l recente convegno di Latina sulla frutticoltura alternativa è risultato di alto livello scientifico grazie alla partecipazione di relatori italiani e brasiliani esperti in materia di frutticoltura sub-tropicale, la quale, da tre anni, viene proposta ad imprenditori agricoli, studiosi, commercianti.
Il primo incontro nazionale sulla frutticoltura non tradizionale si svolse, sempre a Latina, sulla spinta di una crescente richiesta di mercato per le specie frutticole alternative. La superficie di alcune di esse è già in espansione. Esaminate singolarmente, alcune specie (melograno, ficondia, feijoa, avocado, annona, passiflora, macadamia, pecan, tamarillo, fingerlime e pitaya) presentano il loro confine climatico nel Lazio, mentre per quanto concerne le specie più sensibili al freddo (mango, papaya, guava, carambola, litchi e altre), che non tollerano temperature sotto lo zero, l’area di coltivazione non può andare oltre gli ambienti di Sicilia, Calabria e Puglia.
All’incontro di Latina (ottobre 2017) sono state esaminate 20 specie frutticole tra le quali alcune nuove, come acerola, annona, tamarillo e carambola.
Perché frutta esotica?
La storia dell’actinidia è senza dubbio quella più emblematica per descrivere il successo di una specie esotica, sconosciuta nel nostro Paese fino al 1971, quando apparvero le prima piantagioni in provincia di Latina, attualmente divenuta “la terra del kiwi” avendo in coltura 9.000 ha e una produzione di circa 160.000 t. In Italia la superficie actinidicola è di 26.000 ha e una produzione annuale di circa 500.000 t.
Altre specie, come il babaco, introdotto in Italia nei primi anni ’80, è invece l’esempio del fallimento più eclatante. Coltivato in serra riscaldata, ha richiamato l’attenzione di numerosi imprenditori, attratti dalle elevate quotazioni iniziali dei frutti (circa 10 €/kg). Poi, la produzione è diventata eccessiva (una pianta produceva mediamente 40 kg) e i frutti furono deprezzati e invenduti per cui molti coltivatori hanno dovuto pagare i debiti contratti per l’acquisto delle serre e gli impianti di riscaldamento. Questa esperienza fallimentare insegna che lo sviluppo di una specie frutticola avviene nel rispetto dei seguenti fattori:
1. area pedoclimatica idonea, ove si producono frutti di qualità e quantità a costi favorevoli (come per il kiwi in provincia di Latina);
2. sviluppo della superficie colturale in sintonia con la domanda del prodotto da parte del mercato internazionale;
3. i frutti devono conservarsi in frigo per lungo tempo (il kiwi si conserva da 6 a 12 mesi in frigo in impianti dotati di atmosfera controllata);
4. importanza degli aspetti nutrizionali e farmacologici della specie frutticola (il kiwi è ricco di antiossidanti e di fibra idrosolubile e i piccoli semi conferiscono proprietà lassative).
Il prof. Silviero Sansavini, moderatore della prima sessione, nella sua apertura dei lavori ha sottolineato alcuni punti. Il primo, l’eccezionale crescita della domanda di varie specie di frutta tropicale. La stima è che nel 2016, in totale, il valore del consumo sia stato pari, in Italia, a 650 Ml €. Ma attenzione, questi non sono andati a beneficio dei produttori, ancora troppo pochi, ma degli importatori e di tutto il settore commerciale. Poche cifre: domina l’ananas (75 Ml €), poi l’avocado (23 Ml €), il mango (22 Ml €) e la papaya (10 Ml €). In percentuale l’aumento rispetto al 2015 è stato del 38% per il mango e del 35% per l’avocado, mentre la media generale di aumento del volume per la frutta tropicale è stata del 7,6%. I prezzi di mercato possono stupire: si va da 1,7 €/kg per l’ananas a 5,2 €/kg per l’avocado, fino a 7,0 €/kg per mango e papaya. Mango e avocado prodotti in Sicilia sono stati tuttavia venduti sui mercati locali a prezzi inferiori (anche di soli 2-3 €/kg).
