Nel panorama delle principali specie frutticole italiane, il pero è tra le più dispendiose e può richiedere fino ad oltre 18.000 €/ha di spese di gestione annuale, includendo sia i costi di natura esplicita, dunque concretamente sostenuti dall’impresa, sia i costi impliciti o figurativi, dovuti agli apporti diretti di capitale e di lavoro e, pertanto, senza un reale riscontro monetario.
In particolare, è proprio la cv. Abate Fétel, che nel tempo è andata affermandosi come punto di riferimento della pericoltura nazionale, ad evidenziare i più elevati livelli di spesa, come rilevabile dalla tabella 1, dove sono presentati i costi medi per le provincie di Modena e Ferrara. Di minore entità è il costo per le cultivar a maturazione più precoce, come ad esempio William.
Il costo pieno all’impresa può, nelle condizioni di un’azienda standard a conduzione familiare e con ricorso a manodopera salariata per le operazioni colturali più intensive, ridursi del 30% circa, mentre i flussi annui di cassa risultano più bassi di un ulteriore 10%. Va, tuttavia, sottolineato che la copertura dei soli flussi di cassa rappresenta la garanzia della sostenibilità solo nel brevissimo periodo, poiché a lungo termine vengono meno i capitali necessari per il reimpianto del pereto e per la sostituzione del capitale tecnico obsoleto. Un’adeguata remunerazione del lavoro e dei capitali dell’imprenditore è, invece, oltre ad una garanzia per la permanenza nel settore, uno stimolo all’adozione di quelle innovazioni tecnologiche che sempre più il mercato chiede ai produttori.
L’analisi delle principali voci di costo evidenzia, peraltro, come in tutti i casi relativi a specie frutticole, la preponderanza della manodopera che, nel complesso, incide per il 40% circa sul costo totale. Nel caso del pero, tuttavia, anche le materie prime assumono un rilievo di primo piano, con un’incidenza pari al 25-30% del costo complessivo. Un ulteriore 10% è dovuto alla quota annua di ammortamento che, nel caso di impianti protetti da rete anti-grandine, può anche arrivare ad oltre 2.100 €/ha se l’impianto viene colpito da patologie con perdita di alberi, riducendone nel tempo il potenziale quali-quantitativo o anche se, per varie cause, viene abbattuto anzitempo.
Se l’entità del costo per ettaro è di grande importanza per la valutazione dei movimenti finanziari richiesti, è comunque dall’analisi del costo per unità di prodotto che si ottengono le informazioni più rilevanti, soprattutto nell’ottica di un confronto con i prezzi percepiti. A questo proposito, è da rimarcare come la resa produttiva degli impianti abbia subito, in tempi recenti, una certa frenata a causa di problematiche fitosanitarie e della concomitante tendenza al mantenimento di impianti anche obsoleti come conseguenza della minor redditività registrata, ma soprattutto per venire incontro alle richieste qualitative del mercato, che tende a premiare decisamente i frutti di maggior calibro.
In relazione a ciò, nei due casi presentati per Abate Fétel, con una resa media di lungo periodo ipotizzata pari a 26-28 t/ha, il costo totale di produzione può essere valutato in 0,63-0,66 €/kg, mentre per William, in virtù di una resa media di 40 t/ha, in poco più di 0,40 €/kg. Collocandosi su rese più elevate di 4-5 t/ha, si può ridurre il costo di 0,08-0,10 €/kg (Fig. 1), ma occorre valutare attentamente il ritorno in termini di Plv, qualora il calibro medio del raccolto diminuisca in maniera significativa.
In ogni caso, sia nell’ipotesi di contenimento delle rese entro limiti che permettano di ottenere alte percentuali di frutti di elevata pezzatura, sia nel caso di orientamento verso una maggior resa produttiva, il costo complessivo di produzione del pero, con riferimento alla cv Abate Fètel che ne è la più rappresentativa, permane decisamente alto. A titolo di esempio, per alcune tra le più diffuse varietà di nettarine nell’areale emiliano-romagnolo, come ad esempio Big Top e Stark RedGold, la spesa complessiva non supera 0,50 €/kg (Fig. 2): si evidenzia, pertanto, un differenziale di circa 0,15 €/kg, che può scendere a 0,07-0,08 €/kg nel caso siano raggiunte le massime “performance” produttive del pereto compatibili con un livello qualitativo accettabile per il mercato.
Il maggior esborso è riconducibile soprattutto alle materie prime, a proposito delle quali va ricordata la maggior lunghezza del ciclo del pero rispetto al pesco, con conseguente maggior numero di trattamenti fitosanitari; anche per le esigenze nutrizionali, peraltro, è rilevabile un costo praticamente doppio. Più limitata è, invece, la differenza nel costo della manodopera, soprattutto nel confronto con le varietà più tardive e produttive di pesco.
Il mercato delle pere attraversa, come noto, una fase di perdurante crisi dei consumi interni, che vanno peraltro orientandosi sempre più verso un prodotto di alta qualità e pezzatura: tali richieste impongono importanti e crescenti sforzi economici ai produttori (ad esempio, si rileva una sempre maggiore diffusione della pratica del diradamento su Abate Fétel, solo raramente utilizzata sino a pochi anni fa) che il mercato deve remunerare adeguatamente, a differenza di quanto avvenuto nelle ultime campagne.