Scrivo queste righe partendo da alcune foto raccolte in un archivio personale (distruzione di mele alla fine della campagna 1967-68 grazie ad un intervento AIMA con fondi dell’allora Mercato Comune Europeo). Dunque, di situazioni critiche ne ho già viste allora e ne ho viste anche altre nei decenni seguenti. Ma proprio perché ho ben presente la guerra di trincea fatta, da allora, dal mondo ortofrutticolo italiano, che mi sento titolato per affermare che ora ci sono le condizioni per invertire la rotta e che si vede la luce alla fine del tunnel. Le mie ragioni nascono da valutazioni macro-economiche, dalla conoscenza del settore a tre livelli (consumatori, distribuzione, produzione), dalla conoscenza delle tecniche di marketing e pubblicità, fino al ruolo delle fiere ortofrutticole.
La crisi epocale dell’economia non è ancora superata del tutto, ma dopo 7 anni anche la Bibbia testimonia la fine di certi cicli. La vendita di autovetture sta già aumentando in tutt’Europa ed il resto seguirà.
La crisi dell’ortofrutta fresca dipende soprattutto dal calo dei consumi indotto da stili di vita deleteri (si pensi solo all’obesità dilagante nei Paesi ricchi). La percezione generale è quella di aver raggiunto il punto più basso e che d’ora in poi, nei Paesi occidentali, o per minore offerta o per la comprensione delle problematiche salutistiche, inizierà un periodo di nutrizione più sana con più enfasi sul fresco. A questo si assoceranno i consumi nuovi delle popolazioni ancora affamate, il tutto a favore dell’ortofrutta fresca.
La percezione a favore di una maggiore attenzione e a maggiori consumi di ortofrutta la si intuisce dalle preoccupazioni espresse dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che da pochi giorni ha suonato l’allarme contro l’eccessivo consumo di zuccheri, dai favori presso i consumatori ottenuti recentemente da prodotti di qualità (il biologico, la produzione integrata, le varietà club), dall’incremento costante della dieta mediterranea, vegetariana e vegana, dalla ricerca spasmodica di prodotti di quarta e quinta gamma che segnalano il desiderio della gente di mangiare sano e di mangiare senza doversi scomodare per preparare il pasto.
La percezione di una maggiore attenzione da parte della distribuzione viene con forza segnalata dall’introduzione recente, presso punti di vendita innovativi, di ortofrutta nelle vicinanze delle case, la disponibilità ad aumentare la vendita assistita e l’offerta di assaggi, l’intercettazione della domanda di prodotti preparati (IV e V gamma), la maggior cura dei punti vendita di ortofrutta (posizionamento, freschezza, informazione) e la maggior segmentazione dell’offerta declinata in “primo prezzo”, “standard” ed “eccellenza”.
Infine, la percezione della produzione non può e non deve più peggiorare e per questo ci sono segnali di una maggiore attenzione agli aspetti del macro-marketing che fino a questo punto erano stati molto trascurati soprattutto a livello di associazioni. Chi deve finanziare la ricerca (sui prodotti, ma anche sui mercati) se non il produttore? Il miglior prezzo realizzato a livello di dettaglio ricade automaticamente sul produttore (sia d’esempio la mela Pink Lady che porta nelle tasche del produttore avveduto più di altre mele). Ebbene, sotto questa luce le associazioni, anche grazie a una destinazione più mirata dei sussidi per la promozione assicurati da PAC e OCM, stanno cambiando passo.
Tecniche sempre più raffinate al servizio di tutta la filiera
Le macchine selezionatrici permettono di suddividere una massa indistinta di materia prima in lotti omogenei, non solo per calibro, ma anche per colorazione, contenuto zuccherino e grado di maturazione. Questo permette una maggiore segmentazione del mercato e ricavi più alti per il “top di gamma”. Una parte del lotto viene separata dalla massa e diventa il gioiello da offrire alla parte ricca del mercato nazionale ed internazionale. Gli imballaggi sono sempre più al servizio della distribuzione, basti pensare ai cestelli di plastica da 125 o 250 grammi per i piccoli frutti.
Il marketing ha bisogno di due cose soprattutto: volumi importanti accompagnati da “brand” presenti per lunghi periodi dell’anno e finanziamenti cospicui. Le risposte stanno arrivando perché ormai anche kiwi, arance, pere, radicchi, noci e tante altre frutta, oltre alle tradizionali mele, si sono organizzate a questo scopo e gli specialisti della commercializzazione utilizzano sempre di più il 4,7% di sussidi dell’Ue alle OP per lo scopo originale, cioè la comunicazione promozionale e pubblicitaria o l’affermazione di un “brand”. Purtroppo manca ancora la consapevolezza che per esportare c’è bisogno di conoscere a fondo i mercati e i loro recenti sviluppi, ma sotto questo aspetto manca l’apporto di un ente centrale o di enti zonali che facciano bene questo lavoro.
I trasporti lontani
In questo quadro, forse, la produzione è la più lenta a muoversi. L’innovazione varietale viene guidata poco dalla ricerca di mercato e i ricavi deludenti arrivati nelle tasche dei frutticoltori nel recente passato fanno temere addirittura un calo dell’attenzione alla qualità. E’ pertanto necessario riuscire a tornare a ricavi remunerativi facendo studi e piani programmatici basati sulla conoscenza della domanda.
