Dalla fondazione a Ravenna (1937), alla rinascita a Bologna (1955)
Mario Marani fondò a Ravenna, nel 1937, la Rivista di Frutticoltura, quale gemmazione del Regio Ispettorato Agrario, che già pubblicava il notiziario quindicinale “La Romagna Agricola e Zootecnica”. La forte passione per la frutticoltura indusse però Marani, nonostante ne fosse il direttore, a fondare una “rivista trimestrale” specifica di frutticoltura per diffondere i risultati sperimentali delle prove condotte presso l’Azienda Agraria Ravennate di cui disponeva.
La Rivista ebbe ben presto una diffusione nazionale, ma poi fu bloccata dalla guerra (1943), che nel 1945 si portò via, purtroppo, anche il prof. Marani, il quale andava orgoglioso del suo “piccolo capolavoro”. Tutti gli riconoscevano una certa genialità nello svolgimento di quest’“opera intelligente e rinnovatrice” per far progredire l’“arte dei frutticoltori italiani”.
Nel dopoguerra la Rivista si riprese con molta fatica, negli anni tra il ’46 e il ’48 (direttore F. Dotti e redattore E.C. Branzanti), ma la rinascita si ebbe solo nel 1955 con il provvidenziale intervento di Luigi Perdisa, professore all’Università di Bologna, che la rinnovò interamente, non solo come veste grafica, alzandone contenuto, diffusione e prestigio nazionali. La nuova edizione, bimestrale, fu perciò trasferita a Bologna presso la Facoltà di Agraria e fu affidata ad un Comitato di condirettori (studiosi e cattedratici) guidato dallo stesso Perdisa.
Ai più stimati collaboratori iniziali, i professori A. Manaresi, D. Casella, G. Ruggeri, si aggiunsero, negli anni, E. Baldini, F. Scaramuzzi e tanti altri, compreso A. Morettini, nonché alcuni esperti stranieri. C’era anche Francesco Dotti, che era stato per tanti anni il principale collaboratore di Mario Marani, di cui aveva preso il posto all’Ispettorato di Ravenna. Sarà poi lo stesso Dotti a ricordare nella Rivista, nel 1963, il venticinquesimo anniversario della fondazione. Dotti fu poi chiamato all’Università di Milano, data la sua profonda inclinazione per la ricerca e l’insegnamento, e fu il primo docente italiano non di estrazione accademica, in quanto formatosi a contatto quotidiano con i coltivatori romagnoli, per molti anni all’avanguardia in Italia. Fu anche un precursore perché teorizzò principi ancora validi nel campo della potatura e dell’allevamento, della concimazione e della diagnostica fogliare, della gestione dell’albero. Già nel 1937 i suoi scritti in tema di potatura di allevamento e produzione avevano enunciato gli indirizzi pratici e come fare a potare gli alberi, specie per specie e varietà per varietà.
È bene sapere che, negli anni ’30, si discuteva se intensificare o meno la frutticoltura con impianti specializzati (che di norma, almeno in Romagna, non superavano il 20% della superficie complessiva del podere, a prevalenza mezzadrile). “È necessario perfezionare la tecnica colturale per aumentare la qualità e quantità dei prodotti, diminuendone il costo di produzione” (Morettini, 1937). Si era capito che i consumi sarebbero cresciuti e sarebbe stato possibile aumentare le esportazioni, soprattutto verso la Germania. Erano tempi in cui le direttive per la frutticoltura venivano dalle famose cattedre ambulanti operanti presso gli Ispettorati Agrari; ad esempio, a Imola, era molto attivo il dr. Mario Neri, di cui si riportano, come esempio, le conclusioni di un suo scritto sul reinnesto del susino Burbank, varietà che, già nel 1937, non era più gradita ai mercati. Egli suggeriva di sovrainnestare la Burbank con una varietà di mirabolano precoce a frutto rosso (cv Dalla Punta), che era molto apprezzata in alcuni mercati, es. Inghilterra. Oggi questo suggerimento sarebbe capovolto, ma Neri ne faceva una questione tecnica di affinità di innesto e, peraltro, tale varietà di mirabolano si usa talvolta, ancora oggi, come varietà impollinatrice delle cino-giapponesi.
