Nocicoltura: linee guida per la ripresa della coltivazione specializzata

Nocicoltura: linee guida per la ripresa della coltivazione specializzata

Il noce da frutto (Juglans regia L.) rappresenta una delle principali colture da frutta secca nel mondo, collocandosi al terzo posto per produzione dopo l’arachide (Arachis hypogaea L.) e l’anacardio (Anacardium occidentale L.). La produzione mondiale di noci in guscio è di circa 2.950.000 t, mentre le superfici investite, attualmente 995.000 ha, negli ultimi 5 anni si sono incrementate del 23,3% (medie 2008-2012; fonte FAO 2014).

La domanda di noci sul mercato europeo e nazionale è in forte crescita grazie alla valorizzazione degli aspetti nutraceutici del prodotto che è ricco di sostanze antiossidanti e di acidi grassi polinsaturi, in particolare acido linoleico (omega 6) e linolenico (omega 3), noti per l’effetto positivo sul funzionamento dell’apparato cardio-circolatorio (Banel e Hu, 2009). In Italia l’aumento dei consumi è stato pari al 58,3% nel periodo 2000-2010 raggiungendo le 40.000 t/anno (fonte Istat 2014).

I principali Paesi produttori sono Cina, Iran e Stati Uniti d’America (Tab. 1); i Paesi produttori di noci che superano le 10.000 t/anno sono 25, dieci in più rispetto al 1990. Gli Stati Uniti sono il primo Paese esportatore di noci a livello mondiale con circa 160.000 t/anno (58% di prodotto in guscio e 42% di sgusciato), pari al 75% del volume mondiale, utilizzato principalmente dal mercato europeo (media export 2007-2011, dati FAO 2014). Altri esportatori sono Messico, Ucraina, Francia e Cile, i cui prodotti sono importati per il 45% del totale da Cina, Italia, Turchia, Spagna e Germania (Contessa e Botta, 2014). In particolare, il quantitativo medio di prodotto importato dall’Italia è di 26.500 t/anno tra noci in guscio e sgusciate. Le noci provengono prevalentemente da Francia (26%) e Stati Uniti (65%) e per la restante parte da Cile, Argentina e Australia (fonte USDA). Il costo per l’industria nazionale è stimabile in 114 milioni di dollari/anno (con incremento del 53% dal 2007 al 2011).

Modernizzata la coltivazione in California e Francia

La coltura del noce negli Stati Uniti, con una superficie investita di circa 99.000 ha, è localizzata prevalentemente in California, in modo particolare nelle San Joaquin e Sacramento Valley, e rappresenta un modello di riferimento per la nocicoltura moderna.

Fin dagli anni ‘50 i ricercatori americani si sono impegnati nel miglioramento genetico per ottenere varietà più produttive con una buona qualità dei frutti. Tra il 1968 ed il 1978 sono state rilasciate 13 nuove cultivar, alcune delle quali sono attualmente tra le più utilizzate negli impianti. L’attività di miglioramento genetico per l’ottenimento di nuove varietà e portinnesti è ancora in corso (Leslie e Mc Granahan, 2014); nel 2006 sono state rilasciate tre nuove varietà: Sexton, Gillet e Forde.

Attualmente in California sei cultivar coprono l’85% del panorama varietale: Chandler, Hartley, Howard, Tulare, Serr e Vina. Hartley rappresenta la varietà tradizionale (fu selezionata nel 1909) alla quale si fa ancora riferimento come standard qualitativo, poiché possiede un gheriglio di colore molto chiaro (commercialmente detto ‘extra-light’) e di ottimo sapore. Chandler, Howard e Tulare sono state costituite presso l’Università della California (Davis) ed introdotte più recentemente in coltura; sono migliorative rispetto ad Hartley per la maggior produttività (grazie alla presenza di fruttificazione di tipo laterale), la precoce entrata in produzione e per la minor taglia della pianta, che consente di aumentare la densità di impianto. Le noci sono di buona qualità, idonee sia al consumo fresco che alla produzione di seme sgusciato; presentano grossa pezzatura (80-90% di calibro superiore a 32 mm), elevata resa dello sgusciato (superiore al 50%), colore del gheriglio categoria ‘extra light’ o ‘light’. Chandler è attualmente la più impiegata nei nuovi impianti.

