La metodologia impiegata per determinare le quantità di elementi minerali che la pianta consuma per produrre una certa quantità di frutti è la stessa per le differenti specie frutticole. In generale, si tratta di misurare la massa secca dei vari organi della pianta o di loro porzioni per poi, attraverso determinazioni analitiche, misurare la concentrazione di macro e microelementi. Semplici calcoli permetteranno poi di risalire alla quantità di elementi consumata e di riferirla all’ettaro oppure alla tonnellata di frutti prodotti.
Le indagini sulla quantità di elementi minerali in gioco e che la pianta estrae annualmente dal suolo, tengono conto delle seguenti quote:
- quota fissata nelle strutture permanenti della pianta (fusto, branche principali, brachette, tralci permanenti e radici). Tale quota, ovviamente, andrà ripartita tra gli anni di vita del frutteto, anche se questa è una semplificazione, dal momento che è logico ritenere che la pianta accumuli nelle proprie strutture permanenti quantità diverse di sostanza secca per ognuno degli anni del suo ciclo. È la quota che comporta il maggior impegno (anche economico) poiché prevede l’utilizzo di un metodo distruttivo;
- quota riciclata ossia quella che cade sul terreno e vi rimane in attesa di venir mineralizzata. Si tratta dei frutticini del diradamento, del materiale di risulta della potatura verde, delle eventuali spollonature e delle foglie alla caduta autunnale;
- quota asportata fisicamente dal frutteto: è quella più facilmente determinabile essendo costituita dalla produzione di frutti e dal legno di potatura e del risultato della spollonatura manuale autunnale o invernale abitualmente ammassati in testata ai filari e bruciati.
I dati riportati in questa nota sono riferiti a 4 specie tra le più diffuse nel Nord Italia e riguardano per l’actinidia le quote fissata, riciclata ed asportata; per il ciliegio e per il nocciolo le quote riciclata e quella asportata; infine, per il melo, la sola quota asportata.
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