Uva da tavola: tempo di cambiamenti

uva da tavola

Con una produzione di oltre 1,2 Ml t/anno di uva da tavola, l’Italia si colloca tra i maggiori produttori mondiali dopo Cina, USA, Iran, Turchia ed Egitto. Il Sud Italia, in particolare con Puglia e Sicilia, copre la maggior parte di questa produzione (oltre il 90%), con un’importante copertura delle richieste soprattutto del centro Europa, dove viene esportata per il 30-40%. Questo a testimonianza di un rilevante ruolo nell’esportazione e responsabilità del nostro Paese della qualità del prodotto che arriva sulle mense dell’Ue, Germania in testa. A tale ruolo nell’esportazione, però, non corrisponde un altrettanto importante ruolo nella definizione del prodotto, ovvero delle richieste del consumo, con crescente domanda di varietà apirene, che sono prevalentemente, quando non unicamente, di provenienza estera, brevettate in USA, Israele, Spagna. Purtroppo, accanto alle “vecchie glorie” nazionali come Italia, Regina, Vittoria, tutte con semi, le varietà apirene, o in generale le novità internazionali, stanno occupando la maggior parte degli areali produttivi pugliesi e pian piano anche i restanti di tutto il Sud Italia. E’ tempo di cambiare.

L’idea non è nuova, anzi, proprio grazie alla lungimiranza del mio predecessore alla guida del Centro di Ricerca in Viticoltura ed Enologia di Turi, Donato Antonacci, l’attività di miglioramento genetico del Centro ha già reso disponibili nuove varietà da testare nelle nostre aree di maggiore produzione. Questa attività, che chi ha esperienza di breeding sa che per le piante da frutto non si improvvisa dall’oggi al domani, è iniziata circa 15 anni fa e ha selezionato oltre 12.000 semenzali ottenuti da centinaia di diversi incroci tra varietà di qualità di V. vinifera da tavola. Questi semenzali già oggi possono essere oggetto di valutazione su larga scala da parte di aziende produttrici e presto saranno appannaggio della grande distribuzione, proprio grazie a questa lunga tradizione e alla partecipazione di decine di collaboratori del Centro, alcuni di loro oggi in posizioni di ruolo, qualcuno fresco di nomina proprio nel primo mese del 2019.

L’attività di miglioramento genetico, però, non richiede solo passione e fiducia di chi la persegue, ma anche un importante supporto del mondo produttivo e della grande distribuzione, con un occhio di riguardo all’export. Senza la fiducia delle aziende nessun prodotto può aver fortuna sul mercato, e ciò ha più volte significato la fine di programmi di breeding e la triste conservazione di una splendida biodiversità tutta italiana nelle nostre collezioni di germoplasma. Chi come noi si occupa di breeding di piante legnose è ben consapevole di queste difficoltà, ma il cambiamento è nell’aria. Da tempo la realtà produttiva pugliese, ben rappresentata da un consorzio di circa 30 produttori (il NuVaUT) presenti in diverse aree produttive di tutta la regione, dalla costa tarantina al tavoliere, passando per le province di Bari e Brindisi, ha seguito e messo a disposizione del progetto del CREA i propri appezzamenti. Insieme a noi ha partecipato alla selezione di circa 90 varietà, di cui 36 già in corso di registrazione dopo una prima valutazione positiva dei produttori, e alla stipula di un importante contratto da 1,5 Ml di euro di co-finaziamento.

L’attività che si svolgerà nei prossimi 10 anni prevede anche approfondimenti riguardanti varietà resistenti alle maggiori patologie fungine, oidio in primis, ma anche peronospora, che nel 2018 è stata particolarmente aggressiva. Accanto alle attività svolte negli anni passati, quando si è usato solo V. vinifera, abbiamo inserito nel piano di incroci anche genitori di nuove varietà resistenti in collaborazione con la Fondazione F. Mach di San Michele all’Adige, l’Università di Udine e il centro di ricerca tedesco di Geilweilerhof, tutti istituti che hanno dimostrato di saper ottenere varietà di vite resistenti e di sempre maggior qualità.

Le varietà resistenti sono prevalentemente per uva da vino, ma incroci con nostre varietà con caratteri pronunciati per uva da tavola, anche apirene (vedi articolo all’interno), daranno sicuramente nella progenie che selezioneremo individui di interesse, in particolare per la viticoltura biologica, in grande espansione nel Sud Italia con punte del 40-50%. Questa consapevolezza nella ricerca di sostenibilità ambientale, accanto ad una sostenibilità socio-economica, è ben radicata nel nostro Centro e sarà la linea guida del futuro in tutti i progetti di miglioramento genetico, sia per l’uva da tavola, sia per quella da vino. Una consapevolezza sempre più diffusa anche nel mondo produttivo.

Il Consorzio NuVaUT, affiancando il CREA in questa iniziativa nazionale, ha dimostrato un grande coraggio, coraggio che oggi si sta diffondendo nel mondo vivaistico e sempre più nel mondo produttivo nazionale. La consapevolezza che non sempre stando alla finestra ad aspettare i prodotti delle fatiche e del coraggio altrui si ottiene il prodotto ideale; anzi, la nascita di club internazionali ai quali poi si devono pagare importanti quote di royalty per poter coltivare in esclusiva le nuove varietà, per giunta in aree del mondo che nulla hanno a che fare con terreni e clima italiani, sta stimolando una nuova coscienza nazionale. Uva italiana, creata in Italia, selezionata in Italia per produttori italiani. Non è vetero-nazionalismo, ma consapevolezza della qualità e dei mezzi che il nostro Paese ha, sia nella capacità di ricerca, sia nelle realtà produttive; realtà brillanti, intraprendenti, fantasiose da sempre, oggi con un’arma in più: le varietà prodotte assieme alla ricerca italiana, in un connubio che mancava e oggi è realtà. Noi siamo orgogliosi di farne parte.

Uva da tavola: tempo di cambiamenti - Ultima modifica: 2019-01-22T10:09:45+01:00 da Lucia Berti

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