Gelso da frutto, nuova opportunità di diversificazione colturale

gelso
Gelso da frutto.
Una maggiore valorizzazione del gelso da frutto secondo i criteri della moderna arboricoltura potrebbe costituire un’interessante opzione per contribuire allo sviluppo integrato del comparto, enfatizzando, oltre agli aspetti nutraceutici e tecnologici, le valenze storico-culturali del legame con il territorio. Un altro “superfruit”?

La necessità di diversificare le produzioni frutticole nell’areale Cuneese e Saluzzese, anche in conseguenza della crisi di mercato di alcune produzioni tradizionali e della diffusione della Psa dell’actinidia, ha fatto sì che una recente, fervente attività di ricerca e sperimentazione da parte di enti pubblici e aziende private stia portando oggi i primi risultati tangibili. È il caso della coltivazione del gelso da frutto, che viene rivisitata secondo i criteri della moderna arboricoltura razionale in un impianto pilota sito nell’azienda Mellano di Lagnasco (Cn). Il gelso si rivela oggi suscettibile di valorizzazione colturale per i suoi tratti agronomici di rusticità e resilienza e per le potenzialità commerciali dei suoi frutti in ambito nutraceutico.
Utilizzare la biodiversità esistente
Fino alla metà del 1900 la pianura e i fondovalle piemontesi erano caratterizzati dalla diffusa presenza del gelso: in alcune zone si trovavano gelsi coltivati a filari maritati alle viti, oppure, dove le piantagioni erano più estese, gli alberi crescevano isolati in appezzamenti destinati a seminativo o a prato. A testimonianza di quel particolare sistema agrario e della sua grande biodiversità, oggi permangono brevi e sporadici filari di questa specie, oggetto di tutela sia per il valore storico-paesaggistico, sia per le potenzialità di valorizzazione in chiave moderna.
Su alcune di queste permanenze storiche censite nelle campagne del basso Piemonte, l’Università di Torino ha condotto studi che hanno permesso di descrivere aspetti agronomici e morfologici del germoplasma e di mettere in luce le potenzialità nutraceutiche dei frutti, un tempo utilizzati per preparazioni culinarie o medicinali.
Specie rustica e resiliente
Il gelso (Morus spp., Famiglia Moraceae), nel corso di migliaia di anni si è adattato a una vasta area di zone dell’emisfero settentrionale ed è in grado di crescere in un’ampia gamma di condizioni pedoclimatiche. Sono state classificate 24 specie di Morus, tra le quali quelle più comunemente diffuse sono il gelso bianco (Morus alba L.), il gelso nero (Morus nigra L.) e il gelso rosso (Morus rubra L.) (Calin-Sanchez, Martinez-Nicolas et al. 2013). Sono inoltre conosciute oltre 100 cultivar: per la produzione di more sono state selezionate alcune varietà di M. nigra, di M. multicaulis e di M. rubra. Anche fra i M. alba alcune cultivar risultano interessanti per i frutti di colore nero (var. pendula Dippel, var. aureifolia Gamette Hative, var. italica Spach, var. moretti Seringe, var. romana Loddige) o di colore bianco (var. pendula Tut Badena, var. aureifolia Tsen).
In particolare, il gelso nero è un albero deciduo che cresce fino ad una altezza di 10-13 m ed ha un habitus variabile, incluso quello piangente. Le foglie, che presentano una spiccata eterofillia, sono lunghe da 10 a 20 cm. Le piante possono essere ottenute da seme (per ottenere portinnesti), ma sono propagate sempre maggiormente per talea legnosa.
I frutti (more di gelso, sorosi) sono di buona pezzatura (~ 3 g), generalmente di forma cilindrica (fino a 1-2 cm di larghezza e 3-4 cm di lunghezza circa) ed il colore varia, a seconda di specie e cultivar, dal bianco al porpora, fino al nero. La polpa è deliquescente e di sapore dolce, con ridotta acidità. Il contenuto in solidi solubili è generalmente elevato (> 18°Brix), mentre l’acidità titolabile varia tra i 25 e i 30 meq/L. Inoltre, le more di gelso possiedono elevati livelli di composti biologicamente attivi (soprattutto flavonoidi e antociani) ad attività antiossidante, peculiarità che ha recentemente suscitato l’attenzione del consumatore e di diverse aziende che hanno lanciato linee commerciali di prodotti lavorati e trasformati, enfatizzandone il valore di “superfruit”. Le more sono attualmente commercializzate sia come prodotto fresco, su filiere molto corte, vista la scarsa vita post-raccolta, sia come semilavorato (farine, frutti essiccati) o trasformato.
I fattori di cui sopra hanno fatto sì che ci sia un crescente interesse per la coltivazione del gelso da frutto, anche in considerazione che attualmente l’Italia importa gran parte del prodotto utilizzato (Donno, Cerutti et al. 2015).
Dal punto di vista agronomico il gelso necessita di una buona esposizione e si adatta sia a suoli calcarei, poveri di nutrienti, sia a suoli subacidi. La diffusione della coltura, passata ed attuale, è anche dovuta alla sua rusticità e alla facilità di gestione: una volta raggiunto un buon sviluppo vegetativo della pianta, le pratiche agronomiche sono minime e consistono, soprattutto, in una buona potatura di mantenimento.
