Negli ultimi anni l’Italia, da Paese leader nella produzione di uva da tavola, sta scivolando nel ranking mondiale per una serie di criticità ormai strutturali dell’intero comparto che la campagna appena conclusa ha drammaticamente ed ulteriormente portato alla ribalta. Il rinnovamento varietale che passa attraverso la coltivazione di nuovi genotipi apireni, protetti da privative varietali e gestiti secondo differenti modalità, rappresenta un passaggio obbligatorio senza però tralasciare una migliore organizzazione tra i produttori e l’avvio di diversi rapporti con il settore della commercializzazione.
I dati dell’uva da tavola in Italia
I dati Ismea (ottobre 2021) fotografano questa situazione. Le superfici coltivate ammontano a circa 46.700 ha di cui il 52% in Puglia (24.500 ha), 40% Sicilia (18.800 ha) e 8% tra Basilicata, Calabria, Sardegna e Lazio (3.400 ha).
La produzione annua è di circa 1 mln di t di cui 38% assorbita da consumi interni; 45% destinata export; 15% trasformazioni in succhi; 2% perdite lungo la filiera. A livello internazionale l’Italia è il 4° paese produttore (dopo Cina, Cile e Perù – nel 2010 era leader). Per quanto riguarda l’export, si colloca al 6° posto dopo Cina, Cile, Usa, Paesi Bassi e Perù. Al registro nazionale delle varietà di vite del Mipaaf sono iscritte 182 varietà di uva da tavola. L’offerta italiana è ancora incentrata su “varietà storiche” con semi - Victoria, Michele Palieri, Italia e Red Globe, che rappresentano circa il 70% della produzione.
Ci sono 2 indicazioni geografiche protette per l’uva da tavola: l’Igp Uva di Puglia per le varietà Italia, Regina, Victoria, Michele Palieri e Red Globe; l’Igp Uva da tavola di Mazzarrone (Sicilia) per le varietà Italia, Victoria, Red Globe, Black Magic, Black Pearl e Michele Palieri. Da notare che nessuna delle due Igp annovera varietà di uve apirene, malgrado esse mostrino incrementi in superfici coltivate e produzioni che non riescono però a sostenere la domanda.
Le varietà apirene coltivate, con maggiore concentrazione in Puglia - Regal Seedless e Crimson Seedless (libere da privativa) e Superior Seedless ® - pur mantenendo una certa considerazione da parte del mercato, di certo non possono rappresentare l’innovazione varietale alla base del successo registrato e che va consolidandosi in altri distretti produttivi internazionali. È questo uno dei motivi per cui le esportazioni italiane sono sempre più minacciate dai paesi produttori emergenti che offrono varietà apirene innovative e richieste dai consumatori, che sono in grado di guadagnare quote sui principali mercati di sbocco grazie a un prodotto ben presentato.
La competitività del comparto è strettamente connessa all’innovazione varietale con uve apirene, riproponendo l’assioma valido per le altre specie frutticole: innovazione è sinonimo di nuove varietà. La Proprietà Intellettuale con le privative varietali costituisce lo strumento utile ad apprestare idonea tutela e a ricompensare gli investimenti compiuti dai breeder, oltre che a segmentare l’offerta del prodotto con maggior profitto per i produttori.
Il panorama delle uve apirene
Il miglioramento genetico è da anni orientato alla costituzione di uve apirene, che permettano di soddisfare alcune caratteristiche delle uve che vanno sempre più affermandosi:
- Migliore consistenza della bacca (più soda e croccante);
- Nuovi sapori (fruttato, foxy, tropicale, esotico);
- Presenza sul mercato durante tutto l’anno (in quanto coltivate in tutti i distretti produttivi mondiali dei due emisferi).
- Accanto a queste caratteristiche, nel corso degli anni si è cercato di costituire genotipi di facile gestione agronomica e resistenti alle principali malattie come oidio, peronospora e botrite.
La quasi totalità di varietà oggetto di privativa europea presso il Cpvo (Community Plant Variety Office) riguarda varietà senza semi. Attualmente presso il Cpvo sono registrate 236 varietà o proposte tali con differenti status.
Oltre a queste varietà apirene che costituiscono l’innovazione per il settore - anche se non mancano poi cocenti delusioni per il mancato loro acclimatamento nei nostri ambienti o perché non ancora in possesso delle specifiche cure colturali che necessitano - ci sono una serie di varietà libere.