In Europa, il Paese di riferimento è la Francia con 32.700 t/anno di produzione, la maggior parte della quale (26.400 t di prodotto) viene esportata in guscio (media 2007-2011, dati FAO 2014). La nocicoltura francese è localizzata in due zone principali le cui produzioni sono valorizzate come prodotti DOP (Appellation d’Origine Contrôlée, A.O.C.), ‘Noix du Pèrigord’ (Sud-Ovest) e ‘Noix de Grenoble’ (Sud-Est). Sebbene quella del noce possa essere considerata ancora una coltura tradizionale, la nocicoltura francese si è costantemente rinnovata ed attualmente utilizza tecniche colturali d’avanguardia e fornisce produzioni di elevata qualità. In Francia la cultivar principale è Franquette, che interessa circa l’80% degli impianti, in particolare nella zona di Grenoble. Nel Sud-Ovest (Perigord) si sono maggiormente diffuse varietà a fruttificazione laterale tra cui Lara, varietà interessante soprattutto per la precoce epoca di maturazione (Germain et al., 1999). Più recentemente si sta diffondendo anche Fernor, varietà costituita presso gli istituti di ricerca francesi (Inra-Ctifl) e caratterizzata da fruttificazione laterale e bassa sensibilità alla batteriosi.

 Nuove aree di coltivazione

La nocicoltura è in forte crescita nell’emisfero australe poiché il prodotto ottenuto viene importato principalmente dall’Europa per essere presentato come prodotto fresco nel periodo estivo. Le nuove aree di coltura utilizzano le varietà a fruttificazione laterale, costituendo impianti ad alta densità ed impiegando le più moderne tecniche di coltivazione (irrigazione, fertirrigazione, potatura meccanica).

Cile ed Argentina sono i principali produttori di noci del Sud America. Le superfici investite sono di 14.400 ha in Cile e circa 18.000 in Argentina. La coltivazione si è sviluppata a partire dall’inizio degli anni ‘80 quando si sono cominciate ad utilizzare le tecniche d’innesto. Le varietà più utilizzate in Cile sono Serr e Chandler, con una piccola quantità di Howard e Vina. In Argentina invece la cultivar prevalente è Chandler (Lemus, 2010).

In Australia la coltura è estesa su circa 2.200 ha localizzati in New South Wales (Sud-Est del Paese) e Tasmania. Gli operatori australiani prevedono entro il 2020 di triplicare l’estensione degli impianti. Le varietà coltivate, selezionate dopo anni di prove sperimentali per valutarne l’adattabilità ai climi australiani, sono Chandler, Howard, Serr, Vina, Lara, Ashley e Tulare (www.websterltd.com.au/walnuts) .

La situazione italiana

In Italia la produzione di noci è passata da 85.000 t (1971) alle attuali 11.900 t/anno (18° Paese produttore a livello mondiale) su una superficie di 4.400 ha (dati FAO, 2014). Il declino della coltura è avvenuto a causa della mancanza di specializzazione degli impianti (un tempo utilizzati per la duplice destinazione noce-legno), all’eterogeneità varietale, all’utilizzo di tecniche obsolete di coltivazione ed alla mancanza di programmi di miglioramento genetico in grado di selezionare piante adatte alle condizioni climatiche italiane.

Attualmente la produzione italiana è concentrata principalmente in Campania (70%) ma proviene in minima parte da coltura specializzata. Il prodotto campano è costituito da una gamma di biotipi commercialmente noti come ‘noce di Sorrento’, che comprende ecotipi con caratteri non sempre di pregio (pezzatura piccola, forma da corta ad allungata, non perfetta chiusura delle valve) che faticano a reggere la concorrenza del prodotto proveniente da California e Francia (Piccirillo et al., 2013). Nell’ambito della tipologia ‘noce di Sorrento’ viene compresa anche la cv Malizia, biotipo selezionato simile alla cv Sorrento, ma con migliore pezzatura, che rappresenta circa il 10% della produzione (Piccirillo et al., 2008). Altre piccole realtà tradizionali esistono in Trentino, Veneto e Abruzzo, dove si coltivano ecotipi locali (rispettivamente Bleggiana, Feltrina e Sulmona).