Un altro straordinario collaboratore della Rivista – nel dopoguerra – fu il prof. Carlo Branzanti, anche lui della “covata” ravennate successiva a Marani, che faceva tandem con Angelo Ricci. Entrambi erano specialisti di frutticoltura intensiva e di forme di allevamento (una fortunata edizione del loro libro sulla potatura dei fruttiferi è ancora in stampa nel catalogo EdAgricole). Branzanti divenne poi anche direttore della Rivista – nel frattempo divenuta mensile (1962) - dal 1975 al 1985. Era anche lui appassionato, generoso e aperto a molte esperienze: seppe dare voce e peso alle tante componenti frutticole – aveva cominciato ad accogliere anche autori stranieri – e volle costantemente tenere un dialogo con i frutticoltori dando alla Rivista un taglio divulgativo, interregionale, assai marcato e di grande aiuto nell’assistenza tecnica alle imprese, soprattutto contadine. Aveva posto riguardo anche agli orientamenti di mercato, per i quali all’epoca le informazioni passavano e venivano unicamente attraverso l’ICE – Istituto per il Commercio Estero.
La svolta di Luigi Perdisa (1970) con EdAgricole
Poi ci fu, negli anni ’70, l’avvio della regionalizzazione dell’agricoltura (con varie leggi delega) e allora l’assetto istituzionale del Paese cambiò. L’Italia era entrata nel Mercato Comune (a sei paesi), si cominciò a guardare a Bruxelles, il Ministro dell’Agricoltura non era più solo, facevano capolino le associazioni dei produttori e l’editore Perdisa ruppe gli indugi. Rifondò la Rivista, liberandosi dell’affollato comitato e, unico direttore, iniziò un nuovo percorso per mettere la Rivista in sintonia col mondo professionale dell’epoca. Diede più spazio ai problemi economici, associativi, mercantili presentati in una “forma più giornalistica”, per promuovere “rinnovamento e organizzazione insieme”. Nel nuovo corso l’imperativo era l’adozione dei regolamenti comunitari; e così continuò per qualche anno, fino al 1975, quando passò la mano all’amico e collaboratore prof. E.C. Branzanti, che nel frattempo era divenuto Direttore dell’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma, dopo che il Ministero dall’Ispettorato di Ravenna lo aveva chiamato a quello di Imola, e poi per alcuni anni quale ricercatore “distaccato” presso l’Università di Bologna (Istituto di Coltivazioni Arboree).
Perdisa era un uomo di grandi intuizioni. Fin dal 1958, da europeista convinto, aveva scritto su Frutticoltura che la “libertà di scambio, secondo l’ammonimento dell’economista tedesco F. List, avrebbe rafforzato la supremazia dei Paesi più sviluppati (vedi Germania di oggi; ndr), aggravando le condizioni dei Paesi che lo sono meno, come l’Italia”. Il che si è puntualmente verificato nell’Europa degli anni 2000.
In Italia si affermarono, in campo frutticolo, un paio di nuove generazioni di tecnici provenienti in buona parte da industrie private, mentre gli enti regionali (che nel frattempo avevano assorbito gli Ispettorati Agrari) avevano sviluppato propri servizi, in alcune regioni ben funzionanti, e avevano anche favorito la crescita di Aziende Sperimentali locali. A Verona, ad esempio, era nato fin dagli anni ’60 l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura; a Ravenna era rimasta attiva l’Azienda Sperimentale denominata “Mario Marani”, ma la sua limitata autonomia gestionale ne decretò anche un inevitabile declino, tanto che ha cessato di vivere un paio di anni fa ed è stata venduta.
Una rivista moderna, per professionisti della frutticoltura
Poi, a metà degli anni ’80, entrai nella grande famiglia EdAgricole, con la benevola considerazione dell’Editore che aveva fatto della Rivista, dopo oltre trent’anni di impegno diretto, il fiore all’occhiello della sua catena di riviste specializzate di settore (che avevano raggiunto un massimo di ventuno periodici, primato europeo). “Frutticoltura” era, non solo nel Paese, lo specchio delle conoscenze tecniche e delle innovazioni trasferite dalla ricerca alla pratica. E rimase tale anche dopo che l’EdAgricole aveva acquisito e rilanciato il settimanale “Terra e Vita” (tuttora in florida salute) che l’anno scorso con un numero speciale di 190 pagine (1/2017) ha festeggiato gli ottant’anni dell’EdAgricole e ne ha rievocato vicissitudini e traguardi.
