L’agricoltura, benché spesso sia vittima dei cambiamenti climatici, è chiamata a dare il proprio contributo per la riduzione degli impatti ambientali e la sostenibilità. Fin dal 1992 col regolamento Ce 2078/92 l’Ue ha riconosciuto che “gli agricoltori, col sostegno di un regime di aiuti appropriati, possono svolgere un ruolo decisivo per l’intera società, introducendo o mantenendo metodi di produzione compatibili con le crescenti esigenze di tutela dell’ambiente e delle risorse naturali”. Da allora, il peso delle politiche agroambientali è aumentato arrivando oggi a rappresentare almeno il 35% del budget del secondo pilastro della Politica agricola comune (Pac). Anche il primo pilastro ha vincolato gli aiuti al reddito alla riduzione degli impatti ambientali attraverso la “condizionalità” ovvero il rispetto di buone pratiche agricole e l’introduzione degli ecoschemi. Queste politiche sono state introdotte anche negli interventi settoriali delle Organizzazioni dei produttori. Il peso minimo da raggiungere sul programma operativo è fissato al 15% del valore della spesa complessiva, ma se la Op porta la percentuale al 20% ha diritto a una maggiore partecipazione del fondo europeo la cui intensità di aiuto passa dal 50% all’80%.
Da un rapporto di valutazione pubblicato dalla Commissione europea nel 2021 emerge che dal 1990 nell’Ue le emissioni di gas serra prodotte dall’agricoltura sono calate superando il target previsto al 2020. Obiettivo raggiunto più che altro con un calo della produttività e l’inserimento del “greening” e delle “ecological focus area” (Efa) nel primo pilastro della Pac. Lo studio tiene solo in parziale considerazione le altre politiche più che altro per un problema di uniformità nella raccolta e nel confronto dei dati. Anche per questo motivo la proposta tecnica della nuova Pac è andata a implementare un nuovo “delivery model” per misurare gli interventi e una loro riunificazione in un unico documento di programmazione rappresentato dal Piano Strategico della Pac.
Le direttrici di sviluppo del contributo che dovrà dare l’agricoltura alle politiche ambientali – ovvero la Farm to fork e la Biodiversity – sono state approvate dalla Commissione senza una valutazione degli impatti sulla produzione agricola. Nella loro predisposizione si ravvisa una chiara propensione a risolvere problemi legati alla risposta da dare ai cittadini europei in termini di sicurezza sanitaria dei processi agricoli e di conservazione dell’ambiente naturale. Manca a oggi una proposta che dovrebbe avere una trazione più agronomica ai problemi ambientali in modo da conciliare sostenibilità e produttività. Infatti, le due strategie messe in atto non paiono attente alla riduzione dei gas clima-alteranti che vedrebbero una diminuzione per un calo produttivo e quindi aumenterebbero le emissioni per unità di derrate prodotte.
Il progresso tecnologico nella sensoristica per la raccolta e l’elaborazione dei dati in tempo reale ci permette di svolgere un’agricoltura in grado di ottimizzare i mezzi tecnici impiegati riducendo gli impatti negativi e valorizzando il contributo positivo che può dare la coltivazione di una pianta arborea, ad esempio nello stoccaggio del carbonio. Un aiuto arriverebbe anche dalle nuove tecniche di editing genomico, che accorcerebbero di molto le attività di miglioramento genetico necessario a migliorare l’adattamento delle piante al cambiamento climatico e la resistenza alle malattie. Tuttavia, queste tecniche sono ancora considerate generatrici di Ogm. La Commissione europea è al lavoro per proporre un nuovo regolamento che superi lo stallo in cui siamo e costituisca base legale per produrre cibi ottenuti con nuove tecniche genetiche la cui uscita è prevista per il 2023. La Commissione europea dovrebbe velocizzare anche il percorso di registrazione dei nuovi biopesticidi (es. quelli a base di dsRNA interferente o di preparati a base di peptidi), che risultano molto selettivi rispetto al bersaglio da colpire e non residuano nell’ambiente. Attualmente hanno tempi di registrazione che possono arrivare a 5 anni, rispetto ai 20 mesi negli Usa.
Il Green Deal non ha avuto adeguata attenzione alla componente agricola, le politiche dei sussidi al reddito per compensare le perdite produttive hanno dimostrato i loro limiti. Servono strumenti che permettano alla nostra frutticoltura di stare al passo con quanto le si chiede sul tema della sostenibilità, pur rimanendo al contempo competitiva rispetto alle produzioni di altri Paesi. Sarebbe un paradosso aprire la porta a un incremento delle importazioni a causa di limitazioni intra Ue.