È ormai da diversi anni che si parla di crisi della pericoltura e delle sue cause. In estrema sintesi si ricordano l’aumento dei costi produttivi, la riduzione o incostanza della produttività degli impianti, i cambiamenti climatici, la recrudescenza di patologie note (maculatura, patologia chiave specialmente nell'areale produttivo ferrarese) e l’aumento della pressione di nuove patologie (cimice asiatica), scelte d’impianto e tecniche agronomiche non sempre adatte al contesto produttivo e, non da ultimo, scarsa aggregazione e prezzi di mercato non remunerativi. Per fortuna non sono mancate le proposte di tecnici e ricercatori per uscire da una situazione insostenibile per la redditività delle imprese. Certo rimane il dubbio che a fronte dell’impegno della parte produttiva non corrisponda un interesse e una disponibilità a pagare il prodotto pera da parte dei consumatori. Oltre al miglioramento varietale, per venire incontro anche alle mutate abitudini di consumo, e ai sistemi per fronteggiare le emergenze fitosanitarie, un tema molto dibattuto è quello legato ai sistemi d’impianto e alla loro conduzione.
Le problematiche del cotogno
Il confronto è fra i pereti fitti o ultrafitti, ad alta specializzazione, con portinnesti nanizzanti, e impianti innestati su soggetti vigorosi.
Al primo modello vengono imputate il calo di produttività e l’aumento dei costi. In particolare, Alberto Aldini di Apofruit ha recentemente riportato sulla rivista di Frutticoltura che «l’adozione come portinnesto del cotogno (in particolare per la varietà Abate Fetel) in tutte le sue declinazioni induce elevata disformità delle piante, moria più o meno accentuata dopo pochi anni di impianto, difficoltà di fornire pezzature soddisfacenti se non è stata ben predisposta l’impollinazione. La tipologia di impianti fitti e ultrafitti (da 3.000 fino a 10.000 piante/ha) comporta elevatissimi costi di investimento e si accompagna sempre alla necessità di utilizzare mezzi tecnici sempre più costosi, talora non allineati agli indirizzi ecologici europei.
In realtà, nei primi anni di produzione, si ottengono buoni risultati produttivi (in terreni vergini, fertili, con materiali vivaistici di ottima qualità) ed esistono ancora pereti su cotogno che hanno diverse decine di anni e sono ancora perfettamente performanti. Ma da qualche anno a questa parte, però, per cause non tutte ben note (es. stanchezza dei suoli, tecniche di eccessiva nanizzazione, utilizzo massiccio di prodotti volti a modificare la fisiologia degli alberi) le piante innestate su cotogno non hanno risposto alle aspettative. I portinnesti di origine franca, scartati per vari anni, tornano perciò attuali e ad essere proposti non solo per Abate Fetel, ma anche per Kaiser e Decana del Comizio. Anche le piante di varietà autoradicate disponibili fin dagli anni ’90 hanno in parte dimostrato ottima adattabilità a diversi tipi di suolo, la necessità di pochissimi input esterni, elevata vigoria, ma a volte anche difficoltà di allegagione (es. Decana del Comizio) e di gestione della potatura».
Non sempre c’è scarsa produzione
Il modello d’impianto basato su portinnesti vigorosi, tipico degli areali romagnoli, sembra risentire in misura molto minore delle problematiche che affliggono la pericoltura ferrarese caratterizzata da impianti di tipo superintensivo su cotogno.
«In alcune aree da oltre due decenni la scelta è andata nella direzione dell’alta o altissima densità di piantagione, con l’obbligo di adottare portinnesti nanizzanti o di debole vigoria spesso non sufficientemente produttivi o incostanti – ha affermato in più occasioni Ugo Palara di Agrintesa. In molti casi è venuta meno l’impollinazione incrociata multi-varietale, preferendo l’utilizzo di regolatori di crescita che favoriscono lo sviluppo di frutti partenocarpici; sono stati costituiti pereti estremamente dipendenti da fattori esogeni e input agronomici di sostegno per poter fruttificare in maniera adeguata, non senza perdite di piante che annualmente generano o aggravano inefficienze insostenibili.
Altrove sono state fatte scelte diverse, meno moderne o meno condizionate dai modelli nord-europei, preferendo impianti con minori densità, maggiore vigoria vegetativa perché innestati su portinnesti vigorosi, ma al contempo più rustici (resilienti!), più longevi e costantemente produttivi. Non è questa la sede per dire chi ha torto o ragione, ma non tutta la pericoltura è in crisi per insufficiente produttività; forse è il momento di riprendere in considerazione lo studio della migliore combinazione dei fattori che condizionano l’efficienza del pereto, soprattutto in epoca di forti cambiamenti climatici».