Chi scrive, dirige questa Rivista ormai da un trentennio, grazie alla fiducia concessagli da L. Perdisa, poi confermata dagli eredi EdAgricole e da New Business Media, attuale proprietario editore. Sono dunque molto consapevole di questo privilegio, per cui ho ritenuto doveroso tratteggiare in questo scritto le principali tappe evolutive della Rivista nella sua lunga ed esaltante esistenza. Tappe che ho, in parte, vissuto sempre operando con molta passione e con il desiderio di contribuire alla trasmissione del sapere e all’acculturamento professionale del settore, rendendo così un servizio a tutti i Lettori.
Dopo appena due anni, nel 1988 la Rivista raggiunse i primi cinquant’anni di vita (ricordati con un fascicolo di oltre 200 pagine, il n° 1-2 di quell’anno) e tali e tante furono le dimostrazioni di simpatia e stima che segnarono la circostanza, che nel Direttore e nel giovane collaboratore Ugo Palara, crebbe la consapevolezza di doverci impegnare ancora di più per corrispondere alle generali aspettative di crescita, anche sul piano internazionale, che la Rivista doveva superare.
Nel mio saluto ai Lettori (gennaio 1986) indicai il programma che intendevo realizzare: “La Rivista di Frutticoltura auspica di allargare e qualificare ulteriormente i contenuti …: dalle principali acquisizioni sperimentali fino alle riflessioni sui temi di attualità; insomma, la Rivista intesa come tribuna aperta al dibattito, pronta ad accogliere proposte concrete e ad ascoltare voci critiche, costruttive. Ho sempre creduto che dalla diffusione della conoscenza e dalla buona tecnica possano discendere ed affermarsi valide linee politiche ed economiche e non viceversa … La tecnica non può essere fine a sè stessa, né priva di verifiche applicative; non deve nemmeno essere appannaggio di scuole, di aree, di interessi di parte… Stanno cambiando gli strumenti di formazione professionale e di assistenza tecnica e una rivista come “Frutticoltura” vuole essere costantemente a fianco degli operatori per aiutarli a conoscere, a capire, a scegliere, a trovare idee, a guadagnare”. Queste idee, nella loro enunciazione, sono certo valide ancora oggi, ancorché la realtà frutticola sia completamente cambiata.
Aggiungevo poi (nel fascicolo 1-2 dell’88) che “Il frutticoltore, non è più e non solo benemerito produttore di ricchezza, testimone attivo della civiltà del benessere (la frutta entrata nei consumi di massa), architetto ed esteta della natura (modellatore degli alberi), evocatore di desideri simbolici (il frutto), ma sempre più un professionista ad alto rischio, con doveri sociali e di incertezza di redditività, associazionista e cooperatore (almeno nel conferimento del prodotto), assistito, informato, controllato (talora inquisito), ma mai abbastanza difeso dallo Stato e dai suoi organismi, dagli enti regionali intermedi e perfino dai mass-media”.
Erano però tali e tanti i campi del sapere, anche di quello spicciolo e pratico del giorno per giorno, utile a vivere ed operare, che la Rivista si dotò ben presto (…) di un “Comitato scientifico” che doveva includere e assommare le necessarie competenze, integrandole, nei settori disciplinari frutticoli (di ricerca e scientifici) dai quali discendono le tecnologie e le scelte applicative della filiera produttivo-distributivo-commerciale. Dunque, la Rivista doveva e deve divulgare in primis le conoscenze per i frutticoltori, coprendo anche altri campi di informazione fino al post-raccolta, alla distribuzione, all’economia, ai mercati, rendendo così intelligibili (per i Lettori) i “desiderata” dei consumatori, sia di prodotti freschi, sia di derivati e trasformati dell’agro-alimentare frutticolo.