Le varietà apirene libere da vincoli di propagazione, coltivazione e commercializzazione
Bacca bianca | Autumn seedless, Beogradska Bessemena, Mistery, Perlette, Regal seedless, Sublima (sin. Carati e Early Gold), Thompson seedless (Sultanina) |
Bacca nera | Attika, Autumn Royal, Pasiga, Perlon |
Bacca rossa | Crimson seedless, Flame seedless, Ruby seedless, Supernova |
Il pericoloso ritardo culturale
Nel comparto produttivo dell’uva da tavola, si continua ad assistere al tipico paradosso “della botte piena e della moglie ubriaca”.
Da un lato si riconosce il valore aggiunto dell’innovazione e delle nuove varietà apirene protette, che garantiscono migliori performance commerciali perché più in linea con le richieste del mercato; dall’altro si fa ostruzionismo al mondo del breeding varietale osteggiando la cultura brevettuale, i sistemi di licenza e le stesse royalties. Come dire, si vuole tutto e allo stesso tempo si è disposti a riconoscere poco o niente a chi quell’innovazione l’ha prodotta. Ci sono infatti ancora produttori che nonostante abbiano fatto la loro fortuna con la produzione di varietà protette si propongono ora come facinorosi fomentatori di folle per approdare (non si sa bene come) ad una solo immaginaria liberalizzazione del mercato. Così facendo, non c’è da lamentarsi se poi l’intero comparto rischia di prendere una pericolosa deriva disperdendo le proprie potenzialità e rimanendo in una posizione di arretratezza.
Anche a costo di sembrare scontati e a tratti didattici, vale la pena ricordare che le privative varietali trovano la loro puntuale disciplina:
- a livello europeo nel Reg. Ce 2100/94 (cosiddetto Regolamento base);
- a livello italiano nel Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 30/2005 e s.m.i.).
Va anche ricordato che nel nostro ordinamento la privativa varietale si colloca sullo stesso piano di qualsiasi altro brevetto che sia elettronico, chimico, farmaceutico o meccanico. Anzi, la disciplina speciale prevista per le privative varietali rinvia espressamente alle norme generali sui brevetti che diventano così direttamente applicabili (se non contrastanti con le norme speciali).
Al pari di ogni altro brevetto e più in generale di ogni altro diritto IP, il diritto di privativa varietale assicura al costitutore un diritto di utilizzazione esclusiva della stessa varietà per un certo periodo di tempo. Con la conseguenza che un soggetto terzo potrà sfruttare la medesima privativa solo dietro autorizzazione concessa dallo stesso breeder. In caso contrario si rischia di ricadere in una tipica ipotesi contraffattiva.
Peraltro, come per qualsiasi brevetto o altro diritto di proprietà intellettuale, anche per le privative varietali il tipico contratto con cui generalmente viene fatto circolare il diritto esclusivo del breeder è proprio il contratto di licenza, mentre le royalties (spesso determinate da una entry fee iniziale e da importi successivi commisurati alla produzione del soggetto licenziatario) ne rappresentano il tipico corrispettivo a fronte della concessione in uso di quello stesso diritto esclusivo a favore del terzo.
Niente di strano e niente di anomalo ci viene da dire, essendo queste le più tipiche dinamiche mediante le quali generalmente si sfruttano economicamente tutti i diritti di proprietà intellettuale, tra cui come detto sono ricompresi anche quelli sulle varietà vegetali.
Bisogna quindi serenamente acquisire la consapevolezza che anche il comparto primario della produzione di uva da tavola può ritenersi ormai avviato verso un definitivo processo di industrializzazione in cui l’innovazione varietale rappresenta la leva per accrescere la propria competitività, in particolare modo sui mercati internazionali, e la proprietà intellettuale, assicurando un diritto esclusivo a chi quell’innovazione l’ha prodotta, rappresenta un incentivo per continuare a produrre ricerca e sviluppo.
L'innovazione varietale ha un ruolo chiave
La definitiva conferma del ruolo chiave della ricerca varietale e della protezione delle nuove varietà vegetali è arrivata da un importante, recente studio condotto congiuntamente dal Cpvo (l’Ufficio Comunitario delle Varietà Vegetali) e dall’Euipo (l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) in cui è stato analizzato l’impatto a livello europeo del sistema di privative comunitarie per ritrovati vegetali sull’economia e sull’ambiente. I dati sono chiari e parlano da soli.