Il secondo fattore che giustifica l’interesse verso la frutta tropicale è quello climatico; come ben noto il riscaldamento globale provocato dai gas serra è corresponsabile dell’aumento delle temperature e quindi dello spostamento reale dei parametri climatici (temperature minime e massime) necessari per le specie sub-tropicali che in questi ultimi anni si sono spinte fino alla latitudine non solo della Sicilia, ma di parte dell’Italia meridionale, fino a toccare il Lazio (area di Latina, dove la temperatura media invernale non scende sotto i -4 -5 °C). Secondo gli esperti ciò è dovuto alle correnti d’aria che giungono in Europa salendo a Nord dal riscaldamento dell’Oceano Atlantico (vedi scioglimento ghiacciai), mentre a Sud l’aria calda equatoriale proviene dalla progressiva sostituzione dell’anticiclone delle Azzorre con quello della Libia (in pratica la corrente d’aria sale verso il Nord provocando ondate di calore con aumento anche di 4-5 °C; partendo dal Mediterraneo raggiunge il Nord fino all’Inghilterra). Cosicché la Sicilia è la prima regione a subire questa massa di calore che, ai fini della frutta esotica, è benefica.
Rimane tuttavia il rischio di ritorni di freddo invernale-primaverile? Non lo sappiamo, ma specie come il mango subiscono danni già a -1-2 °C e l’avocado al di sotto dei -5 °C.
Il confronto con le informazioni apportate dai relatori brasiliani (G.L. Marodin e L. Nyssen) ha offerto una base conoscitiva comune sul comportamento e sulle caratteristiche di almeno una decina di specie sub-tropicali. Può darsi che emerga la convinzione che alcune di queste siano adatte al nostro clima, magari anche solo in ristrette aree vocate, producendo frutta di buona qualità commerciale. Occorre molta prudenza nella valutazione e nella scelta degli habitat adatti solo a qualcuna delle specie e solo dopo che queste avranno dimostrato per qualche anno di produrre bene. Solo la Sicilia, per ora, con i necessari riscontri sperimentali (vedi mango e avocado), si sta muovendo.
In ogni caso, occorre puntare sul mercato e per poter competere è necessario raggiungere un elevato standard qualitativo e buone rese con costi di produzione compatibili per consentire la redditività delle colture. Teniamo anche presente che al Sud, in generale, ci sono altre specie in lista di attesa, quali mandorlo e pistacchio, ficodindia e nespolo del Giappone, fico e melograno.
Anche il prof. Carlo Fideghelli, moderatore della seconda sessione, pur giustificando il grande interesse per la frutta sub-tropicale ha inviato alla prudenza. Altra ragione è legata poi all’interesse crescente dei consumatori per tutto ciò che è novità e diverso dal tradizionale, in parte dovuto all’aumentato del turismo internazionale, in parte ai maggiori scambi commerciali e in parte agli intensi flussi migratori di popolazioni provenienti prevalentemente da Paesi sub-tropicali e tropicali.
Alcuni dei fruttiferi trattati nella seconda sessione sono ben conosciuti e consolidati come il ficodindia, il lampone e il mirtillo, mentre altri sono oggetto, da pochi anni, di una intensa e forte azione di valorizzazione, come il melograno; altri, come feijoa e tamarillo hanno un ruolo di coltura amatoriale; altre ancora sono poco conosciute e ancora poco sperimentate per una loro diffusione che non sia solo per curiosità o per consumo familiare (carambola, fingerlime, guava, litchi, papaya, passiflora).
Dal Brasile, il prof. Gilmar Marodin dell’Università di Porto Alegre (UFRG) del Rio Grande Do Sul, esperto di frutticoltura esotica, ha descritto le esigenze pedoclimatiche, la tecnica colturale le avversità i consumi di avocado, nespolo del Giappone, feijoa e guava. La guava è molto coltivata nello stato di Bahia (Nord-Est del Brasile) con varietà a polpa bianca e rossa. L’avocado è la specie più coltivata in America Latina ed in particolare in Brasile. Anche il nespolo del Giappone è considerato specie molto importante e in crescita. Feijoa e guava sono in aumento, ma solo nelle aree sub-tropicali e tropicali (stato di Bahia). Il frutto è una bacca piriforme e la polpa, a seconda delle varietà, è bianca oppure rossa.