Per stare al passo con i tempi i cambiamenti subiti dalla Rivista sono stati perciò tanti, a cominciare dalla necessità di alzare il profilo tecnico-scientifico dell’informazione, portandolo al massimo livello professionale. Ciò non solo per corrispondere alle attese dei frutticoltori più capaci e intraprendenti e per i tecnici ed operatori che vogliono essere aggiornati, ma anche per ricercatori e docenti, altrimenti impossibilitati a vivere il contatto con la realtà frutticola quotidiana. In alcune Università, infatti, i fascicoli di Frutticoltura sono stati adottati ad integrazione dei testi per i corsi di laurea.
Abbiamo conseguentemente dovuto procedere ad un’attenta scelta degli argomenti da trattare e di autori specificamente competenti. Di qui l’opzione, ormai consolidata, dei numeri Speciali abbinati a Dossier, per offrire in uno stesso fascicolo le argomentazioni aventi risvolti affini e fra loro integrati, afferenti ad una sola specie frutticola, accoppiata questa ad un’altra tematica complementare (dossier). Questa formula ha comportato un aumento degli articoli, dell’ampiezza degli argomenti trattati e quindi una concentrazione delle conoscenze intorno al tema scelto; ed è perciò risultata molto gradita ai Lettori. Naturalmente, gli articoli per corrispondere a tale finalità sono divenuti, via via, più concreti, meno narrativi e quindi più corti, più facili da leggere per l’apprendimento, più illustrati.
La Rivista ospita anche molte notizie brevi, inserite attraverso box o finestre, riporta interviste di imprenditori o manager le cui esperienze o soluzioni tecniche proposte siano di riferimento o comunque apprezzate dai Lettori.
Un nuovo editore – New Business Media – per andare oltre
Seguendo le tendenze odierne della comunicazione, l’Editore New Business Media, da qualche anno subentrato alla vecchia EdAgricole, ha posto “on line” la Rivista, per andare incontro alle esigenze dei giovani lettori, computer-dipendenti, offrendo loro un prodotto che sicuramente, per la sua serietà, correttezza e credibilità, si pone come baluardo contro la superficialità e le manipolazioni (“fake news”) delle informazioni che circolano in rete. Nell’epoca in cui prevale il concetto politico e mediatico della sostenibilità, anche le tecniche frutticole devono adeguarsi e mirare ad una economia di sistema che si avvicini sempre più alla “green economy” e ad una “economia circolare” (come dicono gli esperti), senza però prescindere dalla necessità che anche le imprese che la praticano possano vivere decorosamente e siano capaci di competere nel libero mercato. Non possono sopravvivere in costante perdita e anche i decisori politici non possono ignorare certe drammatiche situazioni se continueranno a perdere di vista i diritti di chi produce.
I programmi già messi in campo da questo nuovo corso sono numerosi a livello editoriale, come il sinergismo nell’informazione tecnica con la più grande APO italiana e cioè Apo Conerpo, che diffonde con la Rivista il suo Notiziario Tecnico, di cui beneficiano tutti gli abbonati; oppure l’individuazione di nuovi interlocutori a livello delle relazioni con i “retailer” aventi la possibilità di operare nel campo della comunicazione con i più importanti soggetti della filiera ortofrutticola. Citiamo anche, per il successo finora riscosso, le ripetute iniziative di Nova Agricoltura (la Rivista in campo, es. Acqua Campus Med., n. 5-2018), attraverso le quali importanti aziende coltivatrici/produttrici propense all’innovazione tecnica si offrono per azioni dimostrative, mettendo a confronto macchine, mezzi tecnici, strumentazioni elettroniche, “know how” e quant’altro può servire per la riorganizzazione e l’ammodernamento delle imprese frutticole, che vogliono superare le difficoltà contingenti o migliorare il processo.
Rivista anticipatrice e guida dello sviluppo frutticolo
Prima di concludere, vorrei in qualche modo citare alcune memorabili tappe della Rivista, che ne hanno segnato l’importanza e l’affermazione nel tempo.
