In Italia, con la crisi economica del 2008-09, anche il consumo di frutta fresca è andato diminuendo in misura consistente e solo di recente le vendite hanno ricominciato a crescere a ritmo sostenuto. Il calo dei consumi è derivato dal fatto che la frutta fresca aveva perso di importanza nel sistema delle preferenze delle famiglie italiane, che avevano rinunciato ad acquistarla per risparmiare o premiare altre categorie alimentari.
La ripresa dei consumi a valore degli ultimi anni (secondo Ismea-Nielsen +3,8% nel 2015-14, +2,3% nel 2016-15 e +4,2% nel 2017-16 della frutta confezionata) rimette la frutta fresca in una posizione di rilievo nel carrello della spesa degli italiani, ma gli acquisti non si indirizzano con la stessa intensità verso i prodotti di un tempo. In partica, in un contesto di ripresa della spesa alimentare, alcuni tipi di frutta nazionali vengono rivitalizzati solo parzialmente dal punto di vista commerciale in quanto, nel frattempo, oggetto di disaffezione da parte del consumatore italiano, molto più attratto oggi rispetto al passato dalla disponibilità di altri tipi di frutta un tempo magari troppo cara, di difficile reperibilità o non disponibile in condizioni ottimali di maturazione.
Questo è il caso di alcuni tipi “minori” di frutta tropicale come mango, avocado, papaya, ecc. Oggi le importazioni della frutta tropicale non si concentrano più come un tempo solo sui prodotti tradizionali (banane e ananas), ma presentano una scelta molto più ampia e diversificata. In particolare, anche se le banane rimangono di gran lunga il prodotto maggiormente presente sul mercato comunitario (GDO e piccolo dettaglio), nel corso del tempo si è progressivamente incrementata la presenza di mango, avocado, papaya, litchi, ecc. che spesso rappresentano delle novità per i consumatori. Per il momento il fenomeno è più europeo che italiano: nel 2017 i consumi (apparenti) nazionali di frutta tropicale riguardavano quasi esclusivamente le banane (82,3%) e gli ananas (14,7%) e solo in maniera residuale gli altri prodotti tropicali (3%).
D’altra parte, va rilevato che la frutta tropicale ha rappresentato all’incirca il 12% dei consumi domestici delle famiglie italiane nel 2017, superando in volume le 817.000 t, con un incremento dell’8,4% rispetto al 2010 (Fonte: CSO). In Francia, nello stesso periodo, la quota della frutta tropicale “minore” è salita dal 24 al 33%; in Germania dal 19 al 22%. Visto che i cambiamenti nelle abitudini degli altri Paesi comunitari spesso si estendono anche al nostro vi è da aspettarsi all’interno della frutta tropicale un trend simile anche in Italia.
In questo contesto, vale la pena di seguire l’evoluzione dell’avocado, il cui consumo apparente in Italia, come ricordato in precedenza, è inferiore all’1% della frutta tropicale nel suo complesso, ma che, tuttavia, risulta tra i prodotti con le migliori prospettive di crescita.
La specie è originaria del Centro America ed è presente in Paesi con climi tropicali e mediterranei. Questi includono Paesi di Sud America (Messico, Cile, Brasile, Perù e Colombia), Africa (Kenya, Ruanda e Sud Africa), Asia e Medio Oriente (Indonesia e Israele), Europa (Spagna), Stati Uniti e Australia. In particolare, molti dei Paesi menzionati negli anni si sono specializzati nella produzione di questo fruttifero, per cui il l’avocado è oggi disponibile con continuità sul mercato europeo durante tutto l’anno.
In Italia, negli ultimi dieci anni, la popolarità dell’avocado è notevolmente aumentata. In effetti, le importazioni di tutte le varietà sono più che triplicate in volume. Gli importatori italiani cercano la disponibilità di prodotto in base al periodo di raccolta, partendo dai Paesi più vicini geograficamente come Spagna e Israele.
I moderni sistemi di trasporto consentono però di arrivare sui mercati all’ingrosso anche all’avocado del Sud America e del Sud Africa (via Belgio, Olanda e Germania, i cui porti vengono usati come “hub” per la distribuzione in Europa), a dimostrazione che anche in Italia la competizione è ormai globale.
Il canale di vendita privilegiato dell’avocado è la grande distribuzione organizzata che si stima assorba il 60-70% delle vendite. Il canale GDO è in crescita perché sono migliorate le tecniche di conservazione dei frutti (spesso “ready to eat”) e c’è la disponibilità del prodotto per l’anno intero. A questo proposito va però rilevato che il calendario di produzione dell’avocado è molto più articolato di quello di altra frutta tropicale perché coinvolge zone di produzione geograficamente molto lontane (o varietà diverse) e questo può generare oscillazioni, anche consistenti, nel livello dei prezzi all’import.
Anche se sono disponibili più varietà, l’offerta è sostanzialmente incentrata su due grandi categorie. La varietà Hass, con buccia spessa, che, per via della sua resistenza, è la più trattata a livello di commercio interemisferico. A completamento dell’offerta ci sono però altre varietà a buccia verde più brillante e sottile (“greenskin”) come Ettinger, Fuerte e Pinkerton. Il frutto è destinato sia al consumo domestico che all’utilizzo come ingrediente nelle insalate, per zuppe, creme e salse (come il guacamole, per chi segue un’alimentazione vegana e di ispirazione sudamericana).