L’altro relatore sudamericano, Lourenco Nissen, esperto tropicalista di San Paolo (Brasile) ha descritto in maniera dettagliata l’acerola, il mango e la pitaya, poi litchi e passiflora. Anche queste specie sono difficilmente coltivabili in Italia. L’acerola (detta ciliegia tropicale) è un piccolo frutto e la pianta ha portamento cespuglioso, che può raggiungere i 4 m di altezza. I frutti sono drupe appiattite di 2-3 cm di diametro, di colore rosso. Famosa per l’elevato contenuto di vitamina C, pari all’1%, dieci volte superiore al contenuto del kiwi (0,1 g/100 g) e trenta volte superiore rispetto agli agrumi. Quindi si può affermare che l’acerola costituisce una “miniera” della citata vitamina; riscuote molto interesse sia per il consumo fresco, sia per l’industria di trasformazione per ottenere prodotti farmacologici antinfluenzali. Si coltiva nelle aree tropicali, come quella di Bahia. Nissen si è poi soffermato su molti particolari tecnici della coltivazione, tutti portati a promuovere la redditività della coltura.
Sono seguiti gli aspetti più importanti delle altre specie frutticole assegnate. Per i relatori italiani, il dr. Ottavio Cacioppo, Presidente dell’Accademia di Agricoltura di Latina, ha dedicato la maggiore attenzione a quattro specie, cominciando dall’avocado. I consumi in Europa e degli altri mercati mondiali più importanti, come Stati Uniti, Asia e Canada, sono in aumento. Solo il Messico ha 120.000 ha ed esporta verso detti mercati circa 1 Ml t. In Italia le aree vocate all’avocado vanno dalla Sicilia a quelle più temperate del Lazio. Questa specie sta suscitando, anche in Italia, interesse non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, Puglia, Campania e Lazio. Nell’area di Latina, ad esempio, impianti specializzati sono nati nel 2000. È una pianta che teme il freddo e le varietà più resistenti possono sopportare temperature minime di -4° C. La gelata invernale dello scorso inverno che ha raggiunto temperature di -8°C ha danneggiato foglie e gemme dell’avocado in provincia di Latina, compromettendone la produzione dell’annata in corso. Le piante però si sono riprese e andranno in produzione di nuovo fin dal prossimo anno.
Valori termici di -8 °C a Sud di Latina sono da considerarsi eventi rari poiché le minime invernali non scendono sotto -4°C. La specie, grazie ai numerosi effetti benefici, nutrizionali e farmacologici, presenta, nel nostro Paese, prospettive di sviluppo notevoli. In Europa ne vengono importate circa 400.000 t e il consumo pro capite annuo è di 700 g, mentre la Svizzera ha un consumo pro capite di 1 kg. Negli USA il consumo pro capite di avocado è in crescita e si sta portando sui 3 kg, mentre in Canada si attesta su 1,5 kg. Di questa specie sono state descritte la tecnica colturale, la scelta varietale (Hass è fra le cultivar più note, di origine americana, diffusa in tutto il mondo, resistente a temperature fino a -1,3° C). Sono stati altresì trattati gli aspetti relativi alla potatura, alla fertilizzazione, alla dicogamia dell’impollinazione fiorale e agli aspetti produttivo-commerciali. I frutti si trovano sul mercato tutto l’anno. In Europa, la Spagna supera gli altri Paesi con una superficie a coltura che raggiunge ormai i 20.000 ha.