1. Nel campo della difesa sanitaria, la Rivista dall’inizio adottò la linea sviluppata dal prof. G. Goidànich (per molti anni Preside della Facoltà di Agraria di Bologna) e della sua scuola di patologia, micologia e fitoiatria (per quest’ultima con l’aiuto del prof. F. Foschi), linea comune a quella del prof. A. Ciccarone dell’Università di Bari. Entrambi, fin dai primi anni ’60, sposarono il sistema dei trattamenti non più a calendario “ma secondo i cicli biologici”, cioè il sistema della “lotta integrata” (che negli anni ’80 diventerà la “produzione integrata”), mettendo a punto i “disciplinari” degli interventi in campo, i livelli di residui tollerabili e la necessità di disporre di parametri limitativi per l’accertamento della qualità dei frutti.
Purtroppo, per almeno un decennio, gli indirizzi di lotta integrata, comunque storicamente vincenti, furono avversati dai sostenitori del “biologico” (in prima linea, contro, c’era l’etologo prof. Giorgio Celli) che in senso ideologizzato erano contrari per principio all’utilizzo e agli “avvelenamenti” indotti dalla chimica (con presunto servizio reso alle multinazionali!!). La Rivista ha sempre testimoniato questa evoluzione nel suo doveroso percorso informativo, senza propendere pregiudizialmente per l’uno o l’altro percorso. Un certo dualismo conflittuale fra produzione biologica ed integrata esiste ancora oggi.
Sempre del prof. Goidànich vorrei citare il determinante apporto dato, a metà anni ’60, dopo la creazione del CRIOF presso il suo Istituto di Patologia Vegetale, allo sviluppo delle conoscenze sulle tecniche di conservazione degli ortofrutticoli e sulle malattie post-raccolta, sulla gestione dei frigoriferi e dell’atmosfera controllata e modificata e sulle modalità dei trasporti degli ortofrutticoli. Tutta questa informazione, prima in Italia, passò attraverso la Rivista, con fascicoli speciali, fra il 1968 e il 1970. La Rivista poi, in questo campo, diede spazio a due studiosi di punta con rubriche che durarono alcuni anni, affidate la prima a Fausto Gorini e l’altra a Giancarlo Pratella.
Ancora in campo agronomico-sanitario la Rivista si distinse per le pubblicazioni speciali sugli effetti delle gelate del 1966 e del 1985 e sulla “moria” dei peschi conseguente ad allagamenti e ristagni idrici del 1967 (ne furono interessati oltre 12.000 ha in Romagna con la perdita di circa 3.000 ha in provincia di Ravenna).
2. La Rivista di Frutticoltura ha avuto anche il merito di aver dato il via alla diffusione delle nuove varietà di pesco a polpa gialla americane (Redhaven, Dixired, Cardinal, Southland, ecc.) presentate durante il primo Convegno Peschicolo Romagnolo, svoltosi a Ravenna nel 1955, poi divenuto nazionale (ora giunto alla XXVII edizione, Acta Italus Hortus, 2016). L’interesse specifico sulle nuove varietà fu ancora dimostrato nel 1974 quando la Rivista (direttore E.C. Branzanti) pubblicò la prima lista delle cultivar consigliate in frutticoltura (n. 1, 1975) ad opera dell’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma, cui ne seguì una seconda nel 1985. Quasi contemporaneamente, le monografie varietali si arricchirono di un’ampia serie di schede pomologiche descrittive delle principali varietà dei fruttiferi pubblicate dall’Università di Bologna (ICA) insieme alla Regione Emilia-Romagna (Lunati e Sansavini, 1981 e Sansavini, 1983). Poi, nel 1990, il Ministero dell’Agricoltura avviò un Progetto Nazionale (proseguito per un ventennio) per la valutazione delle nuove varietà, al fine di proporre “Liste di orientamento varietale dei fruttiferi” e la Rivista ne tenne costantemente informati i Lettori, memori di specifici incontri pubblici annualmente svolti dal Ministero (ISF di Roma, diretto da C. Fideghelli) nelle località più interessate.
