In Italia, nell’ambito frutticolo, la pericoltura riveste un ruolo importante, rappresentando a livello nazionale oltre il 10% in termini quantitativi e mediamente il 16% in termini di valore. In alcune regioni l’importanza delle pere tra le diverse specie frutticole coltivate appare nettamente superiore; è il caso ovviamente dell’Emilia-Romagna che concentra quasi il 70% della pericoltura nazionale: il peso delle pere in questo caso sale al 40% in termini quantitativi e si posiziona al 50% in termini di valore.
Questi numeri hanno portato storicamente l’Italia a vantare, nel panorama europeo, una posizione di primato, quale maggiore Paese produttore di pere da sempre. Se guardiamo però i valori più recenti, anche evitando di andare troppo indietro nel tempo, ci accorgiamo che quel primato sta lentamente svanendo: fino al 2010-11 mediamente l’Italia assommava circa il 35% delle pere europee, mentre oggi siamo posizionati sul 30% e nella scorsa annata siamo scesi addirittura al 19 a causa del forte deficit di offerta. Nel 2020 si registrerà un posizionamento ancora nettamente sotto la media più recente a causa della contenuta disponibilità di prodotto.
Drastica riduzione delle superfici
Ci si chiede se questo calo sia strutturale o congiunturale. Sicuramente è strutturale: in questi ultimi anni le superfici produttive di pere in Emilia-Romagna sono scese di oltre 2.000 ha nel passaggio tra il 2015 e il 2020, per una superficie attualmente in produzione di circa 17.400 ha. Parallelamente, a livello nazionale, sono oggi stimati in produzione circa 28.800 ha, in diminuzione di poco meno di 3.000 ha sempre analizzando il medesimo arco temporale. Confrontando i numeri attuali con quelli di 0 anni fa si evidenzia una flessione del 20% circa.
Nel lungo periodo l’erosione delle superfici, in particolare delle cultivar tradizionali, ha comportato inevitabilmente una limitazione del potenziale produttivo: si è passati da circa 900 mila t medie nei primi anni duemila a circa 730 mila t nel decennio successivo. Sicuramente c’è da anni un problema di competitività crescente nel panorama europeo su questa tipologia di frutto. Belgio e Olanda negli anni hanno evidenziato una progressiva crescita produttiva; la loro offerta si è posizionata negli ultimi anni sulle 350 mila t per ciascun Paese, anche se il potenziale produttivo può essere decisamente maggiore.
Crescente competitività europea
Sul piano commerciale Belgio e Olanda, con una spiccata predisposizione all’export della loro per d’eccellenza, la Conference, sono presenti sul mercato europeo lungo tutto il periodo di commercializzazione e con quantitativi sempre maggiori, soprattutto dopo l’embargo russo. Sta di fatto che questa situazione è ormai consolidata da almeno 5 anni a questa parte. La Spagna, pur evidenziando un’offerta che tende a diminuire, è presente sul mercato soprattutto nella fase iniziale proponendo prodotti a prezzi generalmente molto concorrenziali.
Sulla competitività italiana giocano un ruolo importante i costi di produzione che, soprattutto a causa dell’elevato costo del lavoro, superano di gran lunga quelli dei Paesi concorrenti, ma anche la minore organizzazione dal punto di vista dell’aggregazione produttiva e commerciale.
Difficoltà nella coltivazione
Sul piano produttivo la criticità nel creare reddito per i produttori nasce già alcuni anni fa a causa della difficoltà a raggiungere una PLV adeguata generata dai bassi rendimenti. Nel corso degli ultimi 20 anni le rese medie per ettaro delle pere emiliano-romagnole, al di là delle oscillazioni annuali, denotano una stabilità intorno a 25 t/ha. È necessario fare una profonda riflessione sulle cause che portano a questa stazionarietà, perché sotto determinati quantitativi non si può ovviamente generare una redditività adeguata. Gli ultimi due anni sono stati contraddistinti da ulteriori problematiche legate anche ai cambiamenti climatici, che è un’altra componente importante con cui l’agricoltura si dovrà necessariamente confrontare, già da oggi, in prospettiva futura.
