Adriano Aldrovandi è presidente della Coop. Fruit Modena Group e del Consorzio Opera sin dalla sua costituzione nel 2014; è membro del CdA di ApoConerpo dal 2008. È proprietario e conduttore di un’azienda agricola di 30 ettari (a Carpi, Mo), metà viticola e metà frutticola (pero 10, melo 3 ha). Gli sono state rivolte alcune domande sulla situazione attuale della pericoltura emiliano-romagnola e di quali possono essere le vie d’uscita da una crisi profonda come quella che stiamo vivendo negli ultimi anni
L’attuale situazione della coltura del pero è drammatica, perché? Solo per l’Emilia-Romagna o per tutto il Paese? I dati del CSO confermano questo?
Siamo sicuramente in un momento molto delicato per la filiera, a partire dalla fase agricola che, negli ultimi anni, per il pero, è stata messa in ginocchio da maculatura bruna, cimice asiatica e gelate. La marginalità delle aziende frutticole di pero è a picco, ma i problemi vengono da lontano e riguardano anche il commercio. Le superfici pericole dell'Emilia-Romagna sono diminuite di oltre il 20% nell'ultimo ventennio. Malgrado ciò, le pere rappresentano ancora oggi il 35% della PLV frutticola regionale. Un comparto che, fra attività dirette e indirette, dà occupazione a oltre 15mila addetti. Perdere tutto questo patrimonio tangibile, ma anche sociale e umano, sarebbe un vero peccato per l'intera regione. Un disastro per tutti.
Ancor più grave perché la situazione critica è soprattutto nel Nord Italia, mentre i concorrenti, paesi Nordeuropei in testa, hanno meno problemi sul fronte agricolo e, grazie a rese più elevate e costi più bassi, riescono ancora a far quadrare i conti. Per questo le imprese dell’Emilia-Romagna hanno fatto quadrato e si sono unite per il bene di tutti, per guardare al futuro con maggiore speranza. Ora UnaPera è stata anche riconosciuta come AOP e riunisce 25 imprese (13 Op e 12 non Op) che sono l’asse portante del mercato di questo prodotto nel nostro Paese.
Quale cofondatore della nuova Aop UnaPera, quali differenze operative metterai in atto rispetto al Consorzio Opera e alle altre forme aggregative esistenti? Quali nuovi obiettivi?
UnaPera è la prima Aop d’Europa che si ispira alle opportunità messe in campo dal Regolamento Omnibus dell'Ue. L’obiettivo più importante del progetto è garantire il futuro della pericoltura pensando all'intera filiera, dalla produzione alla commercializzazione, a tutto l'indotto. L’intendimento è quello di alzare la qualità al consumo delle pere, accompagnandolo con un nuovo approccio al mercato, capace di qualificare e segmentare l'offerta. I tentativi precedenti di aggregazione sono stati lodevoli e necessari per partire, ma insufficienti a raggiungere l’obiettivo di riportare in positivo il bilancio delle aziende agricole.
Se, ad esempio, vogliamo trovare una soluzione per garantire al consumatore qualità adeguata delle pere Abate Fétel commercializzate dopo Natale, cosa che ci garantirebbe maggiore fidelizzazione, dando così spinta alle vendite anziché il contrario, occorre essere rilevanti a livello di “trade marketing” prima che di “consumer marketing” e questo oggi UnaPera è in grado di farlo.
Non abbiamo però la presunzione di voler fare tutto da soli, anzi, crediamo che sia fondamentale coinvolgere istituzioni, sindacati degli agricoltori, sindacati dei lavoratori e Gdo in questo percorso. Infatti, il progetto punta ad occuparsi dello sviluppo della qualità su tutte le pere dei soci attraverso la definizione di standard comuni e un controllo collettivo che consenta un'immissione sul mercato gestita da UnaPera, mentre la fatturazione resterà in capo alle singole imprese socie. Ma l'aspetto più importante riguarderà la qualità: verrà definito un programma di miglioramento degli standard di qualità commerciale da sviluppare a livello comune e da verificare con un sistema di controllo vincolante per i soci.
Problemi tecnico-agronomici e relazioni coi cambiamenti climatici, diffusione del deperimento dei pereti, varietà più colpite, confronto fra cotogno e franchi, insufficienza dei sistemi irrigui e relative strategie di monitoraggio. Tante questioni da affrontare.
L’analisi dei dati meteo regionali evidenzia una situazione in progressiva evoluzione. In particolare, relativamente alle temperature registrate su territorio di pianura, a partire dal 1960 si osserva un incremento decennale della media delle temperature minime nell’ordine di 0,25°C e di 0,4° C per quanto concerne la media dei valori massimi, evidenziando la tendenza verso un netto riscaldamento, maggiormente accentuato nel periodo estivo. Quest’ultima situazione, in particolare, dalla fine degli anni ’80, si verifica in concomitanza con la maggior frequenza di ondate anomale di calore determinate dalla ricorrente risalita dell’anticiclone Nordafricano.
