Pericoltura in crisi

pericoltura in crisi

Due eventi sconvolgenti hanno messo a soqquadro la filiera delle pere. Anzitutto il grave impatto dell’andamento climatico invernale-primaverile sulle previsioni di produzione 2019 (accertamenti ancora non definitivi) e, in secondo luogo, il fallimento del principale obiettivo del Consorzio Opera, a quattro anni dalla sua nascita, per la rottura avvenuta al suo interno fra gruppi cooperativi (ApoConerpo in prima linea) e operatori privati, clamorosamente attestato dall’uscita di varie aziende produttrici ferraresi: Mazzoni Group, Diamantina (gruppo Cavallari) e OP Iaffa.

Un insieme di cause, fra l’altro concomitanti e comunque troppo complesse per essere analizzate in questa breve nota editoriale, stanno mettendo a dura prova un intero settore e cioè la pericoltura, perché questa vede colpito proprio il suo nevralgico centro operativo e cioè le province di Ferrara e Modena, cuore della pericoltura padana e italiana.

Quest’anno la crisi delle pere, probabilmente, non dipenderà dai bassi prezzi, ma dalla ridotta fruttificazione, non solo in Emilia-Romagna, dove in alcuni casi clamorosi si rileva anche una mancata allegagione e una cascola quasi totale dei frutti (es. Abate Fétel, Conference, Decana del Comizio), ma anche in Veneto, Piemonte e altre aree del Nord e Centro Sud. La situazione sembra essere però molto eterogenea. Un concorso di cause, a partire dalle avversità climatiche in fioritura e dopo, dalla siccità estiva 2018 e dall’eccessiva carica di frutti dello scorso anno (con possibile ritorno all’alternanza degli alberi), fino all’inadeguata o insufficiente presenza di varietà impollinatrici e al ritorno di patologie che sembravano scomparse (morie dei peri su cotogno, attacchi batterici, non solo colpo di fuoco, e fungini quali valsa del legno e maculatura bruna sui frutti).

La scorsa annata, dopo un buon inizio con prezzi soddisfacenti, le vendite invernali e primaverili non sono proseguite bene a causa di appesantimenti interni ed esterni (si veda ad esempio il disorientamento dei mercati provocato dalla crisi della pericoltura belga-olandese, non più capace di rifornire il Nord Europa dopo l’embargo russo) e conseguente ingolfamento dei mercati europei (Germania e Francia in particolare), con prezzi bassi e pessima chiusura in primavera anche della campagna italiana.

La pericoltura perciò non riesce a trovare stabilità di produzione e di mercato. Già da anni è noto che i pericoltori, soprattutto i produttori di Abate Fétel, non riescono a fare bilancio se non raggiungono almeno 40-50 t/ha di prodotto a prezzo pieno (quando Conference in Belgio raggiunge rese di ben 60-80 t/ha). Come possiamo continuare a produrre sotto costo?

È dimostrato che i pericoltori, pur con la disponibilità di mezzi tecnologici d’avanguardia e di ottimi servizi di assistenza tecnica, non riescono a garantire standard qualitativi elevati, insieme a sufficienti rese produttive in campo. Si veda, ad esempio, lo scorso anno, la necessità di escogitare uno speciale marketing per le pere di ridotta pezzatura.

pericoltura

Ora sta montando un clima di sfiducia, le cui conseguenze potrebbero innescare improvvisi abbandoni e decisioni avventate. Pensiamo ad una possibile ripresa degli spiantamenti (si ricorderà il drastico abbattimento di 20-30.000 ha di peri di tre-quattro decenni or sono), ad un blocco del turnover per il necessario rinnovo degli impianti obsoleti, all’interruzione dei programmi vivaistici se viene meno la domanda di piante (i vivai, come si sa, programmano innesti e astoni con due-tre anni di anticipo); probabilmente si potrebbero avere riflessi negativi nei trend di consumo delle pere.

C’è poi un’aggravante: non possiamo tacere che l’acclarata riduzione di consumo di pere (in controtendenza con altri frutti come albicocche, uva, kiwi e agrumi) è legata ad una perdurante, diffusa vendita di prodotto immaturo (che richiede un impossibile impegno domestico per la post-maturazione) o comunque di qualità insoddisfacente; talvolta la maturazione è bloccata da sconsiderati trattamenti di MCP per prolungare la frigoconservazione (non ancora messa a punto la tecnica di uso sulle pere, a differenza delle mele). La scarsa qualità, dunque, sta contribuendo ad allontanare i consumatori.
Di tutto questo hanno risentito indubbiamente anche gli esiti delle iniziative del Consorzio Opera, il cui compito principale, legato all’aggregazione di produttori, era quello di creare valore aggiunto al prodotto pera, a partire da un allineamento produttivo, anche in termini organizzativi-qualitativi, affiancato da un forte e continuativo impegno promozionale dei consumi (vedi pubblicità televisiva) durato vari mesi, che si suppone sia andato a beneficio di tutti i produttori di pere, anche i non associati.

Secondo Maurizio Gardini, presidente di Alleanza delle Cooperative Italiane, la “rottura” fra i soci cooperatori e privati non bloccherà gli obiettivi di Opera, che rimangono validi, anche se potrà ritardare gli sviluppi, perché la linea è ancora valida. Secondo Gardini il settore non è ancora maturo, i privati non l’hanno capito, e il “servizio” di Opera è stato troppo anticipatore nei suoi tempi.

Questa Rivista pubblica di seguito il comunicato di Opera, il cui direttore, il super attivo manager Luca Granata, non ha voluto fare commenti, convinto di aver finora operato per il bene di tutti. Ma certo se le “liquidazioni” dei prezzi a fine 2018 per i soci non sono state pari alle aspettative, ciò è dovuto agli oneri che l’attuazione del suo programma a medio termine hanno comportato e che non hanno permesso una monetizzazione immediata dell’iniziativa. Non si può pretendere che un gruppo (Opera) che controlla solo il 25% della produzione italiana possa dettare la linea di mercato, anche se alcuni brillanti risultati Opera li ha ottenuti nei rapporti con le GDO, nelle modalità dei pagamenti, nella sicurezza dei conferimenti, nell’immagine gradevole pubblicizzata del prodotto pera. Questa è comunque una sconfitta per tutti, perché senza aggregazione non si risolve il problema della debolezza dell’offerta e il fatto che questo evento indichi apparentemente una rivalsa individualista nei confronti del lavoro in comune non significa fallimento dell’idea, delle azioni e dei risultati finora acquisiti da Opera. Restiamo perciò fiduciosi che l’attività di Opera possa riprendere slancio ed estendersi.

Quanto accaduto è comunque un monito anche per il mondo cooperativo, che deve tenere in maggior conto le regole di mercato, per cercare di premiare in primo luogo l’impegno delle aziende produttrici e non solo la sopravvivenza delle proprie strutture e infrastrutture.

Pericoltura in crisi - Ultima modifica: 2019-07-24T09:55:56+02:00 da Lucia Berti

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