La pitaya (frutto del drago o frutto della luna) offre positive prospettive di sviluppo colturale e di consumo grazie ai numerosi benefici nutrizionali e farmacologici attribuiti ai frutti, i quali spuntano prezzi, in Italia, fino a 20 €/kg. Introdotta in Italia dalla Colombia nel 1988 dallo steso Cacioppo, è stato realizzato un impianto protetto (in serra fredda) in provincia di Latina con varietà a buccia gialla (buccia gialla del frutto maturo e polpa bianca con numerosi semini scuri) e varietà a buccia rossa (buccia rossa e polpa bianca, con numerosi semini scuri). L’impianto è entrato in produzione dopo 18 mesi dalla messa a dimora e l’aspetto più importante della specie è stato quello dell’impollinazione del fiore (ermafrodita) che si apre solo di notte, per richiudersi al mattino. Il fiore risulta dunque fertile per un tempo molto ristretto e breve. Pertanto risulta importante lo studio dell’impollinazione artificiale da realizzarsi nelle ore in cui il fiore è recettivo. La pianta resiste alla temperatura minima di -2°C e le due varietà testate a Latina hanno finora prodotto regolarmente.
La feijoa è di origine brasiliana e dopo il fallimento registrato negli anni ’80 è stata studiata in Nuova Zelanda dove sono state selezionate cultivar pregiate, come Mammoth e Triumph. Altre due cultivar, Apollo e Gemini, furono introdotte a Latina all’inizio degli anni ’80. Inizialmente era stata proposta come specie da affiancare al kiwi. I frutti piacevano e le piantagioni si espansero fino ad alcune centinaia di ha. Sempre a Latina fu costituita una cooperativa di produttori e i frutti furono venduti a prezzi buoni per i primi due anni a un grande distributore italiano, creando entusiasmo tra gli associati. A causa però della sua scarsa conservazione (la polpa annerisce), il prodotto risulta presto invendibile, per cui le piante di feijoa furono sostituite con altre specie frutticole.
Ciononostante, la feijoa è stata inclusa nell’elenco della frutticoltura alternativa in quanto sono state inserite le nuove varietà neozelandesi e brasiliane, compresa una da semenzale, ottenuta in Italia dallo stesso Cacioppo. Questa nuova cv italiana è tardiva, con pezzatura dei frutti elevata e lunga capacità di frigo-conservazione; è poco suscettibile agli attacchi della mosca della frutta, responsabile dell’imbrunimento della polpa.
Il ficodindia si coltiva su una vasta area in quanto la specie ha risorse elevate per crescere anche in assenza di acqua per cui è adatto all’aridocoltura. La pianta resiste a temperature minime invernali molto elevate: le temperature minime registrate lo scorso inverno (fino a -8°C) che hanno colpito l’area più calda dell’Agro Pontino, quella a Sud di Latina, non hanno danneggiato gli impianti specializzati che producono frutti della varietà gialla (“Surfarina”), bianca (“Muscaredda”) e rossa (“Sanguigna”), qualitativamente comparabili a quelle siciliane.
Il prof. Vittorio Farina, docente di Frutticoltura tropicale e sub-tropicale all’Università di Palermo, ha poi relazionato su anona, mango, nespolo del Giappone, litchi e papaya. Il relatore ha illustrato le attività del suo gruppo di ricerca. Circa il mango coltivato in Sicilia, sono stati mostrati i progressi della ricerca sull’introduzione e adattamento di nuove varietà e nuove tecniche di gestione post-raccolta e della IV gamma, lasciando intendere che la specie è promettente sia per la coltivazione, nonché per il consumo in aree Nord-orientali dell’isola (area di Milazzo). Per il nespolo del Giappone si è soffermato sugli aspetti qualitativi dei frutti legati alle varietà autoctone siciliane. La coltivazione dell’annona (detta anche cirimoia) in Sicilia è favorita dalla rusticità della pianta e incentivata in virtù dell’elevato valore nutraceutico dei frutti.
In prospettiva, sono emerse anche le potenzialità del litchi, cui Farina ha descritto l’applicazione di pellicole (“edible coating”) e del MAP (“modified atmosphere packaging”) per la gestione post-raccolta dei frutti prodotti in Sicilia. Infine, ha mostrato gli impianti di papaya che sono sorti in Sicilia e l’interesse crescente per questa specie nell’occupare le serre costiere siciliane ormai non più destinate ai poco remunerativi ortaggi.