In Veneto e Romagna si sono recentemente sviluppate interessanti realtà produttive. E’ stata infatti intrapresa la strada della coltura intensiva del noce da frutto attivando progetti di filiera che mirano ad ottenere un’elevata specializzazione nella produzione attraverso pratiche di coltivazione meccanizzate e l’utilizzo di varietà di origine francese (Lara) e californiane (Chandler, Howard). In Veneto si stima un’estensione di circa 800 ha (Missere, 2014), mentre in Romagna, in seguito all’attuazione del progetto di filiera ‘Noce di Romagna’, sono attualmente in produzione circa 100 ha di noceto, ma è previsto un ulteriore incremento delle superfici (Dazzan, 2013).

Come si è visto, le realtà descritte non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno nazionale di noci, stimato in circa 40.000 t/anno, pertanto esistono ottime prospettive per l’espansione della coltura in Italia. I principali fattori da considerare per i nuovi impianti sono la vocazionalità ambientale e la scelta della cultivar e del portinnesto. Le condizioni climatiche sono un parametro fondamentale da valutare, in particolare per la necessità di evitare le gelate primaverili durante il germogliamento e la fioritura, aspetto di cui tenere conto nella scelta della cultivar. Anche la qualità del materiale vivaistico riveste un’importanza notevole per ottenere una rapida entrata in produzione e rientrare in tempi più brevi del capitale investito all’impianto.

 Scelta varietale

Per una nocicoltura moderna è preferibile ricorrere a cultivar con fruttificazione laterale, dotate di maggiore produttività e precoce entrata in produzione. Le varietà autoctone, tra cui la Sorrento, possono essere valorizzate come prodotto tradizionale e tipico del territorio, applicando tecniche di coltivazione e difesa che consentano di ottenere buone produzioni ed elevata qualità.

La nocicoltura sviluppatasi in Veneto e Romagna dimostra che le varietà californiane e francesi possono essere utilizzate con successo anche in alcune località italiane. Tra le cultivar californiane possono essere consigliate Chandler, Howard e Tulare, che producono noci di elevata qualità, rispondenti alle attuali richieste di mercato, le cui principali caratteristiche sono riassunte in tabella 2. Esse sono inoltre disponibili presso i vivai italiani. Tuttavia, tali varietà presentano epoca di germogliamento precoce (inizio aprile) e sono quindi da utilizzare con attenzione in regioni a clima più freddo, dove potrebbero essere colpite da gelate primaverili e dimostrare maggior sensibilità alla batteriosi. Per le regioni più fredde sono quindi indicate le varietà francesi, tra cui Franquette, Lara e Fernor (Tab. 2), caratterizzate da germogliamento più tardivo e fioritura nel mese di maggio; Franquette, inoltre, può essere utilizzata come impollinatore per le cv californiane. Per orientare la scelta varietale in regioni a clima più rigido con rischio di gelate primaverili sono attualmente in corso prove di valutazione varietale sia in Piemonte, da parte del DISAFA Università di Torino (Valentini et al., 2012), sia in Valle d’Aosta (www.iaraosta.it).

Riguardo all’ottenimento di nuove varietà selezionate per gli ambienti italiani, in Campania, presso il CRA di Caserta, è in fase di valutazione una progenie ottenuta negli anni ’90 dall’incrocio Sorrento x Hartley (Petriccione et al., 2011). Presso il DISAFA è in corso la sperimentazione avanzata di alcune selezioni ottenute per incrocio negli anni ’80, utilizzando Hartley e ChaseD9 come parentali femminili, Pedro e Vina come parentali maschili (Valentini et al., 2012).

 Scelta del portinnesto e propagazione

Le piante di noce sono generalmente ottenute per innesto al fine di aumentare l’adattabilità ai suoli e la resistenza ad alcune malattie radicali, regolare la vigoria e migliorare le prestazioni produttive. In Europa, Juglans regia è utilizzato come portinnesto nella maggioranza degli impianti. Il noce europeo è un portinnesto che si adatta a molte situazioni, tuttavia è sensibile all’asfissia radicale e ai marciumi radicali (Phytophthora spp., Armillaria mellea), pertanto la scelta dei terreni e le sistemazioni del suolo devono essere accurate per minimizzare i rischi. In Italia, per mancanza di portinnesti clonali, i vivaisti utilizzano semenzali provenienti da piante madri selezionate oppure prodotte da semi raccolti nei popolamenti boschivi certificati in base al Dlgs. 386/2003 (Missere, 2014), ma il materiale che se ottiene, seppur dotato di buone caratteristiche di rusticità, è piuttosto disomogeneo con conseguenti effetti sul comportamento delle piante innestate.