Se la GDO italiana deve spesso rivolgersi a fornitori spagnoli per avere quel che oggi serve a una moderna distribuzione vuol dire che la domanda c’è, ma manca l’offerta adeguata. Questo non può che essere uno sprone per mettere in atto ogni innovazione possibile per tornare a realizzare prezzi remunerativi che da soli possono trainare tutto il settore verso mete migliori.
Purtroppo la concorrenza di altri Paesi produttori è tanta; essi sfruttano la rivoluzione tecnologica degli imballaggi e dei trasporti in container che permettono lunghi viaggi in buone condizioni. La stessa tecnica serve però anche all’export oltremare dei prodotti italiani, ma tanta strada è ancora da fare per poter inviare grandi quantitativi di frutta fresca a mercati importanti come gli USA (due settimane di viaggio) o la Cina (4 settimane).
La comunicazione
Il settore deve chiedersi due cose basilari: perché i consumi di prodotti ortofrutticoli sono in calo da una quindicina di anni e perché l’agroalimentare italiano va sostanzialmente bene e ha sui mercati internazionali un’immagine ottima mentre l’ortofrutta non aggancia queste tendenze? Alla prima domanda ha risposto in modo esauriente Roberto della Casa quando all’inizio di questo mese ha presentato la sua ricerca “Monitor2014” al convegno di Mark Up di Milano. La seconda concerne la comunicazione che certamente l’Italia non fa mai bene (basta osservare il turismo). Ma proprio in questo contesto nel 2015 si presenta un’occasione nuova: sono in programma ben tre fiere ortofrutticole specialistiche internazionali e tutte stanno già programmando il doppio di pubblicità al settore di quanto non si facesse in passato. Piuttosto che un’occasione mancata (per non concentrare in un'unica fiera tutto lo scibile italiano) la situazione vuol vista sotto il profilo della comunicazione e della promozione. Se non fossero convinti tutti non si investirebbero ingenti somme per promuovere le fiere e per organizzarle. L’Italia fa da sempre fatica a far sistema ed anche in questo caso dovrà fare di difetto virtù.
Ma la produzione ortofrutticola italiana ha oggi anche meno status per competere a livello internazionale. Nel “ranking” mondiale degli esportatori ortofrutticoli il nostro Paese è precipitato dal 3° al 10° posto nel giro di 15 anni, sorpassato non solo da Olanda, USA, Spagna, Turchia nell’ordine, ma anche da Francia, Cina, Cile, ecc. Quel che invece è ai primi posti di livello mondiale è il “sistema Italia” se comprendiamo anche la meccanizzazione, la conservazione, il packaging e tanti altri servizi. Lo conferma il fatto che alla maggior fiera ortofrutticola mondiale, il Fruit Logistica di Berlino, l’Italia è il Paese più rappresentato. Nessun altro vanta tanti espositori come l’Italia, neanche la Germania che ospita l’evento e neanche la Spagna che in Europa domina fra i produttori ortofrutticoli.
Ma se i fabbricanti di macchine o di imballaggi vanno in Germania, che cosa abbiamo noi di speciale per attirare a una fiera i “buyer” internazionali di ortofrutta? A mio avviso l’Italia può vantare le vere eccellenze e le vere innovazioni di ortaggi e di frutta fresca, le eccellenze nelle preparazioni culinarie, ma anche un marketing basato e sostenuto dai vantaggi della cucina mediterranea
Le fiere ortofrutticole internazionali
E’ per questo che, senza togliere meriti alle altre due fiere già in programma per il 2015, reputo vincente la formula della veronese Fruit Gourmet Expo. A Verona non si vedranno solo prodotti freschi e macchinari, ma si potrà vivere un mondo più vicino al “retail” e al consumatore. Sarà più facile orientare i propri prodotti al mercato. Ortaggi ed ortofrutta saranno protagonisti e dialogheranno non solo con chi deve produrre e distribuire all’ingrosso, ma anche con chi porta i prodotti alle mense o ai ristoranti o sugli scaffali del fruttivendolo o della GDO.
Nei convegni si parlerà di come rinnovare il linguaggio e l’immagine di frutta e verdura o di quanta frutta passa per mense e ristoranti. Si discuterà delle origini del gusto, del giusto punto di maturazione e di come la cucina italiana, con l’aiuto di bravi chef, potrà interpretare i trend verso un’alimentazione più sana. Per quanto riguarda le tecniche di vendita si esamineranno, per esempio, la dinamiche della formazione dei prezzi e l’importanza del “packaging”. Saranno messi sotto la lente di ingrandimento i nuovi canali emergenti come il commercio elettronico, le “vending machines” ed il biologico.
Conclusioni
Il compito di tutto il settore è quello di riportare i ricavi dei produttori a livelli interessanti. Questo risultato potrà essere raggiunto elevando una quota importante dell’offerta italiana oltre il livello di massa nella quale oggi è sprofondata. Riqualificare la qualità e trovare chi la sa apprezzare, e dunque remunerare, dovrà costituire lo sforzo prioritario sia dei produttori che dei commerciali. Non c’è ragione perché l’ortofrutta italiana non possa agganciarsi all’ottima immagine che in tutto il mondo ha l’agroalimentare del nostro Paese, ma occorrono studi e sistema. Molto potrà essere fatto con il miglioramento delle tecniche colturali e commerciali, ma nulla cambierà la situazione depressa attuale se non si riuscirà a convincere cuochi, cuoche, chef stellati, media e quindi tutti i consumatori a dare importanza al gusto e al piacere del mangiare bene a tavola con ortaggi, legumi, frutta fresca e frutta secca. A Verona questo passo avanti sarà possibile. Ne sono convinto!