Il pesco non finisce mai di stupire, e non solo i costitutori, tanta è la variabilità che esce dai programmi tradizionali di incrocio e selezione, pur a fronte di un genoma tendenzialmente molto omogeneo, frutto di innumerevoli cicli di autofecondazione - grazie alla auto-fertilità da cui è caratterizzato (condizione quasi unica tra le principali specie da frutto).
A fronte di tipologie che il commercio del consumo fresco ha ormai fissato nel marmo (pesche e nettarine, polpa bianca e gialla, percoche e piatte), esistono infatti altri caratteri, in combinazione con quelli classici, che potrebbero dar luogo ad ulteriore segmentazione merceologica: polpa a bassa acidità, polpa sanguigna, polpa croccante a lunghissima shelf life (stony hard), per non citare che le più importanti. E già qui sorgono alcuni problemi, a prima vista insormontabili.
Standard merceologici del pesco: breve ripasso
Partiamo dal settore della distribuzione. Si sa, lo spazio nel punto vendita è denaro e il commerciante dedica ad ogni referenza (articolo in vendita) uno spazio commisurato al suo valore, ma soprattutto alle aspettative di vendita, cioè a quanto rapidamente quello spazio si svuota. Quindi, a quante tipologie di pesca dedicare spazio? Il consumatore saprà apprezzarle tutte? E poi c’è l’altra frutta da esporre, senza dimenticare che l’esposizione del nome della cultivar non è (ancora) obbligatorio, anche se molti operatori provvedono comunque: ma il consumatore le riconosce? Riesce a distinguere tra una pesca Royal Glory e una Bordò, così come distingue una Golden Delicious da una Fuji? E quand’anche fosse in grado, come fidelizzarlo se una certa cultivar è disponibile solo per pochissime settimane? Problemi non semplici.
Poi c’è il settore dei produttori, che nella speranza e nella necessità di trovare soluzione a gran parte dei loro problemi, sono inclini ad adottare sempre nuove cultivar, col risultato attuale delle tante decine di varietà presenti oggi sul mercato: distinguerle tutte in base al loro nome nel punto vendita? Impossibile. E allora dietro al nome di cultivar a tutti note (es. la nettarina Big Top) succede che spesso si commercializzano quelle simili di pari epoca, senza tener conto di altri aspetti fondamentali che le possano differenziare, come la velocità di intenerimento o le caratteristiche gustative. Tale pratica è universalmente diffusa, pur se deleteria per l’ignaro acquirente.
Tra i produttori (in senso lato), non possiamo dimenticare i vivaisti (e i sempre più numerosi diffusori di novità varietali, chiamati ‘editori’ nel mondo francofono), che hanno interesse a moltiplicare la gamma di cultivar offerte ai produttori, in questo facilitati dalla velocità con cui i costitutori mettono sul mercato sempre nuove cultivar, che spesso poco o nulla si differenziano da quelle già presenti. E qui dovremmo aprire una pagina sull’attuale normativa europea, amministrata dal Cpvo, il quale rilascia le privative (i brevetti vegetali nella Ue), senza valutare il loro valore culturale, vale a dire senza un giudizio sul valore aggiunto apportato dalle nuove cultivar. A questo proposito la Ue si sta muovendo per introdurre novità sulla valutazione e certificazione (la privativa vegetale), per cui esiste la possibilità che nel breve futuro anche per i fruttiferi (vite compresa) si introduca, come per le specie moltiplicate per seme, la determinazione del ‘valore culturale’, in aggiunta alla valutazione necessaria per l’iscrizione nei registri nazionali (presupposto per poter richiedere la privativa al Cpvo).
Trasversalmente a queste considerazioni sul mondo produttivo e della distribuzione, esiste un altro irrisolto problema, quello dei requisiti minimi qualitativi che un frutto deve possedere per poter essere immesso al commercio nella Ue. Per il pesco, come per altre specie, di fatto esiste un (quasi) unico fattore, la pezzatura, che è anche il principale discrimine nella valutazione del valore economico riconosciuto al produttore, a cui si può aggiungere l’aspetto esteriore (forma tipica, colore/sovraccolore della buccia). Non esistono parametri per il sapore o quando sono indicati (es contenuto zuccherino in °Brix) non esiste controllo, anche nelle filiere più regolamentate (DOP, ecc.). Fanno eccezione alcuni club varietali, che però non esistono nel pesco, almeno finora.
Problemi vecchi
Questa lunga premessa si situa nell’attuale situazione del settore peschicolo, che da oltre quattro-cinque lustri soffre di un declino produttivo clamoroso, documentato ormai da tutti gli operatori della filiera.
Ne usciremo? Come detto sopra, anche i costitutori sono parte in causa e nel progetto MasPes si desidera dare un contributo per uscire dal tunnel dello sconforto ormai generalizzato, offrendo al mercato cultivar che si distinguano, oltre che per la resistenza ad avversità biotiche e abiotiche (e buona “shelf life”), per caratteri qualitativi superiori alla media delle cultivar già in commercio, per aroma e sapore, magari derogando su alcuni caratteri dell’aspetto esteriore.
