La pericoltura italiana ha finalmente avviato una sua piccola rivoluzione, non quella tecnologica (già in corso da anni), ma l’altra, strutturale, che riguarda l’assetto organizzativo. Tale obiettivo, non più virtuale, è senz’altro favorito dalla recente costituzione di due grossi gruppi di operatori commerciali (Opera e Origine Group). Da tempo si auspicava un’aggregazione dell’offerta nel comparto territorialmente molto specializzato delle pere fino ad ora disperso in centinaia di soggetti, anche forti, o di consorzi di cooperative molto attive, in competizione tra loro, totalizzanti nell’insieme il 60%-70% delle pere italiane (produzione scesa ormai di un altro 20% rispetto ai 10 Ml t di pere di qualche anno fa)
Gli esperti considerano questa “dispersione” il principale fattore limitante lo sviluppo della pericoltura e soccombente di fronte alle crisi di mercato che negli ultmi anni hanno ulteriormante compromesso il comparto delle pere. Le analisi di mercato, a livello globale, dimostrano che nella sola UE, nei Paesi del Centro-Nord Europa, il consumo delle pere è alquanto basso (da 2 a 5 kg/pro-capite per anno) quando quello delle mele è di molto superiore (anche 15-20 kg/pro-capite per anno). In tal caso non si tratta di calo di consumi, ma di perduranti bassi livelli di consumi che potrebbero essere fortemente aumentati solo se si perseguisse una politica di persuasione dei consumatori, proponendo loro pere di alta qualità continuativamente, per almeno un semestre.
Finora l’Italia ha lasciato campo libero ai competitori esteri tanto che le esportazioni verso la stessa Germania sono in gran parte appannaggio delle produzioni belghe e olandesi (in Olanda negli ultimi due anni la superficie dei nuovi impianti di pero ha superato quella di melo).
Se abbiamo ben capito dall’enunciazione dei programmi, i due nuovi Gruppi (Opera e Origine) movimenteranno oltre 200.000 t il primo e non meno di 150.000 t il secondo, che insieme rappresentano circa 1/3 dell’intera produzione nazionale di pere. Nel secondo gruppo rientreranno successivamente anche il kiwi ed altre specie. I due gruppi saranno in grado di trattare alla pari con i grandi gruppi di acquisto della GDO e di creare per l’estero canali continuativi di fornitura di pere di alta qualità, omogenea e standardizzata? In ogni caso la situazione economica, per i produttori, dovrebbe migliorare.
Occorre però dare tempo ai due gruppi di procedere per gradi, in modo da trovare beneficio dal lavoro di coordinamento commerciale già iniziato presso gli esistenti canali di distribuzione, per migliorare l’efficienza, la flessibilità e trarre vantaggi dalle possibili sinergie operative fra i vari soggetti riuniti. Si spera in tal modo che all’estero, e non solo, si possa presto cominciare a conoscere e riconoscere i due “brand” merceologici, una sorta di “Made in Italy” delle nostre pere; ma occorre poi che a tali marchi corrisponda, di fatto, un prodotto di qualità omogenea e garantita, tale da fare breccia nelle aspettative dei diffidenti consumatori stranieri.
Dunque, se così è, i due gruppi devono essere in grado di controllare l’intera filiera produttiva-distributiva, a cominciare dai produttori, gli eterni esclusi, cui di solito vanno solo le briciole del valore aggiunto di mercato. Ci sono dunque le condizioni per invertire la tendenza e fare in modo che i pericoltori, specialmente i conferenti alle cooperative di produttori e quelli singoli che si affidano al libero mercato, possano avere un’adeguata retribuzione; si spera almeno pari ai costi di produzione che negli ultimi anni non hanno trovato conforto sufficiente nei prezzi di liquidazione (si veda la nota successiva a firma Palmieri & Pirazzoli). I produttori perciò, e quindi i servizi tecnici che li guidano nell’uso delle varie tecnologie (difesa, fertirrigazione, potature, controlo della fruttificazione e della qualità) seguano, compatti, i criteri di uniformità delle tecniche applicate in campo. Dovranno anche adeguarsi, più di quanto fatto finora, all’inevitabile severità nell’applicazione dei disciplinari di produzione, per garantire con la qualità del prodotto la “componente territoriale” che pure incide sulla qualità e il suo riconoscimento, finora non sufficientemente narrata e non percepibile dai soli marchi aziendali (troppi e tali da non riuscire a fidelizzare masse di consumatori).
Occorre anche avere il coraggio di sottrarre dal mercato il prodotto che non raggiunge i requisiti minimi stabiliti in avvio di campagna per la qualità di ciascuna varietà (purtroppo non sempre l’industria dei succhi, dei sciroppati e delle confetture può intervenire per ritirare il prodotto inqualificabile per il fresco). È anche necessario porgere al consumatore, per qualsiasi varietà, solo prodotto maturo, di pronto consumo (non è una giustificazione valida il timore di un successivo rapido decadimento del frutto per la limitata e breve “shelf-life”). Vendere pere dure (tali persino in certi ristoranti) è fortemente sconsigliabile e dovrebbe cessare. Né si può chiedere alle famiglie di gestire la maturazione delle pere in casa propria quando si acquistano pere immature! le pere hanno poi la possibilità di guadagnare consumi anche nel settore della cucina, dei dolci e della ristorazione. I mercati, sotto questo punto di vista, sono in grado di recuperare frutti di vecchie varietà (ormai rinvenibili solo nei mercati locali) per essere utilizzate nella riscoperta di antiche ricette culinarie, oramai in disuso.
Vediamo con molta soddisfazione che, così come si sta facendo per le mele, anche per le pere si stanno studiando le caratteristiche nutraceutiche delle singole varietà, specie nel confronto delle molecole di vitamine, di polifenoli, di composti volatili ed aromatici, dell’amido e delle pectine, ecc. attraverso la conoscenza e quindi la valorizzazione delle stesse sul piano nutrizionale o dietetico. Le pere, dunque, possono migliorare la dieta, proteggere la salute (prevenendo malattie, invecchiamento cellulare, arrecare benessere all’individuo).
Questo tema è stato inserito nel programma della 3 giorni ferrarese di novembre (Futurpera, 19-21 novembre). Per quanto sia dato modo a questa Rivista di contribuire a creare un clima di fiducia attorno alla coltura del pero (in parte venuto meno negli ultmii anni), dobbiamo tutti aiutare la piccola rivoluzione portata avanti, finalmente, da Opera e da Origine Group, con la compiacente benedizione dell’organismo interprofessionale (OI Pera), il cui presidente Amidei lascia intendere che senza l’aggregazione dell’offerta non si può migliorare la redditività delle colture e non si possono creare i presupposti per esportare più di quanto si sia fatto in passato. Senza piani strategici di valorizzazione dell’offerta (leggi qualità) e senza accompagnare le vendite all’estero con efficaci strategie promozionali e di appoggio governativo al “trading”, iniziative queste, finora trascurate, non si riuscirà a migliorare la situazione. Bisogna cioè che impariamo a “fare sistema”, anche per le pere.