Frutticoltura: da crisi di mercato a crisi di produzione

Se storicamente il problema era competere sul mercato, pur non completamente risolto, oggi il vero grande tema è la garanzia di poter produrre. Come fare? L’abbattimento dei costi e della burocrazia avrebbero bisogno di interventi istituzionali più incisivi, ma è soprattutto sul fronte europeo che si deve cambiare rotta

Chi è nel settore ortofrutticolo da un po' di tempo ricorderà le ripetute crisi commerciali che si sono succedute negli ultimi trent’anni, crisi che non hanno risparmiato nessuno dei settori produttivi italiani di maggiore rilevanza. Quelle delle pesche e delle nettarine, gli anni difficili dell’actinidia, senza dimenticare susine, mele, pere, agrumi e uva da tavola. Le motivazioni sono state perlopiù quella della produzione eccedente, della concorrenza spagnola e di altri Paesi mediterranei che hanno accresciuto la loro competitività, della mediocre qualità dell’offerta, piuttosto che la difficoltà di sostenere un rapporto equilibrato fra offerta e domanda, ovvero produzione, troppo frammentata, e distribuzione, sempre più forte e organizzata.

Oggi, anche questo è un paradigma che cambia. Il vero grande problema sta diventando la garanzia di avere una produzione, quindi la capacità delle aziende ortofrutticole di continuare a fare rese e reddito in maniera soddisfacente in uno scenario complessivo difficilissimo. La qualità dell’offerta, grazie all’innovazione varietale, spesso gestita con formule club controllate, si è indubbiamente innalzata; la riduzione delle superfici in molti casi ha riequilibrato i rapporti col mercato, ma, nonostante ciò, le incognite e le difficoltà che devono affrontare i produttori stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza di comparti strategici dell’ortofrutta italiana.

È in atto quella che gli addetti al lavoro hanno definito “tempesta perfetta”: i cambiamenti climatici, con periodi di siccità, piogge torrenziali, frequenti gelate primaverili e innalzamento delle temperature estive; l'aumento di fitopatie, di infestazioni di insetti alieni o la recrudescenza di vecchie patologie; l’aumento dei costi energetici e dei mezzi tecnici; gli adempimenti burocratici sempre più pressanti. A questo dobbiamo aggiungere la carenza di manodopera specializzata e il costo della forza lavoro che in Europa non ha eguali, senza dimenticare le incertezze socio-politiche che da alcuni anni gravano su tutta l’economia mondiale (ultimi in ordine di tempo i temuti dazi doganali).

La conseguenza di tutto questo è l’inarrestabile riduzione della produzione di diverse specie: nell’ultimo decennio abbiamo perso oltre il 60% del raccolto di pere e kiwi, ma anche le drupacee non presentano segnali positivi. Il problema principale non è più quello di collocare il prodotto sui mercati interni ed esteri a prezzi remunerativi, bensì quello di disporre del prodotto da vendere con continuità, anche per non perdere la fiducia dei clienti che sempre più spesso recepiscono negativamente l’aleatorietà dell’offerta italiana.

Come fare? Il clima lo contrastiamo, dove possibile, con misure preventive o di riduzione del rischio; l’abbattimento dei costi e della burocrazia avrebbero bisogno di interventi istituzionali più incisivi, ma è soprattutto sul fronte europeo che abbiamo la necessità di cambiare rotta. Troppe ideologie stanno frenando la fiducia ad investire in frutticoltura; troppo ambientalismo demagogico, pretestuoso e ignorante sta rallentando lo sviluppo di nuove tecnologie e biotecnologie; troppe norme di ispirazione ecologista vengono imposte senza alcuna interlocuzione con le parti in causa e senza forme transitorie di accompagnamento.

Da tempo la frutticoltura italiana chiede a gran voce, da tutte le parti, una revisione del Green Deal europeo basata su misure più concrete, realistiche ed efficaci, senza disconoscere, come ha sempre fatto, l’importanza della sostenibilità ambientale e della riduzione dell’impiego degli agrofarmaci. Manca però il buon senso di capire che smettere di produrre sarebbe la vera catastrofe per i frutticoltori, ma anche per l’economia europea e per l’intera società.

Frutticoltura: da crisi di mercato a crisi di produzione - Ultima modifica: 2025-04-17T12:28:19+02:00 da Sara Vitali

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