Buona risposta dal Conference autoradicato
Apoplessia, ridotta produttività ed elevata vulnerabilità agli agenti patogeni esterni responsabili di malattie come la maculatura bruna sono le difficoltà a livello agronomico che devono affrontare i produttori di pere di Abate Fetel la varietà più diffusa in Italia.
Proprio con l’obiettivo di trovare soluzioni efficaci a tali problematiche, Geoplant Vivai, in collaborazione con Fondazione Fratelli Navarra, si è da tempo concentrata nel testare portinnesti alternativi ai tradizionali Cotogni, in grado di rendere le piante più resilienti e produttive. In particolare, in alcune aziende romagnole, sono stati valutati dal 2017 a oggi tre tipologie di portinnesti alternativi: il Conference autoradicato, il Farold 40 e l’abate autoradicato.
I risultati sono stati messi in luce in diverse visite tecniche condotte annualmente presso le aziende che hanno adottato queste soluzioni d’impianto.
«L’idea iniziale era di riscoprire i portinnesti abitualmente utilizzati prima dell’introduzione dei Cotogni. Abbiamo collaborato nella messa a dimora di prove e impianti su diversi portinnesti franchi e alla fine i risultati più performanti fino ad ora sono stati ottenuti con il Conference autoradicato» ha spiegato Gianluca Pasi, tecnico di Geoplant Vivai, in occasione dell’ultima visita tecnica.
Il conference autoradicato ha dimostrato un’ottima affinità di innesto, elevata rusticità e produttività dell’impianto, alte rese di raccolta (dal 2019 al 2021 sono state raccolte mediamente 37-50 tonnellate per ettaro) e frutti di elevata pezzatura e forma allungata. Il sesto d’impianto consigliato è di 4-4,5 metri tra le file e di 2-3 metri sulla fila, per una densità media di 800-1200 piante/ha.
Tre tipi di portinnesto alternativo
Per mostrare a tutti i produttori interessati gli impianti di Abate Fetel innestata sui differenti portinnesti è stata organizzata a inizio settembre una giornata in campo tra i filari di tre aziende agricole romagnole: azienda Bartolotti di Fusignano (Ra), azienda Tazzari di Bagnacavallo (Ra) e azienda Dosi di Bagnacavallo (Ra).
Nella prima azienda si è potuto osservare un impianto con sesto 4x2 di Abate Fetel innestato su Farold 40 e su conference autoradicato. Qui la produzione negli anni 2019, 2020 e 2021 si è attestata su una media di 500 q/ha tenendo conto anche del fatto che nel primo anno le piante sono stato particolarmente colpite da maculatura bruna e l’anno scorso la produzione si è dimezzata a causa del gelo. Normalmente si usa diradare chimicamente, quest’anno il trattamento è stato fatto solo su Farold 40, mentre sull’autoradicato no e si vede infatti una minor pezzatura. In tal senso però anche la siccità non ha aiutato.
Nella seconda azienda, con impianto di autoradicato di Abate diretto, la produzione tra il 2018 e il 2021 si è mantenuta sui 400 q/ha (anche in questo caso tenendo conto di una produzione 2021 dimezzata dal gelo) con pezzature di 65 + e 70+. La media 2017-2021 per il 65+ è di 192 q/ha, mentre è di 140 q/ha per il 70+.
Sulle piante tutti gli anni viene praticato il taglio valtellinese a fine febbraio inizio marzo per contenere la vegetazione, solfato di potassio come concimazione di fondo, azoto a fine stagione, una concimazione fogliare pre-fioritura e diradamento chimico.
Nell’ultima azienda, con solo Abate su Conference autoradicato, la produzione tra il 2017 e il 2020 si è addirittura mantenuta sui 520 q (sempre tenendo conto del dato totalmente fuori scala del 2021 legato alle gelate). La media produttiva per le 65+ è di 290 q/ha e di 183 q/ha per le 65+. Secondo il tecnico aziendale, questo tipo di portinnesto si è dimostrato la soluzione migliore per la tipologia di terreno della zona. Ha un portamento più contenuto rispetto all’Abate autoradicato ed è molto produttivo (se non diradato arriva anche sui 700 q ettaro).