Negli USA si sono diffusi un gruppo di portinnesti, chiamati Paradox, caratterizzati da buona vigoria vegetativa e da maggior produttività rispetto al noce europeo. Si tratta di ibridi ottenuti dall’incrocio tra specie di noce nero americano (Juglans nigra, J. hindsii e J. microcarpa) e noce europeo, alcuni dei quali, particolarmente interessanti per la tolleranza a nematodi (VX211), a Phytophthora citricola e P. cinnamomi (RX1) e a cancro batterico (Vlach), sono stati utilizzati per ottenere cloni attualmente disponibili presso vivai americani ed europei. I portinnesti Paradox hanno trovato scarso utilizzo in Europa e, a causa della crescente diffusione a partire dagli anni 1970 del CRLV (“Cherry Leaf Roll Virus”) agente del “blackline disease”, anche in Nord America si sta riconsiderando l’uso del noce europeo, unica specie di Juglans tollerante al CLRV. Per questo motivo, negli Stati Uniti si sta diffondendo la coltivazione di piante di noce autoradicate. Le sperimentazioni eseguite in USA ed in Europa sulle principali cultivar (Chandler, Franquette) non hanno fornito risultati conclusivi, ma indicano che tali piante, almeno nei primi anni, sono meno produttive rispetto alle piante innestate (Grant e McGranahan, 2005; Rovira e Aletà, 2010).

In Italia, tra le attività in corso per l’ottenimento di portinnesti del noce da frutto, è da segnalare il progetto Juglone, coordinato dal CNR IBAF Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale e finanziato dal Mipaaf, che ha tra i suoi obiettivi quello di selezionare, brevettare e certificare novità varietali nazionali di ibridi interspecifici di noce (Juglans x intermedia), valide sia per impieghi ornamentali, sia come portinnesto per il noce da frutto (Malvolti et al., 2014).

La propagazione del noce da frutto avviene principalmente utilizzando la tecnica dell’innesto. Tuttavia, poiché il noce presenta una certa difficoltà d’attecchimento, il punto d’innesto viene sottoposto a riscaldamento nel mese successivo all’innesto, pertanto l’attività vivaistica prevede un certo grado di specializzazione e la disponibilità di attrezzature adeguate che determinano un elevato costo delle piante. Anche la micropropagazione, pratica abitualmente utilizzata negli Stati Uniti, si sta diffondendo in Italia e viene utilizzata principalmente per ottenere piante autoradicate.

Tecnica colturale

La moderna nocicoltura prevede un elevato grado di specializzazione con tecniche agronomiche che ricorrono all’utilizzo della meccanizzazione per le operazioni di potatura e raccolta. La gestione del noceto è quindi orientata al mantenimento del suolo mediante inerbimento totale o parziale, per favorire il passaggio delle macchine, e all’utilizzo di tecniche di allevamento per l’ottenimento di piante idonee all’esecuzione della potatura meccanica.

Tra gli aspetti di tecnica colturale più critici sono da evidenziare l’importanza dell’approvvigionamento idrico e della difesa fitosanitaria. La pratica dell’irrigazione è necessaria per mantenere elevati standard produttivi e qualitativi. La corretta somministrazione d’acqua nelle nuove cultivar consente di ottenere una precoce messa a frutto (a partire dal 4-5° anno d’impianto) e di raggiungere elevate produttività (4-5 t/ha), riducendo l’alternanza di produzione. Il costante approvvigionamento d’acqua migliora, inoltre, la qualità dei frutti, in particolare aumenta la pezzatura e la resa alla sgusciatura. La somministrazione d’acqua ha inizio normalmente a metà maggio e viene effettuata ogni 6-7 giorni. Durante il periodo di fabbisogno idrico massimo vengono distribuiti 5 mm/giorno (giugno) e 6 mm/giorno (luglio). L’irrigazione viene effettuata attraverso sistemi di microirrigazione con un consumo totale di acqua per il periodo maggio-settembre di circa 5000 m3.