Nel corso dell’ultimo biennio, infatti, sono risultati particolarmente impattanti sul volume dell’offerta disponibile la massiccia diffusione della cimice asiatica e della maculatura bruna. La cimice asiatica aveva fatto la sua comparsa già negli anni precedenti, ma mai con l’intensità del 2019, così come la maculatura bruna ha evidenziato i suoi effetti in modo evidente nelle due ultime annate con manifestazioni talora eccezionali. I danni di queste due avversità si sono concretizzati in una notevole perdita di prodotto, caduto a terra o non raccolto per gli ingenti danni qualitativi, e quindi non più idoneo ad essere commercializzato. Questa perdita è stata quantificata in Emilia-Romagna in oltre il 30%, una quota enorme. Ne è derivata un’offerta nazionale 2019 posizionata sul minimo storico, pari a circa 363 mila t, generalmente corrispondenti ad un anno di contenute produzioni nella sola Emilia-Romagna.
Perdita di qualità
Da non sottovalutare il peggioramento qualitativo dei frutti raccolti, di cui solo il 55% è è risultato commercializzabile contro un dato medio di quasi il 70%; é stato stimato da CSO che nel 2019 per la sola varietà Abate Fetel il saldo tra il costo di produzione e la PLV sia risultato negativo in media di oltre 8.500 €/ha
Anche nel 2020 in Emilia-Romagna, dopo un’annata catastrofica come il 2019, si sono ripresentate problematiche importanti legate al forte impatto della maculatura bruna, ascrivibili quasi esclusivamente alla sola cv Abate Fetel, a differenza del 2019 quando soprattutto i danni da cimice avevano interessato praticamente tutto il panorama varietale. Ad oggi non sono disponibili i dati di consuntivo a livello nazionale, ma solo relativi quelli relativi all’Emilia-Romagna; gli ultimi aggiornamenti stimano una produzione totale di circa 400.000 te, chiaramente superiore al deficit del 2019, ma circa il 20% inferiore al 2018 e quindi nettamente sotto la media per il secondo anno consecutivo.
Costi di produzione in rosso
Come si diceva precedentemente, a questa diminuzione concorre soprattutto la varietà Abate Fetel, di cui si stimano oggi in Emilia-Romagna circa 185.000 t, +74% rispetto al 2019 e -25% sul 2018. Per quanto riguarda le altre varietà, William ha confermato le previsioni estive, con una crescita importante sul 2019, registrando un -12% sul 2018. Buoni rendimenti sono stati ottenuti anche con Conference e Kaiser, mitigati però dal calo delle superfici. Da sottolineare, inoltre, che tutte le varietà presentano quest’anno una buona qualità, superiore non solo al 2019, ma anche al 2018, con la sola eccezione di Abate Fetel che vede un lieve miglioramento qualitativo sulla scorsa stagione, ma problematiche conseguenti i ritorni di freddo primaverile.
Sempre rimanendo in tema Abate Fetel, anche per quest’anno si calcola una remunerazione nettamente al di sotto dei costi sostenuti, con un disavanzo di oltre 6.000 €/ha a causa dei minori quantitativi prodotti e degli elevati costi di produzione che tendono a salire per fare fronte alle nuove avversità e che rende il settore ancora più incerto se questa negatività si aggiunge a quella dello scorso anno. Su questi temi cruciali si stanno sviluppando importanti ricerche, che però abbisognano di tempo e verifiche per dare risultati. Le soluzioni ad oggi non sono ancora ben identificate e molto probabilmente sarà necessaria un’azione integrata tra diverse tecniche produttive.
Purtroppo le perdite registrate in due campagne contigue non danno tempo e se non si interviene con tempestività su tutti i fronti le conseguenze non possono che essere l’estirpazione di molti ettari, con danni ingenti non solo alla produzione, ma a tutto l’indotto. E’ necessario quindi fare in fretta per portare sostegno economico ai produttori, unico fattore che permettere loro di fronteggiare le perdite di reddito di questo difficile momento.
Criticità e innovazione varietale
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