La logistica rappresenta, ormai, uno dei fattori produttivi più importanti su cui, in questo momento di crisi e di analisi sul sistema produttivo nazionale, si è chiamati a riflettere. Tra le varie definizioni di logistica riportiamo quella del CLM (“Council of Logistics Management”) del 1998: “La logistica è quella parte della “supply chain” che programma, gestisce e controlla in maniera efficiente ed efficace il flusso di beni e servizi e delle relative informazioni dal punto di origine al punto di consumo, con l’obiettivo di soddisfare le richieste del cliente”. Emerge chiaramente come l’aspetto gestionale di prodotti, servizi ed informazioni sia centrale per capire la definizione e poterne cogliere i limiti. E’ evidente, d’altra parte, come la logistica sia espressione di una visione di sistema (Fig. 1) che, solo se ben funzionante e ben dimensionato, può permettere di ottenere le migliori prestazioni (G. Vignati). Il settore ortofrutticolo, per le sue caratteristiche di deperibilità e di specifiche esigenze nei confronti del consumatore, ha sempre rappresentato una delle sfide principali del mondo logistico. In questo caso la logistica rappresenta un anello di congiunzione tra due settori molto delicati e non sempre in sintonia tra loro: da una parte abbiamo il settore agricolo preoccupato di mantenere livelli produttivi che sono il risultato sia di capacità imprenditoriale, sia di componenti esterne incontrollabili (clima, patologie, ecc.); dall’altra abbiamo i consumatori che pretendono frutta e verdura sempre “bella”, “fresca”, “sotto casa”, “in ogni momento dell’anno”, richieste non sempre facilmente gestibili da una organizzazione logistica (Fig. 2).
Queste tendenze si inseriscono in un contesto nazionale caratterizzato da una frammentazione elevata sia a livello di produzione (aziende agricole), sia di offerta (punti vendita). Alcune indagini fatte a livello di Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM) hanno proprio evidenziato come tali criticità costituiscono il grosso limite allo sviluppo nazionale di un sistema logistico coordinato. La presenza di molte imprese (“stakeholders”) con una caratterizzazione di filiera lunga (più di tre interlocutori) rende i passaggi spesso costosi e, come tali, che arrivano ad impattare sui prezzi al dettaglio (Marcucci E. et al., 2008). Significativi sono i risultati che qualche anno fa Coldiretti aveva trovato facendo un’indagine sui prezzi dei prodotti ortofrutticoli a livello europeo: era emerso che i prodotti italiani avevano un costo superiore in ambito nazionale rispetto ad alcune capitali straniere. Le motivazioni furono identificate in quattro fattori: i contratti di fornitura, il trasporto, la distribuzione, le abitudini del consumatore. E’ interessante constatare che ben due voci siano riconducibili agli aspetti logistici (AA.VV., 2002). Il tentativo di organizzare alcune forme di coordinamento a livello provinciale o regionale (Legge 228/2001 ed ulteriori aggiornamenti) non è riuscita a razionalizzare a sufficienza il servizio. Gli stimoli legislativi hanno portato ad organizzare, in alcune regioni, associazioni tra produttori con una forte valenza di supporto agronomico e legislativo, ma non si è arrivati a realizzare delle infrastrutture nuove in grado di interpretare anche a livello logistico i principi propri della legge. Le piattaforme logistiche non sono riuscite a diventare dei veri centri di servizi in grado di gestire non solo la distribuzione, ma anche, in maniera aggregata, alcune fase di lavorazione che sono rimaste in carico al settore primario. Questa mancanza ha impedito di trasferire alcune economie di scala limitando un possibile vantaggio competitivo importante a discapito delle produzioni nazionali; all’estero, infatti, una filiera agricola dove i produttori demandano alcune fasi post-raccolta non può che contribuire, specialmente in grandi distretti produttivi, a proporre e portare sul mercato prodotti a costi davvero competitivi, in grado di sbaragliare ogni possibile concorrenza. La gestione, quindi, integrata di una logistica nuova, con logiche davvero di condivisione, ha portato a piattaforme di grandi dimensioni che gestiscono, oltre ai flussi di trasporto, anche servizi di valore aggiunto per l’intera filiera. Quando tali fattori sono gestiti a livello di azienda agricola, invece, spesso finiscono per costituire una voce di spesa non indifferente, incidendo in maniera ormai non più marginale sul costo totale della produzione. Questo aspetto è ancor più evidente in un contesto di veloce evoluzione tecnica che difficilmente viene sostenuta dalle piccole realtà. Ovviamente, l’ottimizzazione di tutti gli aspetti tecnici (energia, trasporti, ecc.) trova in grandi piattaforme logistiche la soluzione ideale: in momenti come questi in cui la marginalità si è ridotta fortemente, ecco che anche alcune voci accessorie sono diventate importanti al fine di poter mantenere elevati livelli concorrenziali.