Relativamente alle precipitazioni, si assiste ad un trend di leggera diminuzione dei quantitativi annui cumulati, ma la situazione è maggiormente critica in funzione della spiccata variabilità nel breve periodo, dall’anomala distribuzione annuale degli eventi piovosi e, ancora, dall’incremento della frequenza di eventi estremi. Relativamente alla piovosità, negli ultimi cinque anni nella zona centrale della pianura emiliano-romagnola si sono alternate le annate più siccitose (2017 e 2021, in alcune aree meno di 500 mm/anno) e maggiormente piovose (2019, oltre 1000 mm/anno) dell’intera serie. Esempio per quanto concerne l’irregolare distribuzione delle precipitazioni è stato il 2018 con precipitazioni annue complessivamente nella media, ma localizzate prevalentemente nel primo semestre o ancora le abbondanti precipitazioni di inizio luglio 2020 che in alcune aree anno fatto registrare oltre 200 mm in un unico evento.
Le situazioni descritte rendono difficoltosa la gestione nel breve periodo, in quanto le condizioni anomale degli ultimi anni costituiscono una situazione ottimale per l’instaurarsi di nuove problematiche fitosanitarie e fisiologiche, oltre che la recrudescenza di avversità già presenti sul territorio, ma fino a qualche anno fa ben controllate.
Oculate e ben delineate scelte agronomiche di lungo periodo che caratterizzano le colture arboree sono divenute particolarmente difficoltose, pur rendendosi imprescindibili per far fronte a criticità emerse negli ultimi anni fra le quali il fenomeno del deperimento del pero di probabile natura fisiologica, quando non dovuto a fitoplasmosi (“pear delcine”). La varietà maggiormente interessata è Abate Fétel le cui piante, frequentemente con distribuzione a gruppi, presentano una stentata ripresa vegetativa, con deperimento successivo degli esemplari più stentati talvolta senza che si siano osservati problemi negli anni precedenti. Dall’analisi delle piante si osserva “degenerazione” parziale o totale del portinnesto (vari cloni di cotogno sembrerebbero maggiormente interessati) in assenza dell’accertamento di agenti patogeni primari. Questo fenomeno interessa tendenzialmente i giovani impianti di età compresa fra i 4 e i 10 anni, in alcuni casi con incidenze tali da compromettere l’intero pereto, costituendo un grave limite nella realizzazione dei nuovi investimenti.
Gli studi multidisciplinari relativi al rapporto fra scelte varietà/portinnesto, conduzione agronomica (es. sistemi irrigui) e aspetti climatici stanno fornendo elementi funzionali alla comprensione dei fenomeni e alla soluzione del problema, ma richiedono ulteriori approfondimenti.
Raggiungere un’alta qualità delle pere. Quali suggerimenti in campo e post-raccolta per ridurre fisiopatie e migliorarela “shelf life”?
Oltre agli aspetti colturali, la valorizzazione del prodotto passa attraverso corrette pratiche di conservazione post-raccolta. Nell’ambito del pero le scelte devono essere necessariamente differenziate fra la maggior parte delle varietà e la cv. Abate Fétel. Le prime sono conservabili con una buona valorizzazione delle caratteristiche organolettiche in condizioni di atmosfera dinamica, tecnica per la quale varie strutture hanno già investito conseguendo ottimi risultati qualitativi con l’esclusione di trattamenti chimici e altri interventi post-raccolta.
Nel caso della varietà Abate Fétel si presentano necessità differenti con l’obbiettivo di contenere le classiche fisiopatie da conservazione quali il riscaldo interno e quello superficiale. La tecnica di conservazione, con esclusione di interventi chimici post-raccolta, che consenta il mantenimento di buone caratteristiche organolettiche deve ancora essere migliorata e proprio in tal senso sta proseguendo la sperimentazione volta a migliorare questa importate fase.
Suggerimenti e proposte: problematiche di filiera dal campo al mercato. Contributo alla logistica e alla riduzione di scarti e sprechi. Sostenibiltà della coltura che deve rimanere redditizia. Qualche idea per il marketing.
C’è bisogno di muoversi in modo coordinato e univoco nella direzione dell’innalzamento della qualità e della valorizzazione della territorialità perché le pere italiane stanno continuando a perdere non solo superfici coltivate, ma anche quote di consumo. Il frutto ha perso il 24% dei consumi a livello nazionale tra il 2016 e il 2020. Una diminuzione dovuta in buona parte all’incostanza della qualità dei frutti in commercio. Tanto che il 62% degli italiani, secondo la ricerca che abbiamo fatto realizzare per UnaPera, lamenta una qualità troppo variabile, ma la buona notizia è che il 29% dei nostri connazionali ha nella pera il suo frutto preferito. Gli spazi per rendere la coltura sostenibile esistono, ora tocca a noi coglierli.