Per quanto riguarda la difesa fitosanitaria, i principali agenti fitopatogeni del noce sono riportati in tabella 3; batteriosi e mosca del mallo richiedono qualche ulteriore approfondimento, essendo patogeni specifici del noce in grado di esercitare un elevato impatto sui risultati produttivi.

 Batteriosi (Xanthomonas campestris pv juglandis).

E’ la principale malattia batterica del noce, che può provocare fino al 50% di perdita del prodotto in anni particolarmente favorevoli al batterio. La malattia si manifesta in primavera con la presenza di tacche necrotiche su giovani germogli e foglie e può determinare la caduta dei fiori maschili e dei giovani frutticini. I fattori predisponenti la malattia sono legati al clima (elevata piovosità primaverile), al tipo di terreno (eccessivamente sciolti e acidi sono predisponenti), all’eccesso di nutrizione azotata. Non è stata dimostrata l’esistenza di varietà resistenti alla batteriosi, ma le varietà con una ripresa vegetativa più tardiva sono risultate meno sensibili alla malattia (Piccirillo, 2003).

Mosca del mallo (Rhagoletis completa)

E’ un dittero descritto per la prima volta in Nord America nel 1929. Alla fine degli anni 1980 è stato segnalato in Nord Italia e, attualmente, è divenuto uno degli insetti più dannosi per la coltura del noce poiché in assenza di trattamenti si possono raggiungere perdite del 80% della produzione. Compie un’unica generazione l’anno in estate, a partire da fine giugno (picco massimo fine luglio/inizio agosto). Gli adulti emergono dal suolo e, dopo l’accoppiamento, le femmine depongono fino a 300 uova (15 per frutto). Le uova schiudono in 4-7 giorni e le larve si cibano del mallo per 3-5 settimane fino al completo sviluppo. Nel frattempo il mallo comincia a decomporsi assumendo il tipico colorito nerastro. Se l’attacco è precoce la noce è destinata a cadere.

 Conclusioni

La vocazionalità ambientale rimane fondamentale per ottenere buoni risultati dalla coltura, unitamente ad un’oculata scelta varietale e del portinnesto. La buona riuscita degli impianti necessita dell’utilizzo di materiale vegetale di qualità, ovvero di sicura identità varietale, sano e ben sviluppato. La disponibilità nazionale di piante è attualmente limitata ad alcuni vivai specializzati e la reperibilità di portinnesti idonei risulta molto difficoltosa, data anche la crescente richiesta di piante. Una delle priorità della nocicoltura italiana è quindi quella di sviluppare un moderno vivaismo nocicolo, perfezionando le tecniche di propagazione al fine di contenere il prezzo delle piante, che risulta attualmente piuttosto elevato.

Sebbene richieda degli importanti investimenti iniziali, il noce rappresenta una delle poche colture da frutto in grado di fornire redditi interessanti, grazie alla forte domanda di prodotto da parte dell’industria alimentare. Tuttavia, dato l’elevato livello di meccanizzazione necessario nella nocicoltura specializzata, le aziende devono essere di una certa estensione oppure associate in ‘progetti di filiera’ per ottimizzare sia la gestione delle piante in campo, sia la lavorazione del prodotto post-raccolta.

Riguardo alle avversità biotiche, la presenza di nuovi agenti patogeni richiede un costante aggiornamento circa le tecniche di lotta da porre in atto per mantenere la coltivazione a buoni livelli produttivi e soprattutto qualitativi. Infine, sarebbe auspicabile un coordinamento nazionale che, a partire dal piano di settore (A.A.V.V., Mipaaf, 2012), favorisca politiche di ricerca e sviluppo a supporto della realizzazione di filiere in grado di rispondere alla domanda di mercato, valorizzando la vocazionalità dei territori italiani.

 

 

Nocicoltura: linee guida per la ripresa della coltivazione specializzata - Ultima modifica: 2015-05-08T09:52:01+02:00 da Lucia Berti

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