Razionalizzare e rilanciare in Puglia la coltura del mandorlo, trasformandola da rustica a sostenibile sotto gli aspetti ambientale ed economico e quindi in coltura frutticola da reddito. Un’evoluzione possibile non solo adottando pratiche agronomiche che ne ottimizzano la gestione in campo, ma anche aumentando la competitività sul mercato con l’introduzione di innovazioni di processo e di prodotto, per rispondere a nuove esigenze dei consumatori. A questo obiettivo ha lavorato il progetto Amì (Almond management innovation), finanziato dal Psr Puglia 2014-2020 Puglia - Misura 16 “Cooperazione” - Sottomisura 16.2 “Sostegno a progetti pilota e allo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi e tecnologie” e realizzato da un Gruppo operativo che ha fruttuosamente unito ricerca pubblica e filiera del mandorlo (vedi box in fondo all'articolo), dalla produzione alla trasformazione.
I punti deboli della coltura
«La mandorlicoltura pugliese, che concorre per il 40% alla produzione italiana di mandorle, è stata per parecchio tempo relegata ad attività agricola marginale, caratterizzata quindi da diversi punti deboli e mancanza di innovazione, come è emerso da un workshop organizzato fra operatori della filiera prima della formazione del Gruppo operativo che ha promosso il progetto Amì» introduce Pasquale Losciale, docente di Coltivazioni arboree, specializzato in ecofisiologia delle piante arboree, presso il Disspa dell’Università di Bari e responsabile scientifico del progetto Amì
I punti deboli più evidenti nella gestione agronomica sono:
- conduzione dell’irrigazione in maniera empirica e inefficiente, mutuando conoscenze disponibili per altre specie arboree da frutto e prelevando acqua da falde acquifere, con elevati costi non solo energetici ma anche ambientali perché il prelievo in falda favorisce l’intrusione di acqua marina;
- utilizzo di suoli con basso franco di coltivazione, ricchi di scheletro e carenti in sostanza organica, impoveriti ulteriormente da continue lavorazioni che riducono nel tempo la fertilità;
- gestione fitosanitaria superficiale, con grosse difficoltà ad affrontarla in modo corretto soprattutto in regime di agricoltura biologica.
Invece nella fase di post-raccolta i punti deboli sono:
- l’infestazione di insetti delle derrate, causa di significative perdite economiche;
- la limitata destinazione d’uso delle mandorle, a fronte dello sviluppo di nuovi prodotti a base di latte di mandorla.
La rusticità del mandorlo, innegabile punto di forza, è diventata anche il suo limite. «Considerato la cenerentola dei fruttiferi, il mandorlo è stato quasi sempre impiantato nei terreni più poveri, salvo poi lamentarsi che “il mandorlo non produce”. Questa voluta trascuratezza verso il mandorlo non compromette la sopravvivenza della pianta, ma certamente pregiudica la sostenibilità economica della coltura.
Con il progetto Amì abbiamo, invece, voluto elevare il mandorlo a coltura autenticamente frutticola, come altre drupacee quali il ciliegio, il pesco e l’albicocco, cercando di trasformarne la gestione da tradizionale a tradi-razionale e poggiandola su due pilastri: la sostenibilità economica e quella ambientale».
Soluzioni innovative
Per raggiungere tale scopo, informa Losciale, il progetto Amì ha implementato soluzioni innovative sia per la gestione delle pratiche colturali sia per la fase di prima trasformazione del prodotto.
«Con l’ausilio fondamentale di Cia-Agricoltori Italiani Puglia, capofila del progetto, la ricerca, che ha unito Università di Bari, Crea-AA e Cnr-Ispa, ha saputo pienamente integrarsi con la produzione e la trasformazione, rappresentati da Cooperativa Contado (1500 ha a mandorlo di proprietà dei soci), Tenute Guidotti (80 ha a mandorlo) ed Equal Time, redigendo insieme protocolli e linee guida. Infatti gli approcci innovativi proposti per la coltura del mandorlo sono stati messi a punto e implementati in sinergia con i partner aziendali, che sono diventati attori principali del processo di innovazione e testimoni dei risultati ottenuti facilitandone la divulgazione».
