Il 2016 dell’uva da tavola italiana sarà ricordato come uno degli anni peggiori per un comparto che fino a pochi lustri fa era ai vertici mondiali per produzioni, mercati serviti e innovazioni apportate. Le difficili condizioni climatiche (Fig. 1), con piogge insistenti non solo in settembre, hanno danneggiato oltre il 65% del prodotto, che in molti casi non è stato nemmeno raccolto.
Secondo quanto riportato da Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) l’andamento dei mercati dell’uva da tavola nel 2016 è stato sottotono e con quotazioni in calo o tutt’al più stabili (Fig. 2). L’esordio delle uve pugliesi ha fatto registrare valori inferiori rispetto alla stagione precedente. Le uve apirene, invece, hanno mostrato un buon flusso, in particolare verso l’estero, dove la minore presenza di prodotto egiziano e marocchino ha agevolato le vendite del prodotto nazionale. Alla fine di agosto, con l’arrivo dell’uva Italia di standard ottimali per colorazione e dimensioni del grappolo, vi è stata una crescita della domanda. Tuttavia, la presenza sul mercato di prodotto estero proveniente da Grecia, Spagna e Turchia, esitato a prezzi concorrenziali, ha comportato un’ulteriore flessione delle attività di scambio ed una più debole richiesta di uve nazionali. Poi di nuovo un calo delle quotazioni, in particolare per le uve pugliesi interessate da problemi di ordine qualitativo (marciumi e muffe). Diversa la situazione per il prodotto siciliano che presentava una migliore intonazione della domanda con quotazioni più stabili per la varietà Italia e anche superiori per Redglobe.
In questo contesto, le uve da tavola, in particolare quelle rosse - con e senza semi - molto richieste dai mercati, specialmente russo e inglese, hanno subìto un rallentamento negli scambi o non sono state affatto ritirate; il clima avverso le ha in seguito irrimediabilmente rovinate. Questa situazione è anche la diretta conseguenza dell’embargo russo, considerato l’elevato gradimento di quel mercato verso le uve pigmentate.
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