È stato recentemente pubblicato il rapporto 2016 di Qualivita-Ismea sulle Dop e Igp, da cui risulta che anche nell’ultimo anno il dato di commercializzazione della frutta e della verdura a designazione comunitaria risulta in contrazione. Nel 2015 il valore dell’intero comparto “food” dei prodotti Dop-Igp appariva complessivamente stabile e registrava un leggero calo dell’1,5 % sul 2014, attestandosi a 6,35 miliardi di €. Nel contempo, però, si evidenziava – nel medesimo periodo – un incremento del 17% nell’export, che raggiungeva un valore di 3,1 miliardi di € e un aumento del 5,1% delle vendite della Gdo Italiana.
Dunque un comparto che esprime una crescita del venduto sia sui mercati esteri che sul mercato interno. L’ortofrutta appare, però, in controtendenza. Infatti, sebbene sia la prima categoria in volume nel “food” certificato, con 658.000 t di produzione e un + 0,4% rispetto al 2014, mostra un “trend” flessivo sia nelle vendite al consumo in Italia, sia nell’esportazione. In particolare, di fronte ad una sostanziale stabilità del valore al consumo dei prodotti certificati Dop e Igp, consolidato ad un livello di 13,3 miliardi di €, l’ortofrutta segna un calo di quasi il 7% rispetto all’anno precedente e un valore di 919 milioni di €, con una quota del 6,9% del totale “food”. La riduzione del valore sul lato dell’export è ancora più marcata e registra un -18,2%, portando il commercializzato oltreconfine a poco più di 219 milioni di €.
Questo ruolo marginale dell’ortofrutta nel comparto delle certificazioni agro-alimentari è ulteriormente avvalorato dal fatto che ben il 77% dell’intera produzione nazionale Dop-Igp proviene dal Trentino Alto-Adige e dalla zona di Cuneo; parliamo, quindi, essenzialmente, del comparto delle mele.
Cosa sta accadendo?
Ancora una volta possiamo parlare di occasione perduta, di miopia da parte degli operatori italiani. Purtroppo sembra proprio così. L’adozione delle designazioni comunitarie sembra essere stata dettata più da considerazioni di opportunità, più precisamente opportunità di accedere alle linee di finanziamento pubblico. Oppure a fattori tattici di difesa della produzione locale dai competitori di altre origini. In entrambi i casi, però, non sembra esserci consapevolezza del valore che a questi prodotti assegna il consumatore e, di conseguenza, i distributori.
Già da tempo il mercato ha trovato nei prodotti locali uno dei segmenti di crescita di maggior interesse. Secondo dati IRI, nel 2013 la quota di incidenza delle specialità regionali in Italia rappresentava l’8,7% del totale degli acquisti, con una distribuzione abbastanza differenziata nelle diverse regioni italiane.
In questi ultimi anni l’origine del prodotto ha sempre più avuto un peso importante nel guidare le scelte di acquisto dei prodotti freschi da parte del consumatore. Secondo un’indagine condotta da SG Marketing, nel 2013 la provenienza da aree vocate rappresentava il secondo criterio di scelta per i freschissimi, dopo l’origine Italia. Nell’ultimo quinquennio, infatti, tra i numerosi cambiamenti registrati nelle scelte del consumatore l’origine dei prodotti ha assunto una rilevanza spesso decisiva.
L’origine Italia contiene principalmente un elemento di rassicurazione circa la sicurezza alimentare del prodotto. Ciò è da mettere in relazione con tutte le incertezze e, a volte, le evidenze riguardanti le produzioni straniere e in particolare quelle extra-europee. Significativo in tal senso il fatto che le due principali insegne italiane – Coop Italia e Conad – abbiano deciso di inserire nei prodotti a proprio marchio nel caso dell’ortofrutta solo prodotto di origine italiana.
Le specialità territoriali – tra cui rientrano le Dop-Igp – trovano invece le principali motivazioni d’acquisto nella riscoperta del valore del territorio, della cultura enogastronomica della cucina regionale italiana e, dunque, nell’aspettativa di trovarsi di fronte a prodotti che rappresentano l’eccellenza nell’offerta della propria categoria. Si tratta, quindi, di uno dei segmenti della fascia “top” del mercato, che in ortofrutta, insieme al biologico, ha segnato gli incrementi maggiori delle vendite in Italia negli ultimi anni.