L’ottimizzazione della produzione in campo ha previsto l’applicazione di protocolli innovativi di irrigazione plant-based o base pianta (irrigazione che asseconda le reali esigenze idriche della pianta), la gestione del suolo rispettosa del carbonio e dell’acqua (carbon & water friendly) e il controllo delle avversità biotiche secondo un approccio biologico.
Tre diverse strategie irrigue
«Per ottimizzare la gestione irrigua del mandorlo abbiamo messo a punto un protocollo di stress idrico controllato, in modo da gestirlo senza essere governati da esso. La finalità è stata mettere la pianta in stress idrico nelle fasi fenologiche in cui è meno idroesigente, in modo da diminuire la quantità di acqua irrigua somministrata, quindi risparmiare acqua, senza però ridurre la produzione. Se invece si mette la pianta in stress nelle fasi in cui è altamente suscettibile, irrigando di meno o non irrigando, si riduce la produzione non solo per l’anno in corso ma anche per il successivo, perché le piante arboree sono dotate di memoria: dopo la raccolta la pianta del mandorlo comincia a lavorare per se stessa, sintetizza carboidrati per differenziare le gemme a fiore dell’anno seguente e per ripristinarne il contenuto negli organi di riserva, altrimenti comincia a produrre progressivamente meno e, in alcuni casi, ad andare in alternanza di produzione».
Nelle Tenute Guidotti, su 1,5 ha di mandorli della varietà Guara/Tuono impiantati con sesto 5 x 5 m, sono state messe a confronto tre diverse gestioni irrigue (gestione aziendale tradizionale, stress idrico moderato e stress idrico severo) per capire fino a che punto sia possibile spingersi con lo stress.
«In collaborazione con i ricercatori del Crea-AA abbiamo monitorato il microclima con centraline meteo, il suolo con sensori di umidità e la pianta misurando diverse variabili tra cui la conduttanza stomatica, cioè il grado di apertura degli stomi, la fluorescenza della clorofilla e il potenziale idrico del fusto – spiega Losciale –. Il primo anno abbiamo cercato di capire come si comporta il mandorlo, il secondo anno abbiamo usato la pianta come bioindicatore, per avere una misura molto più accurata e rappresentativa. Abbiamo mantenuto le piante a livelli di conduttanza e potenziale (nel mandorlo possiamo utilizzare alternativamente una o l’altra variabile) che erano per noi le rispettive soglie di intervento. Quando il loro valore era sotto la soglia critica imposta abbiamo irrigato, somministrando la quantità di acqua evapotraspirata fino a quel momento. Se invece la variabile misurata non aveva raggiunto la soglia critica, la pianta non aveva ancora bisogno di acqua».
Come funziona lo stresso idrico
Oltre a determinare le soglie di intervento (intensità dello stress idrico) la sperimentazione in campo ha definito anche l’ampiezza.
«L’ampiezza dello stress idrico indica, appunto la durata dello stress. È possibile applicare lo stress solo quando il frutto ha terminato l’accrescimento, che dura circa 45 giorni dopo l’allegagione. Una volta che il frutto ha raggiunto il peso fresco e il volume finali, inizia la fase di kernel filling, cioè di riempimento e maturazione del seme, che si disidrata, acquista carboidrati, non dalle foglie, ma dai tessuti di riserva, e aumenta il peso secco: questa è una fase in cui la pianta del mandorlo sopporta meglio lo stress, il che non significa non irrigarla, ma dare acqua rispettando il criterio della soglia di intervento. Invece in primavera e in post-raccolta il mandorlo è molto suscettibile allo stress idrico; queste peraltro sono epoche in cui, per la disponibilità di piogge e temperature più basse, risparmiare acqua non è un grande obiettivo. Dopo la raccolta delle mandorle, non possiamo far mancare l’acqua, perché la pianta deve ripristinare le riserve che ha consumato per nutrire e riempire i semi; se non ripristina le riserve, l’anno dopo la pianta andrà in crisi. In primavera anche il mandorlo, come tutte le drupacee, prima fiorisce e poi germoglia: per le fasi iniziali di accrescimento del frutto deve ricorrere alle riserve, se queste non sono sufficienti l’anno seguente avrà difficoltà nell’incremento del volume e del peso del frutto».