Il consumo italiano
In Italia, in base ad un sondaggio condotto presso gli operatori, il consumatore sembrerebbe preferire le varietà con epidermide verde rispetto alla Hass, il cui colore tende ad inscurirsi mano a mano che avanza nella maturazione. Però la situazione è in evoluzione e presto anche nel nostro Paese le preferenze varietali dovrebbero allinearsi a quelle del resto del mondo.
Il caso dell’avocado è interessante perché lascia intuire la direzione che potrebbero assumere i consumi di frutta negli anni a venire. Anche se non vi sono rilevazioni continuative sul livello di sostituibilità tra le varie specie di frutta, si può ritenere che la frutta tropicale eserciti una concorrenza indiretta a quella continentale europea, dovuta al fatto che l’incremento delle importazioni avviene ad un tasso di crescita di gran lunga superiore a quello del consumo pro-capite complessivo di frutta. Il consumatore può dunque essere indotto a limitare la quantità acquistata di prodotti continentali tradizionali sia invernali (mele, pere, kiwi), sia estivi (pesche e altra frutta a nocciolo), avendo la certezza di poter contare sulla disponibilità in via continuativa di frutta tropicale per un periodo di tempo più lungo che in passato.
In questo caso, l’acquisto di specie di frutta nostrana può venire procrastinato, andando a vantaggio di quelle tropicali. D’altra parte, le attese di aumento dei consumi per l’avocado (ma più in generale per la frutta tropicale) sono tali che hanno spinto alcune aziende nazionali ad impegnarsi direttamente nella coltivazione allo scopo di arricchire l’offerta con avocado italiano invece che straniero.
Conclusioni
In prospettiva, l’avocado è destinato a non essere più vissuto come un bene voluttuario perché la disponibilità del frutto a prezzi contenuti, grazie al moltiplicarsi dei Paesi di provenienza, costituisce una circostanza che tende a renderlo, nel lungo periodo, prodotto alternativo all’acquisto di frutta nazionale. D’altra parte, questo frutto è coltivato in Spagna, a dimostrazione del fatto che la crescita della domanda del Vecchio Continente per la frutta tropicale può avere ricadute anche sull’offerta europea.
Un futuro tricolore per l’avocado?
In Italia l’abitudine di mangiare frutta tropicale è ancora circoscritta, ma questa situazione potrebbe cambiare in poco tempo. Infatti, molti frutti tropicali sono in rampa di lancio, trainati dal crescente interesse nei loro confronti di molti Paesi comunitari. Negli ultimi anni il consumo di avocado nell’Ue è raddoppiato e attualmente si stima in circa 0,75 kg/p.c., ancora quattro volte più basso di quello degli Stati Uniti. La maggior parte degli avocado consumati nell’Ue viene importata, ma la Spagna ne produce ogni anno quasi 70.000 t e nel bacino del Mediterraneo anche Israele è un produttore specializzato (varietà Hass). In questa logica anche alcune imprese italiane hanno cominciato a coltivare questa specie da frutto in alcune regioni meridionali (es. Sicilia e Calabria), gettando i presupposti per la creazione di una filiera italiana che si possa affiancare a quelle più tradizionali degli agrumi.
Anche se l’obiettivo è ambizioso, esistono degli esempi di successo di frutta extra-europea trapiantata in Italia. Il kiwi è riuscito a ritagliarsi, nel corso del tempo, un ruolo di rilievo nel panorama del commercio internazionale grazie alla progressiva espansione di questa coltura in Paesi di entrambi gli emisferi. In Italia l’originale curiosità per il kiwi al suo apparire sul mercato come specie esotica si è infatti ben presto trasformata in interesse commerciale ed ha incoraggiato il diffondersi della sua coltivazione nel nostro Paese sia nel Lazio che in Emilia-Romagna e Veneto, facendo dell’Italia il principale produttore europeo.
L’allargamento del bacino di produzione anche ai Paesi dell’Emisfero Nord a suo tempo ha favorito la progressiva destagionalizzazione dell’offerta, rendendo questo frutto disponibile a livello mondiale nell’intero arco dell’anno. Ci sono stati, al contrario, anche esempi di fallimenti, fra cui il babaco, lanciato in Italia nei primi anni ottanta, ma mai sviluppatosi nel nostro Paese.
L’esperienza contrapposta dei due prodotti citati sembra evidenziare che la disponibilità di aree pedoclimatiche idonee, tali da consentire la produzione a costi competitivi rispetto a quelli del prodotto importato (Spagna, America Latina), e una programmazione degli investimenti in linea con l’evoluzione della domanda siano due elementi imprescindibili per il successo di qualunque iniziativa. D’altra parte, dal punto di vista del marketing, l’avocado ha caratteristiche che ne agevolano la valorizzazione commerciale. Ricco di vitamine (B6), fibre e Omega 3, l’avocado è da tempo ai vertici delle graduatorie degli alimenti funzionali (“superfood”).