Le normali regole delle economie di scala suggeriscono adozioni impiantistiche di grandi dimensioni al fine di contribuire realmente alla riduzione dei costi accessori. Considerazioni analoghe potrebbero essere fatte anche sulla rete di distribuzione: la parcellizzazione ancora elevata e la presenza di strutture commerciali che mantengono vive filiere lunghe (nel senso che hanno più passaggi) sottopongono il mercato a costi strutturali oggi troppo elevati. La ristrutturazione in atto delle logiche commerciali porta necessariamente ad accettare come interlocutore principale la Grande Distribuzione: il ruolo tradizionale dei “fruttivendoli” può essere oggi assunto nelle nuove forme commerciali basate su filiere emergenti più innovative (“chilometro zero”, gruppi di acquisto solidali, “mercati della terra”, ecc.) che rappresentano una destrutturazione della logistica classica a favore di un nuovo approccio di sicuro interesse. Ovviamente, però, i mercati che possono essere gestiti con queste vie alternative rimarranno sempre limitati a nuclei precisi di popolazione che possono arrivare ad interagire con questa diversa logica non destinata al mercato di massa. Altra correlazione sempre più importante, anche tra gli stessi consumatori, è quella tra la logistica e la sostenibilità: solo una organizzazione logistica prestante ed efficiente è in linea con i principi di sostenibilità ambientale, economica e sociale. La richiesta di filiere in grado di inquinare poco, di essere economicamente vantaggiose per tutti gli “stakeholders”, di rappresentare un’occasione per uno sviluppo sociale complessivo costituisce ormai un ulteriore elemento a cui, oltre che pratiche agronomiche attente all’ambiente in senso lato, può rispondere una logistica attenta a particolari scelte quali i mezzi di trasporto, la gestione dei magazzini con energie alternative, ecc. Ancora una volta, però, ci si trova di fronte a richieste che solo strutture di elevate dimensioni possono gestire in maniera ottimizzata e veramente sostenibile. Ancora una volta, come già succede in altri ambiti, il sistema “Nazione Italia” mostra regie a volte poco incisive, troppo parcellizzate e, forse, eccessivamente limitate da un localismo che, purtroppo, si ritorce contro lo sviluppo globale. Chi ha una maggiore tradizione di gestioni integrate tra più elementi mostra in questo ambito una maggiore competitività con quelle assurdità che spesso caratterizzano lo sviluppo nazionale: noi italiani, produttori di eccellenze ortofrutticole comunemente riconosciute, stiamo diventando, ormai, territorio di produzioni straniere inimmaginabili fino a qualche anno fa. Ormai la variabile “tempo” in termini di mancanza di sviluppo si quantifica in occasioni perse che costano tanto in termini di recupero: quello che si chiede alle nostre organizzazioni è uno sforzo di coordinamento che possa rimettere in moto la “macchina logistica” e permettere prestazioni di vera efficienza che non potranno che riversarsi a favore sia del mercato e del consumatore, sia del produttore.
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