Il dr. PJerin Preka del Crea-Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma, ha relazionato su melograno, lampone e mirtilli. Preka è, a livello nazionale, un apprezzato ricercatore del melograno che, in Italia, in questi ultimi anni, risulta in piena espansione grazie alla vivace richiesta di mercato e dell’industria delle bevande. Il relatore si è soffermato sulla tecnica colturale, sulla gestione degli impianti e in particolare ha descritto la fisiologia e biologia della pianta. Ippocrate esaltava il potere curativo del melograno dalle infezioni, dalla febbre e dalle verminosi. Il melograno risulta in espansione in Italia, in particolare in Sicilia, Puglia e Lazio, ove sono stati realizzati i primi impianti specializzati nel 2014 e attualmente ci sono oltre 100 ha. Preka ha poi descritto il lampone e i mirtilli mettendo in evidenza le aree di coltivazione nel nostro Paese che sono quelle più fresche dell’Italia del Nord, la pedologia, i terreni con il pH sub-acido, tipico dei boschi, la tecnica colturale specializzata, le varietà, le produzioni. Queste specie frutticole sono in espansione in Italia per la richiesta di mercato in crescita. I frutti vengono utilizzati per il consumo fresco e dall’industria per preparare prodotti vari. Ne è stato messo in risalto l’aspetto nutrizionale e farmacologico.
Il Prof. Giancarlo Polizzi, ordinario di Patologia vegetale presso l’Università di Catania, ha relazionato sulle principali malattie delle piante tropicali e sub-tropicali presenti in Italia e di quelle a rischio di introduzione. In particolare, nella sua relazione, sono stati presentati i risultati conseguiti dalle attività di ricerca del suo gruppo di lavoro sul contenimento dei patogeni tellurici nella fase di reimpianto attraverso tecniche a basso impatto e sostenibili dal punto di vista ambientale. In particolare, attraverso l’impiego della solarizzazione del terreno con film plastici innovativi e con l’impiego di dosi ridotte di fumiganti utilizzati con film barriera (VIF e TIF) è possibile contenere e ridurre sensibilmente i principali patogeni di alcune specie tropicali e sub-tropicali rispettando al contempo la microflora benefica presente nel terreno, come, ad esempio, le diverse specie di Trichoderma, e di rispettare le normative di buona pratica agricola e dell’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
È stata poi la volta di un appassionato vivaista che opera a Milazzo (Me), il dr. Natale Torre, specializzato in piante tropicali e sub-tropicali che ha parlato delle esperienze con anona, macadamia, pecan, carambola, fingerlime, guava e tamarillo. Di queste specie sono state descritte le esigenze pedoclimatiche e l’area di coltivazione, la moltiplicazione, le varietà e le richieste di mercato che sono limitate in Europa. Piantagioni sono in sperimentazione non solo in Sicilia, sebbene limitate per ora alla fase di osservazione.
In una seconda giornata di lavori, il dr. G. Maselli, della Regione Lazio, ha trattato il tema dei finanziamenti in frutticoltura attraverso il Piano di Sviluppo Rurale (PSR), di recente rinnovato per altri 5 anni. Si è soffermato, soprattutto, sulle agevolazioni finanziarie per l’inserimento dei giovani in agricoltura, mentre il G. Marodin ha riferito che in Brasile è possibile investire poiché i terreni costano meno rispetto a quelli dell’Italia e vi si possono coltivare specie frutticole tropicali e sub-tropicali con buon reddito, mentre in Italia occorre ancora dimostrarlo.
Continua l’interesse per una frutticoltura alternativa con le specie esotiche
Il 1° Convegno internazionale di Latina ha allargato il confronto al Brasile per capire meglio l’influenza dell’habitat adatto alla coltivazione.
Mango ed avocado si sono già insediati in Sicilia.
Il clima che cambia sembra far emergere interessanti prospettive per nuove specie, ma non vanno dimenticati fico e ficodindia, mandorlo, pistacchio e nespolo del Giappone, da sempre presenti nelle aree del Sud Italia.