Lo studio rileva che il sistema di privative comunitarie per ritrovati vegetali ha fattivamente contribuito alla crescita della produzione agricola a partire dal 1995. Soltanto nel 2020, senza il sistema Ue di protezione uniforme delle privative varietali, la produzione di seminativi a livello europeo sarebbe stata inferiore del 6,4%, la produzione di frutta del 2,6%, quella degli ortaggi del 4,7% mentre quella legata alle piante ornamentali avrebbe subito una riduzione del 15,1%.
Peraltro, il medesimo studio conferma che senza la produzione aggiuntiva attribuibile alle colture protette dalla privativa comunitaria per ritrovati vegetali, la posizione commerciale dell’Ue rispetto al resto del mondo peggiorerebbe ed i consumatori dell’Ue subirebbero un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. A questo va aggiunto che il sistema di privative comunitarie per ritrovati vegetali contribuisce anche alla realizzazione degli obiettivi ambientali dell’Ue mediante una riduzione annuale delle emissioni di gas a effetto serra, stimata in 62 milioni di tonnellate annue.
Certo, come ogni altro diritto esclusivo di proprietà intellettuale anche i diritti esclusivi sulle privative varietali vanno esercitati dai breeder evitando situazioni di sbilanciamento anticoncorrenziale sul mercato. Come è noto, la principale caratteristica del sistema di licenza con “formula club” è quella di prevedere a carico dei produttori il conferimento della produzione a soggetti distributori scelti tra quelli indicati e già autorizzati dallo stesso breeder. A ben vedere si tratta di una modalità operativa che non va avversata per partito preso perché da un lato consente allo stesso breeder di controllare il rispetto degli standard qualitativi della produzione a tutela del consumatore finale (con ovvie ricadute positive sullo stesso produttore che potrà sempre più fare affidamento su una varietà premium opportunamente valorizzata) e dall’altro limita il rischio di sovrapproduzioni e conseguenti deprezzamenti.
D’altronde anche in questo caso il paragone con ciò che generalmente avviene nella distribuzione di beni coperti da altri diversi diritti di proprietà intellettuale risulta pertinente se solo si assimila in qualche modo mutatis mutandis il sistema di licenza con formula club tipico delle privative varietali al sistema di distribuzione selettiva (generalmente applicato alla distribuzione dei brand dell’industria del fashion) che secondo il Reg. Ue 330/2010 “impegna il fornitore a vendere i beni o i servizi oggetto del contratto direttamente o indirettamente solo a distributori selezionati sulla base di criteri specifici e questi ultimi si impegnano a loro volta a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio riservato a tale sistema”. E ciò proprio allo scopo di valorizzare il prodotto oggetto dell’accordo verticale di distribuzione selettiva.
Come si sa, sugli accordi di licenza con formula club solitamente utilizzati per lo sfruttamento delle varietà protette di uva apirene è di recente intervenuta anche l’Agcm che ha ritenuto tali accordi legittimi sotto il profilo concorrenziale e ciò con buona pace sempre di quegli stessi facinorosi che audacemente hanno presentato la segnalazione all’Antitrust.
Utilizzo consapevole dell’innovazione varietale
Nella maggior parte dei casi, le nuove varietà proposte presentano degli aspetti migliorativi potenziali rispetto a quelle tradizionali. Ciò è valido solo se vengono eseguite le giuste pratiche agronomiche ed è rispettata la vocazionalità delle aree dedicate alla loro coltivazione.
Sarebbe opportuno che la validità delle proposte di breeder ed editori debba essere accertata e dimostrata in campi sperimentali da loro allestiti per validare il comportamento delle innumerevoli varietà:
- in diverse condizioni pedoclimatiche;
- con differenti tecniche colturali;
- per periodi di tempo congrui per le osservazioni e la raccolta dati.
- Sperimentazione, validazione, divulgazione dei risultati, aggiornamento e formazione professionale sono passaggi ineludibili per far sì che l’innovazione dia i suoi benefici.
I cambiamenti climatici così repentini rendono più complesso il lavoro per gli agricoltori ed i tecnici che hanno il compito di semplificarne l’approccio ad una gestione più sostenibile, efficiente e remunerativa delle nuove varietà.
Si rende necessaria una seria presa di coscienza sulle criticità che non permettono di sfruttare appieno i vantaggi che possono derivare da un aggiornamento della piattaforma varietale dell’uva da tavola nazionale. Non uno slogan, ma uno strumento per la competitività delle imprese e per rispondere meglio alle richieste del mercato, senza appigliarsi ad alibi che mascherano invece l’urgenza di una maggiore aggregazione, conoscenza, professionalità e capacità manageriali per sfruttare al meglio i risultati della ricerca e dell’innovazione varietale anche per l’uva da tavola.