Per profondità dello stress idrico si intende quanto può essere intenso. È sconsigliato uno stress molto severo: quando la pianta si disidrata velocemente il mallo aderisce fortemente al guscio, secca e non si stacca, causando una seria difficoltà tecnologica per la smallatura. «Lo stress più adeguato è risultato quello moderato, con un risparmio di circa il 30% di acqua e con soglie di intervento pari a 0,12 mmol H2O/m²s per la conduttanza stomatica e -1,5 MPa per il potenziale idrico del fusto. Peraltro, in base ai risultati ottenuti dal Cnr-Ispa, lo stress moderato ha favorito l’incremento di alcuni polifenoli e di sostanze volatili tipiche delle mandorle, migliorando la qualità rispetto al controllo.
Abbiamo così dimostrato che uno stress idrico severo non migliora la qualità del prodotto, ridimensionando il luogo comune secondo il quale le mandorle in asciutta sono di qualità migliore di quelle irrigate, anzi abbiamo osservato un decremento della qualità quando le mandorle erano severamente stressate. È quindi importante unire la tradizione all’approccio scientifico, razionale: è vero che le mandorle sono rustiche, ma l’aver somministrato l’acqua quando la pianta ne aveva bisogno non solo non ha modificato la produzione ma nello stesso tempo ha ridotto l’aderenza al mallo e migliorato la qualità. Utilizzando quindi le soglie di intervento su base pianta per individuare il momento in cui irrigare e il monitoraggio di clima e umidità del suolo per determinare il volume irriguo da somministrare è stato possibile ottenere un risparmio idrico variabile dal 20%al 40% rispetto al testimone».
Pacciamatura del terreno con il mallo: diversi vantaggi
Per la gestione del suolo, nello spirito dell’economia circolare, il progetto Amì ha utilizzato il mallo, comunemente considerato uno scarto, come un sottoprodotto, puntualizza Losciale. «In un’azienda socia della Cooperativa Contado, su 1,5 ha di mandorli della varietà Filippo Cea, condotti in asciutta e impiantati con sesto 6 x 8 m, dopo la raccolta e la smallatura delle mandorle abbiamo realizzato sulle file una fascia pacciamante larga 1,5 m e alta 15 cm formata dai malli.
I benefici sono stati evidenti:
- valorizzazione di uno scarto, il cui smaltimento aveva un costo;
- controllo dello sviluppo delle infestanti sulla fila;
- riduzione dell’evaporazione del suolo sulla fila, dove l’umidità misurata era molto più alta rispetto al controllo, a vantaggio dell’apparato radicale, dello sviluppo della pianta, con germogli più lunghi, e della produzione, più consistente;
- aumento del contenuto in sostanza organica del suolo.
Questa modalità di gestione del suolo, che, oltre alla pacciamatura sulla fila, prevedeva lo sfalcio sull’interfila, l’abbiamo comparata con altre due, quella aziendale con terreno lavorato e mantenuto nudo e un’altra con terreno inerbito e sfalciato su fila e interfila, ed è risultata la più soddisfacente».
Il controllo delle avversità con approccio biologico
Il controllo delle avversità biotiche secondo un approccio biologico ha previsto il miglioramento della conoscenza delle avversità fitosanitarie e l’impiego di pratiche a basso impatto.
«In primo luogo è stata realizzata un’intensa attività di monitoraggio per appurare quali sono le patologie presenti in campo. Particolare attenzione è stata riservata, da parte dei ricercatori del Disspa, al complesso della monilia (Monilinia spp.), che è molto diffusa nei mandorleti pugliesi, e al cancro delle drupacee o dei nodi (Fusicoccum amygdali). In pari tempo si è cercato di capire quali pratiche biologiche siano utilizzabili e in particolare l’efficacia di prodotti a base di microorganismi quali Aspergillus spp., Bacillus spp. e Trichoderma spp.».
