La filiera italiana del kiwi, pur in un contesto frutticolo sempre più difficile, competitivo, talora altalenante, resta di fatto una delle più floride. Le estensioni ettariali complessive sono stabili o in diminuzione a causa delle avversità fisio-patologiche e climatiche che negli ultimi tre lustri si sono abbattute sui coltivatori, ma tutta la Penisola, soprattutto nel Centro-Sud, vive un forte riflusso di interesse verso questa specie che deriva, fondamentalmente, dall’entusiasmo che le varietà a polpa gialla hanno generato grazie al positivo e crescente gradimento dei consumatori e, di conseguenza, alle positive ricadute economiche per i frutticoltori.
Editoriale di rivista di Frutticoltura 7/2022
Siamo oggi di fronte ad una sorta di “ipertensione varietale” (nuovi genotipi gialli, nuovi verdi, quelli a polpa rossa, che per ora accendono interessi forse eccessivi e precoci) in un settore che per 40 anni ha vissuto e prosperato su un’offerta monovarietale (Hayward) della quale l’Italia, principale Paese produttore nell’Emisfero Nord, dietro l’indecifrabile Cina, per molti anni è stata leader commerciale. Non è più così; altri Paesi competitori stanno affacciandosi in maniera aggressiva sul mercato del nostro semestre invernale (es. la Grecia oggi, Turchia e altri domani) e probabilmente ci scalzeranno dal podio che avevamo conquistato nel trading globale del kiwi a polpa verde.
Le varietà a polpa gialla sono le più ricercate perché negli ultimi anni sono quelle che hanno garantito redditi elevati ai coltivatori, ma rischiano di diventare l’ennesimo fronte di scontro tra piccoli gruppi di detentori-produttori se questi non sapranno dotarsi di modelli di sviluppo produttivo e commerciale altamente pianificati, organizzati e capaci di imporsi sul mercato. Per le varietà a polpa rossa, probabilmente, serviranno ancora alcuni anni di testing per decretare le reali potenzialità agronomiche delle cultivar in fase di introduzione o appena licenziate.
Viviamo una fase molto concitata sia sul fronte produttivo, sia su quello commerciale; il recente incontro internazionale dell’IKO (International Kiwifruit Organization), tenutosi in California il 12 e 13 settembre scorso, conferma che gli equilibri mercantili internazionali sono in rapida evoluzione e che lo scenario è destinato ad evolversi rapidamente nei diversi poli mondiali che governano l’offerta. Competitività e concorrenza cresceranno in maniera esponenziale. Resta il fatto che il kiwi piace ai consumatori in tutte le sue varianti di colore e di provenienza; i trend di consumo e la fidelizzazione negli acquisti continuano a dimostrarlo.
Cosa fare? Riflettere sulle nuove varietà se non adeguatamente sperimentate e tutelate; puntare sull’alta qualità dell’offerta; impedire le forme di trading improprio tra Paesi concorrenti; incentivare la ricerca e la sperimentazione verso la soluzione dei problemi agronomici di cui la specie soffre.
L’Italia è un grande Paese actinidicolo, purtroppo diviso, talora contrapposto, fra tanti interessi immediati e di parte, ma di scarsa prospettiva. Nell’Emisfero Sud qualcuno molti anni fa ci ha dimostrato che aggregando il prodotto, puntando sulla sua origine, garantendone costantemente la qualità e adottando strategie commerciali unitarie, si può vincere la sfida col mercato. Lo fanno da tanti anni e i risultati si vedono. L’Italia è ancora “al palo”, ma può pensare concretamente di trovare una sua nuova dimensione adottando e seguendo con rigidità nuove regole, sperando che non sia troppo tardi.