilevante sensibilità radicale e vascolare rispetto alle carenze di ossigeno e/o eccesso idrico: la moria, i cui effetti degli ultimi anni sono a tutti ben noti ed evidenti, trova una probabile correlazione tra temperature elevate, scarsa fertilità del suolo, precipitazioni meno frequenti, ma di elevata entità e intensità (bombe d’acqua), picchi termici estivi che si prolungano per molti giorni. È dimostrato che alcuni microrganismi già presenti nel suolo sono in grado di determinare marciumi e stress all’apparato radicale in condizioni di asfissia del suolo e di debolezza delle piante.

L’impiego di bioregolatori e stimolanti

Altro tema centrale nella coltivazione del kiwi è quello dell’impiego di bioregolatori e stimolanti; Guglielmo Costa (Università di Bologna) ne ha presentato opportunità, pregi e difetti. Si tratta di composti che trovano impiego nella tecnica vivaistica, in campo per favorire l’uscita delle gemme della dormienza e per influenzare la morfogenesi dei frutti, e in post-raccolta.

L’impiego di queste sostanze non va demonizzato: in condizioni ottimali sono in grado di offrire risultati entusiasmanti, ma non fanno miracoli, soprattutto quando il loro uso viene fatto per correggere errori agronomici; non possiamo incolparli quando ci danno effetti collaterali negativi se il loro uso è stato improprio. Non sempre li utilizziamo con cognizione di causa; per esempio, abbiamo trasferito la metodologia di impiego studiata per Hayward anche sulle cultivar a polpa gialla e rossa determinando problemi in conservazione e maturazione disforme nel frutto

Pertanto, alla domanda “necessitiamo dei fitoregolatori?” la risposta è sì, ma occorre tenere presente che il loro uso è complementare alle scelte genetiche e agronomiche adottate per controllare propriamente le performance vegetative e produttive del frutteto. Dobbiamo fare scelte e realizzare impianti dove sia possibile utilizzare le diverse innovazioni, modificando anche le tecniche colturali (fitoregolatori compresi).

Il post-harvest

L’incontro della SOI a Rimini non poteva non chiudersi parlando di post-raccolta, fattore strategico per l’intero comparto vista le quantità di prodotto raccolto in Italia, i volumi stoccati e le lunghe dinamiche di conservazione e distribuzione. Claudio Bonghi (Università di Padova), insieme ad altri ricercatori e sperimentatori pubblico-privati, ha messo in luce la complessità del tema affrontando i fattori che influenzano l’efficacia delle tecniche utilizzate (genotipo, stato di maturazione, tecniche colturali, packaging, tempi di stoccaggio) e gli effetti che hanno sul risultato finale.

Migliorare le conoscenze sulla fisiologia della maturazione servirà a migliorare I protocolli di conservazione; gli indici di raccolta dovranno tenere maggiormente conto della tipologia varietale, oggi molto diversificata rispetto alla sola Hayward, soprattutto per il problema della colorazione della polpa. In alcuni ambiti lo sverdimento avviene in post-raccolta con temperature, tuttavia, non compatibili con il mantenimento della compattezza della polpa. Talora rilevanti e da risolvere le incidenze del danno da freddo con determinati regimi termici. Da migliorare la conoscenza sugli effetti della combinazione di diverse tecniche applicate in frigoconservazione: regime termico, AC, impiego di 1-Mcp. In questo senso gli approcci scientifici al miglioramento delle tecnologie post-harvest si stanno ampliando, dal controllo del bilancio ormonale del frutto in post-raccolta, fino allo studio dei geni marcatori e dei fattori di trascrizione legati alle basse temperature.

Al termine del convegno, esaurito il dibattito, il Gruppo di Lavoro della SOI ha deciso che il prossimo incontro sull’actinidia si terrà nel 2023 in Calabria, una delle aree italiane ove in questi ultimi anni si è maggiormente diffusa la coltivazione.

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Le presentazioni dei relatori

Il kiwi in Italia: limiti produttivi, opportunità e internazionalizzazione - Ultima modifica: 2022-06-13T12:39:48+02:00 da Sara Vitali

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