La germinabilità dei semi, ai fini della produzione di portinnesti, si mantiene per circa un mese se le more sono raccolte a maturazione. Così come per altri fruttiferi, fra le tecniche di moltiplicazione, l’innesto, praticato alla ripresa vegetativa, consente di ridurre il periodo improduttivo (Reali 1990). Le numerose cultivar oggi disponibili permettono di valorizzare il gelso come risorsa multifunzionale: alcune sono state selezionate per assicurare buone produzioni di foglia, altre per le ottimali caratteristiche quali-quantitative dei frutti, altre ancora per la produzione di biomassa o per il valore ornamentale.
Per le produzioni fruttifere sono state sperimentate numerose tecniche gestionali degli impianti ed il loro successo è strettamente legato alle condizioni pedoclimatiche del sito di impianto. Il gelseto da frutto specializzato può essere costituito con piante allevate ad alto fusto o a basso fusto o cespuglio, fino ad arrivare a forme di allevamento in volume mutuate dalla frutticoltura intensiva (Fig. 1). L’allevamento ad alto fusto prevede l’impiego di piante impalcate a 1,4-1,7 m, disposte in filari distanti fra loro 4-5 m ed è più che altro utilizzato nell’arboricoltura amatoriale o ornamentale. L’allevamento a basso fusto prevede un sesto molto fitto, un’impalcatura a 50-70 cm dal suolo, potatura d’allevamento a piramide e potatura di mantenimento che concili tagli di diradamento e curvature dei rami per mitigarne l’elevata vigoria vegetativa.
Le più dannose avversità abiotiche della coltura sono le gelate tardive e la grandine, mentre quelle biotiche sono poche (Pseudalacapsis (Diaspis) pentagona Targ., Hyphantria cunea Drury, Sphaerella mori Fuck., funghi dei generi Rossellinia e Armillaria, anche se i danni possono essere talvolta rilevanti, fino ad arrivare a causare la morte dell’intera pianta (Bounous 2011).
Qualità dei frutti piemontesi
In considerazione del fatto che l’interesse verso questo frutto deriva in primis dal suo valore nutrizionale, presso l’Università di Torino è stato condotto uno studio per descrivere le caratteristiche qualitative e nutraceutiche dei frutti prodotti (produzione annuale di circa 7 t/ha) negli impianti intensivi dell’Az. Agr. Mellano di Lagnasco, determinandone il contenuto in composti biologicamente attivi, il fitocomplesso e l’attività antiossidante.
I frutti sono stati raccolti attraverso un sistema di reti analogo a quello utilizzato per altre colture frutticole (Fig. 2). Questa tecnica permette di ridurre le criticità legate ai lunghi tempi di raccolta manuale dovuti alla ridotta pezzatura dei frutti, alla scalarità di maturazione e alla fitta vegetazione che si sviluppa in concomitanza con il periodo di raccolta. Quest’ultima dura 30 giorni e in questo periodo si è soliti raccogliere per 2-3 giorni a settimana, tutto il giorno.
Il contenuto in solidi solubili totali (TSS) ha mostrato un valore medio di 18,7±0,84°Brix, mentre l’acidità titolabile (AT) varia da 27,9 a 30,6 meq/l, con un pH medio di 5,8±0,11. Le analisi di carattere nutraceutico hanno evidenziato valori interessanti di polifenoli totali (TPC), compresi tra 232,5 e 243,3 mgGAE/100 gPF (PF = prodotto fresco). I sorosi hanno mostrato un valore medio di attività antiossidante pari a 22,1±0,55 mmolFe2+/kg. Il contenuto in antociani totali (TAC) variava da 74,3 a 91,0 mgC3G/100 gPF. Le more di M. nigra possono essere paragonate, dal punto di vista nutrizionale e nutraceutico, a frutti quali mirtillo gigante americano e mora di rovo. Il quantitativo di vitamina C riscontrato è invece basso, simile a quello delle mele Golden Delicious (2,97±0,23 mg/100FW).
Sono stati identificati 20 composti bioattivi di cui quattro acidi cinnamici (acido caffeico, acido clorogenico, acido cumarico e acido ferulico), tre flavonoli (iperoside, quercetina e rutina), due acidi benzoici (acido ellagico e acido gallico), due catechine (catechina e epicatechina), tre monoterpeni (limonene, sabinene e terpinolene), cinque acidi organici (acido citrico, acido malico, acido ossalico, acido quinico e acido tartarico) e vitamina C (espressa come somma di acido ascorbico e acido deidroascorbico) (Fig. 3). L’elevato contenuto in composti polifenolici e la relativa attività antiossidante del gelso nero sottolineano le qualità nutraceutiche dei suoi frutti: M. nigra può essere considerato una materia prima molto interessante per applicazioni alimentari (“functional food”, integratori alimentari, succhi e bevande).
Bibliografia

Gelso da frutto, nuova opportunità di diversificazione colturale - Ultima modifica: 2016-06-06T12:41:16+02:00 da Lucia Berti

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