Il primo Convegno nazionale sulla frutticoltura alternativa che si svolse a Latina nel 2015, conseguente alla possibilità di coltivazione in Italia di specie subtropicali, fece emergere la conferma dell’interesse dell’imprenditoria agricola verso queste nuove coltivazioni, generato dall’aumento delle temperature medie delle aree del Sud Italia (riscaldamento climatico). Il 2° Convegno sulla stessa materia si è svolto lo scorso anno in Sicilia, zona che ha le basi per essere battezzata capitale italiana della frutticoltura esotica. In Italia l’area della frutticoltura “alternativa”, per le specie frutticole sub-tropicali e tropicali che resistono a temperature minime di -5 °C è compresa, appunto, tra la provincia di Latina e la Sicilia.
La nostra isola maggiore, è stato detto all’incontro di Milazzo (Me) del 22 e 23 ottobre 20166, possiede condizioni pedo-climatiche favorevoli per lo sviluppo della frutticoltura esotica, tanto da poter diventare il polo produttivo italiano più importante. L’attenzione degli studiosi della materia si è polarizzata su 15 specie che, in ordine alfabetico, sono: avocado, feijoa, fico d’India, lime, guava, litchi, macadamia, mango, melograno, nespolo del Giappone, pecan, papaya, passiflora e pitaya. Queste specie non completano il quadro della frutticoltura esotica, ma costituiscono attualmente la base su cui è concentrata maggiormente la sperimentazione per verificarne l’adattabilità nei vari ambienti.
L’obiettivo è quello di produrre una gamma di specie frutticole esotiche che si consumano sempre più massicciamente in Italia e in Europa, con un mercato internazionale. Lo sviluppo della frutticoltura alternativa scaturisce dalla crisi della frutticoltura tradizionale; a sostegno di questa considerazione si porta l’esempio della crisi della viticoltura nel Lazio degli anni ‘70 che aprì le porte a una specie nuova, l’actinidia, di cui oggi l’Agro Pontino, con 10.000 ettari e una produzione annuale di 180 mila t, è leader nazionale e nel mondo.
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