Il futuro tra cloni e vitigni ibridi resistenti

vitigni ibridi resistenti
L’abrogazione della norma 2001/18 che assimila agli Ogm le accessioni di vite ottenute con le tecnologie di evoluzione assistita (Tea) sarebbe di particolare importanza per l’Italia. Ma i nodi da sciogliere su questo tema sono ancora molti

Il miglioramento genetico della vite sta attraversando un momento particolarmente delicato dal momento che la Commissione europea dovrebbe giungere a una revisione della normativa 2001/18 che assimila agli Ogm le accessioni di vite ottenute con le tecnologie di evoluzione assistita (Tea).

L’abrogazione della norma sarebbe di particolare importanza per l’Italia, dal momento che vari Centri di ricerca e Università stanno già utilizzando le Tea per indurre le mutazioni per la resistenza alle malattie fungine nel genoma di alcuni vitigni “italici”, rigenerando poi, a partire da cellule mutate, individui completi dotati dei caratteri di resistenza. Qualora le viti ottenute con cisgenesi e genome editing non fossero più considerate Ogm, i primi cloni “editati” di importanti varietà del nostro Paese (ad es. Corvina, Montepulciano, Sangiovese e lo stesso Glera) potrebbero essere sperimentati in pieno campo. I cloni mutati manterrebbero di diritto il nome della varietà con la qualifica aggiuntiva della caratteristica indotta dalla mutazione (ad es. “Corvina resistente” o “Montepulciano resistente”). È affascinante pensare che tali cloni potrebbero aprire nuove prospettive al miglioramento genetico di Vitis vinifera, poiché potrebbero essere incrociate tra loro le accessioni resistenti di alcuni vitigni “italici”, allo scopo di aumentare l’eterozigosi e ampliare la variabilità dei caratteri ottenibili. Potrebbero così essere selezionate nuove cultivar con caratteri agro-enologici adatti all’evoluzione dei cambiamenti climatici e, in particolare, agli aumenti termici estivi. Sarebbe importante disporre di nuove varietà di vinifera con un alto fabbisogno termico (cioè a maturazione molto tardiva), in grado di mantenere elevati gli aromi e l’acidità organica a piena maturazione e meno sensibili ai processi di foto-inibizione connessi alle calure estive.

La disponibilità dei cloni resistenti sul mercato richiederà tempi molto lunghi ed è quindi opportuno chiedersi se esistono altre possibilità a breve termine per ridurre l’impiego dei fitofarmaci. Sotto questo profilo, la ricerca è ancora oggi orientata a creare nuove varietà interspecifiche, ottenute da incroci tra V. vinifera e ibridi tra specie diverse di viti non europee (lincecumii, rupestris, labrusca, riparia, rotundifolia, amurensis). Sono già più di 20 le nuove varietà resistenti iscritte al nostro registro varietale; alcune sono state ottenute dall’Università di Udine e dalla Fem, reincrociando alcuni ibridi complessi (Kozma, Merzling, Bianca, 20-3 ecc.) con varietà di V. vinifera di origine francese (Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot, Sauvignon) o italiana (Teroldego, Tocai friulano, Nosiola). I nuovi vitigni resistenti ottenuti dalla Fem sono stati omologati con nomi di fantasia, mentre ad alcuni di quelli dell’Università di Udine è stato dato il nome aggettivato del genitore (ad es. Merlot Khorus o Sauvignon Rytos). Scelte di quest’ultimo tipo sono certamente utili per rendere più appetibili i nuovi vitigni sotto l’aspetto commerciale, ma sono criticabili sotto il profilo scientifico perché confondono il significato della parola “varietà” con quello della parola “clone” e possono far pensare che la varietà resistente si comporti come un clone della varietà originale per tutti gli altri caratteri.

Non si può comunque ignorare che cresce l’interesse verso le varietà resistenti e che alcune istituzioni hanno già in dirittura di arrivo nuovissime selezioni ottenute incrociando i donatori di resistenza con i vitigni italiani più tipici (es. Glera, Sangiovese, Lambruschi, Trebbiani, Montepulciano ecc.). Le nuove accessioni, che non possono che essere diverse dalla vinifera di partenza, dovrebbero essere battezzate con nomi di fantasia, ma le notizie sulla loro imminente omologazione le pubblicizzano come “vitigni autoctoni” resistenti o tolleranti, facendo quindi presumere che sia già in atto una notevole spinta commerciale a battezzarli con nomi che richiamino i genitori italici. Se il Masaf accoglierà tali richieste, si verificherà un palese contrasto con gli eventuali cloni di V. vinifera resistenti che potranno essere ottenuti con le Tea e che avranno il diritto legale di mantenere il nome della varietà con la qualifica aggiuntiva portata dalla mutazione (ad es. “Glera resistente” o “Sangiovese resistente”).

Ben vengano i vitigni resistenti, ma è auspicabile che siano battezzati in modo da non creare equivoci e in modo che anche in futuro non vi sia confusione tra “cloni” resistenti di vinifera e varietà interspecifiche resistenti.

Il futuro tra cloni e vitigni ibridi resistenti - Ultima modifica: 2022-12-13T11:20:49+01:00 da K4

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