3. Un’altra conquista fondamentale della Rivista, coinvolgente il mondo vivaistico e della propagazione, fu quello dello specifico impegno per la formazione professionale e la divulgazione tecnica che diedero un forte impulso alla crescita del vivaismo. Mi riferisco, in particolare, alla introduzione delle tecniche delle colture in vitro e della micropropagazione (vedi scritti di G. Zuccherelli tra il 1974 e il 1979). Questa iniziò con la fragola, cui seguirono i fruttiferi e, in particolare, vari portinnesti (specie delle drupacee). Ne furono evidenziati i vantaggi, le limitazioni e i rischi. Furono promossi i laboratori di micropropagazione, di cui in Emilia-Romagna ne sorsero una ventina.
La conseguenzialità di queste nuove tecniche derivate dalle colture in vitro, in pratica, fu la decisione di procedere, con l’aiuto pubblico, ministeriale e regionale, al risanamento di tutto il materiale di propagazione, a partire dalle piante madri, per rendere varietà e portinnesti virus-esenti. Fu così possibile avviare la certificazione volontaria del sistema vivaistico per tutti i frutticoltori, che contribuì a rivoluzionare la frutticoltura. Si tratta di un sistema di certificazione perfezionato ed apprezzato e proprio per questo fatica ora ad essere accettato (ed esteso) su scala europea dagli organismi competenti. L’Italia si è dovuta rassegnare “al ribasso” imposto dall’Ue.
4. Vorrei poi citare un altro comparto di cui la Rivista di Frutticoltura ha fatto bandiera: il ruolo e i risultati del miglioramento genetico pubblico e privato, che hanno promosso e guidato il ricambio varietale della nostra piattaforma nazionale ed hanno spesso messo l’Italia innanzi agli altri Paesi europei nella diffusione delle novità pomologiche, soprattutto di quelle in esclusiva. Questo fattore ha accresciuto la competitività dell’Italia nello scenario internazionale, anche inducendo modelli di qualità dei frutti e modifica dei gusti nei consumatori (si vedano ad esempio le nettarine “sub-acide” fra le pesche, le mele Pink Lady, i kiwi gialli, ecc.).
Nel frattempo, le metodologie del “breeding” sono state fortemente implementate e migliorate dalle nuove biotecnologie molecolari (vedi introduzione della MAS, cioè della selezione con marcatori molecolari) e la Rivista, a partire dagli anni ’80-’90, ha dato conto ogni volta dell’apporto di innovazioni, dei benefici apportati dalle applicazioni conseguenti alla ricerca, fino a dare rilievo allo straordinario risultato conseguito a fine anni ’90-inizio 2000 dalla ricerca italiana: la trasformazione genetica del melo, prima nel mondo, realizzata col gene Vf per la resistenza alla ticchiolatura. Fu questo il primo passo verso la tecnica poi denominata cisgenesi, divenuta oggi di grande attualità nello sviluppo delle nuove tecniche “sicure” del “breeding” biotecnologico.
5. Per finire, rimane un campo di attualità, le cui competenze sono state mobilitate per la preparazione di questo speciale “80 anni”. Mi riferisco ad alcune parole chiave: sostenibilità che, secondo gli indirizzi europei e governativi, dovrebbe sottendere le modalità di coltivazione e produzione (nonché le ricerche e sperimentazioni a monte), e frutticoltura di precisione, i cui principi sono oggi fatti propri, in pratica, dalla dilagante digitalizzazione di tante operazioni e programmi, a cominciare dall’agricoltura estensiva, conservativa, nell’uso della meccanizzazione e dei trattamenti. Ma va entrando anche nelle tecnologie per la frutti-viticoltura mediante opzioni atte a controllare i fabbisogni idrici, lo stato sanitario dei singoli alberi, l’apporto senza sprechi dei fertilizzanti.
La Rivista deve necessariamente, anche in questa circostanza storica, mantenere un equilibrio, facendo conoscere ai Lettori quali scelte (alcune futuribili e magari utopistiche) potranno essere trasportate nella realtà, per essere anzitutto convincenti e convenientemente applicate.
Per concludere, la Rivista è certamente orgogliosa di questo suo passato e dell’avvincente presente, nonostante le molte sovrastanti incertezze, e chi la guiderà, nel prossimo futuro, dovrà avere anzitutto l’ambizione di preservarle la posizione e la qualifica raggiunte nel grande panel dell’informazione, per poter restare il principale magazine di riferimento in Europa, al top fra le riviste per la frutticoltura dei Paesi più avanzati.