Il trasferimento di innovazioni alla fase di trasformazione, prosegue Losciale, ha riguardato l’innovazione del processo di sanitizzazione delle mandorle basato sull’uso delle microonde e la valorizzazione della produzione mandorlicola regionale mediante la caratterizzazione e lo sviluppo di nuovi prodotti.
«Attualmente le aziende trasformatrici per sanitizzare le mandorle da eventuali infestazioni di tignola grigia delle derrate o della farina (Ephestia kuehniella) utilizzano celle stagne in atmosfera controllata, dalle quali aspirano l’ossigeno per inserire azoto. La mancanza di ossigeno fa morire le larvette per asfissia. È tuttavia un metodo non solo economicamente costoso ma anche dispendioso sotto il profilo ambientale per la movimentazione di gas. Perciò abbiamo cercato di ridurre le perdite dovute alle infestazioni di insetti con la metodologia delle microonde, che è a residuo zero. Il Disspa ha realizzato un prototipo, costituito da un nastro su cui passano in continuo le mandorle e da emettitori di microonde, che ha permesso di abbattere quasi al 100% la popolazione di uova e di larvette, aumentando notevolmente la shelf-life delle mandorle e non compromettendo la qualità del prodotto, come verificato dai ricercatori Cnr-Ispa. Questo è un metodo poco costoso, poiché la macchina, una volta acquistata, è utilizzabile per molti anni e su diverse matrici e ha un minimo impatto ambientale».
Prodotti per valorizzare la coltura
La valorizzazione della produzione mandorlicola pugliese ha puntato sulla elaborazione di nuovi prodotti a base di latte di mandorla che permettano di incrementare la platea di consumatori e la competitività della produzione di mandorle.
«Oltre a mettere a punto protocolli per la preparazione di dessert a base di latte di mandorla, la Equal Time, impegnata nello sviluppo di tecnologie alimentari, ha scoperto che dopo la produzione di latte di mandorla resta una pasta, chiamata okara di mandorle, che costituisce uno scarto. Però Equal Time con l’ausilio di ricercatori del Disspa ha verificato che è importante dal punto di vista nutrizionale, poiché è ricco di fibre non idrosolubili, grassi e alcune proteine, l’ha stabilizzato, verificando se è preferibile liofilizzarlo o disidratarlo, e poi l’ha addizionato alla farina per produrre biscotti, focacce e altri prodotti dotati di un maggiore valore aggiunto, perché contengono più fibre e acidi grassi insaturi».
Puntiamo alla razionalizzazione
Per Losciale il merito principale del progetto Amì è che le soluzioni sperimentate e applicate sono adottabili e trasferibili trasversalmente a tutte le aziende agricole pronte a comprendere il valore aggiunto derivante dalle conoscenze del sistema della ricerca. «Non è solo “il saper fare” tramandato nell’azienda agricola a guidare i processi, ma una razionalizzazione degli input guidata da robuste conoscenze scientifiche e tecnologiche. Razionalizzare significa, infatti, gestire in modo efficace gli input e ottenere rese produttive che assicurino prodotti di qualità in un’agricoltura sostenibile. I risultati derivanti dal progetto Amì hanno dimostrato che il mandorlo è una coltura da reddito, che l’interazione con il sistema della ricerca è vincente e che la cooperazione tra operatori agricoli per offrire sul mercato un prodotto di qualità non è fantasia ma realtà se insieme ci si adopera per adottare processi produttivi razionali e sostenibili, per l’azienda agricola e per l’ambiente».
Il Gruppo operativo del progetto Amì
- Cia-Agricoltori Italiani Puglia, capofila del progetto Amì e referente delle azioni di comunicazione e divulgazione; ha coordinato il Gruppo operativo facilitando il dialogo tra gli operatori agricoli e agroalimentari e la ricerca con il supporto dell’Innovation broker Agriplan
- Dipartimento di scienze del suolo della pianta e degli alimenti (Disspa) dell’Università di Bari
- Centro di ricerca Agricoltura e Ambiente del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea-AA), sede di Bari
- Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ispa), sede di Lecce
- Tenute Guidotti società agricola srl - Casamassima (Ba)
- Cooperativa Oleificio Contado - Toritto (Ba)
- Equal Time onlus società cooperativa sociale - Bitonto (Ba)