Nel campo dell’ortofrutta, forse il solo Radicchio di Treviso ha saputo sfruttare fino in fondo questa leva per costruirsi un posizionamento “premium” sul mercato; più recentemente, interessante sembra l’impatto delle Ciliegie di Vignola Igp che sulla distribuzione italiana hanno cominciato a dettare legge. A questo “target” di consumo va iscritto, ad esempio, il marchio “Solarelli” (gruppo Apofruit) che propone una gamma di frutta e verdura tipiche delle diverse aree italiane; in tal caso il concetto è più ampio delle sole Dop e Igp per cogliere tutte le potenzialità commerciali e produttive legate alla valorizzazione delle produzioni locali.
Anche la distribuzione moderna ha sviluppato un approccio analogo. Il segmento delle specialità locali viene valorizzato utilizzando propri marchi premium: “FiorFiore Coop” e “Sapori&Dintorni” di Conad hanno da tempo inserito nel portafoglio prodotti anche una vasta gamma di ortofrutta fresca. Dunque un fenomeno in ascesa nella distribuzione moderna che risponde ad una richiesta precisa dei consumatori/clienti del canale moderno.
In una recente indagine realizzata nel 2015 presso i consumatori italiani, è stato analizzato da SG Marketing il “gap” tra l’importanza di alcuni requisiti attribuiti al prodotto ed il grado di
soddisfazione riscontrato nell’offerta del proprio supermercato. Ancora una volta viene ribadita l’importanza di trovare i prodotti locali presso il punto vendita di fiducia. Infatti, dopo frutta e verdura “di stagione” e “made in Italy”, la presenza del prodotto locale rappresenta il terzo parametro ricercato dal consumatore.
Come evidenziato nella figura 5, la presenza di prodotti locali è uno dei punti critici di maggiore rilevanza; mentre il grado di importanza dato alla presenza di prodotti locali nel punto vendita raggiunge un punteggio di 8,15/10, il livello di soddisfazione dell’offerta della Moderna Distribuzione si attesta al 7,3/10; lo scarto rilevato risulta essere uno dei maggiori tra i diversi criteri.
Conclusioni
Si può affermare che, come già evidenziato, ci troviamo di fronte ad un ennesimo paradosso. In generale, in uno scenario complessivamente positivo, in cui:
- cresce il valore al consumo dell’intero comparto dell’agro-alimentare certificato e del “food” a marchio Dop e Igp,
- cresce l’export di questi prodotti in modo significativo,
- crescono le vendite dei prodotti locali nella Moderna Distribuzione,
- al contrario, si riduce il peso delle Dop e Igp del settore ortofrutticolo sia sulle vendite nel mercato interno, sia in esportazione.
Ancora una volta va segnalata l’insufficiente attenzione posta sul tema dal settore produttivo; le designazioni comunitarie sono state gestite in modo tattico, difensivo; si sono sottovalutate le tendenze che stavano affacciandosi nel mercato e non si sono colte le potenzialità di valorizzazione che si aprivano. In specifico, non si è colta l’importanza di aggiungere valore al “brand” attraverso lo sviluppo di linee territoriali dedicate, al contrario di quanto – sia pure molto timidamente – è stato fatto con il biologico.
Nel mondo del trasformato e del “beverage”, invece, il valore del localismo è stato sviluppato molto bene. Intanto si può affermare che gli storici settori che caratterizzano il “made in Italy” agro-alimentare (salumi, formaggi, vini, conserve vegetali) sono da sempre caratterizzati da produzioni tipiche regionali, ma negli ultimi anni ad essi si sono affiancate nuove categorie come la pasta e perfino la birra. Il caso della birra è proprio esemplificativo; Moretti, uno dei marchi storici del settore, che ha fatto dell’italianità uno dei propri punti di forza, ha lanciato di recente la linea delle birre regionali con ricette che includono aromi ed ingredienti tipici di quelle aree.
La strategia di estensione della marca adottata ha portato ad un arricchimento del “brand” e ad un suo rafforzamento strategico; inoltre, con questa nuova linea il brand ha aggiunto al suo plus di “birra italiana”, anche quello dello specialista dei gusti delle diverse regioni. Nel “concept” sviluppato i due elementi “origine Italia” e “specialità regionale” sono sinergici e coerenti tra loro. Una corretta politica di marca coglie queste evoluzioni per dare nuova linfa al proprio marchio e far crescere la sintonia con i propri consumatori.
Purtroppo il settore ortofrutticolo è rimasto un po’ alla finestra. Le lodevoli eccezioni che per fortuna esistono, alcune delle quali citate nel presente articolo, sono lì a dimostrare che, invece, sia in Italia, ma anche e soprattutto all’estero, esiste un mercato interessante che dovrebbe essere colto.