Nettarine “Mignon”: origine e tecniche colturali
Nell’ambito della variabilità del germoplasma di pesco e nel lavoro di selezione in atto nel progetto MasPes, è emersa un particolare fenotipo di nettarina che assomma molti dei caratteri portati da Big Top, una delle pietre miliari della moderna peschicoltura: 1) polpa a intenerimento lento (carattere slow softening: SwS); 2) acidità medio bassa (si tratta del carattere mendeliano ‘bassa acidità’, mitigato però da un medio contenuto di acidi nella loro componente quantitativa); 3) elevato contenuto in zuccheri (°Brix superiore a 16, con selezioni che superano abbondantemente i 18-20); a questi caratteri si aggiungono inoltre: 4) forma sferica o sub-sferica; 5) polpa spicca; 6) pezzatura di piccole dimensioni (calibro oscillante tra D e C; 7) e nocciolo spicco, di dimensioni proporzionate al frutto.
Tale fenotipo, inizialmente accantonato a causa della scarsa pezzatura (il parametro più importante nell’ambito degli attuali standard merceologici), ha sollevato in tempi recenti un certo interesse da parte di alcuni esponenti del mondo produttivo, vivaisti compresi, per diversi motivi. In primo luogo, l’eccelsa qualità gustativa, accompagnata dalla facilità di gestione del frutto nel post-raccolta, quel carattere che in inglese viene definito convenience e che potrebbe collocarle anche nella categoria merceologica degli snack. Infatti, grazie al suo lento intenerimento (dopo aver raggiunto la maturazione fisiologica), tale frutto può essere facilmente manipolato, tanto da poterlo tenere in tasca senza problemi. Ed essere consumato ancora sodo, grazie alla croccantezza, unita all’elevato tenore zuccherino.
In secondo luogo, l’aspetto genetico. La piccola dimensione di tali nettarine ha portato ad una iniziale denominazione di mignon (per paragonarlo ai pasticcini), carattere che si è poi dimostrato sotto uno stretto controllo genetico. In terzo luogo, c’è ovviamente l’aspetto agronomico. Se di primo acchito potrebbe sembrare facile produrre frutti di piccole dimensioni, ciò non toglie che in campo sia comunque necessario effettuare gli opportuni interventi di potatura, per definire la migliore forma di allevamento (che deve essere in parete, per poter meglio sopportare la carica dei frutti) e il diradamento, per standardizzare la pezzatura ai fini commerciali, oltre che regolare l’accumulo di fotosintetati (e quindi zuccheri) nel frutto. È infatti noto che esiste un rapporto abbastanza definito tra superficie fogliare e accumulo di zuccheri nel frutto, per quanto piccoli questi possano essere.
Dalle prime sperimentazioni, alla luce delle tecniche attuali, la resa ottimale per poter ottenere frutti con le caratteristiche sopraesposte si aggira sulle 20-25 t/ha; grazie alla standardizzazione del carico produttivo e alla dimensione del frutto, sono sufficienti due sole raccolte, effettuate distintamente nella parte alta e bassa della chioma, raccogliendo però tutti i frutti.
Un cambio di paradigma vantaggioso
Non c’è dubbio che tale tipologia rappresenti un totale cambio di paradigma nel mercato fresco del pesco, perché scardina l’attuale situazione, quasi totalmente legata alla grossa pezzatura del frutto, vista come prerogativa irrinunciabile, focalizzandosi invece sull’aspetto gustativo, unito alla particolarità estetica e praticità di consumo (frutto snack).
Occorre subito sgombrare il campo da una possibile critica di chi potrebbe affermare che l’immissione sul mercato di nettarine piccole aprirebbe ad una indiscriminata invasione dei frutti di scarto delle cultivar normali. Per rispondere a tale obiezione basterebbe prendere in considerazione il contenuto zuccherino delle Mignon. E, da questo punto di vista, c’è purtroppo da sottolineare che anche i frutti di normale pezzatura delle cultivar oggi presenti sul mercato raggiungono i banchi di vendita con °Brix che difficilmente raggiungono il valore di 12, a causa di scelte commerciali e logistiche che penalizzano la qualità e che purtroppo continuano ad affliggere il mercato fresco del pesco.
Terminiamo prendendo ancora spunto dalle parole scritte nel 2014 da Silviero Sansavini: “I peschicoltori, se vogliono, saranno essi stessi a salvare la peschicoltura. Speriamo che il sistema commerciale, cioè l’altra importante parte della filiera, prenda atto di questa grande trasformazione e si renda portatore dei contenuti e dei valori di una produzione che non teme di competere efficacemente sui mercati internazionali”.
Siamo consapevoli che tale cambio di paradigma, legato alle qualità intrinseche piuttosto che alla dimensione, richieda, da parte degli operatori della filiera, molto coraggio. E’ infatti difficile prevedere se questa tipologia di nettarina occuperà solo una piccola nicchia, oppure una fetta consistente del mercato (il processo di selezione prevede di coprire oltre due mesi di produzione/commercializzazione, da metà luglio a metà settembre), ma è certo che essa concentra il meglio dell’innovazione genetica degli ultimi 30 anni, offrendo all’intera filiera la possibilità concreta di rinnovarsi, dalla logistica al piatto (o alla tasca!) del consumatore, giovani compresi.
Il Progetto Mas.Pes. ad oggi ha avviato l’iter di brevettazione per due varietà, segnatamente Mignon 356* e Mignon 064*, la prima a maturazione nel periodo di fine luglio-inizio agosto, la seconda a inizio settembre (fig. 1). Su queste due selezioni si stanno effettuando prove di impiantistica, forme di allevamento e portinnesti, al fine di proporre ai produttori un modello gestionale ben definito, con regole condivise che andranno a formalizzarsi in una struttura “a club”, con l’obiettivo di remunerare adeguatamente tutti gli anelli della filiera, produttori in primis.
Leggi l'articolo completo su rivista di Frutticoltura n. 10/2023