Italia ancora al centro del sistema produttivo delle uve da tavola

uva da tavola
Sempre più ricercato lo studio di imballaggi per garantire freschezza al prodotto in vendita.
Considerazioni sul Simposio Internazionale di Puglia Sicilia. Un settore dove la concorrenza internazionale è forte, ma dove l’Italia sembra ancora eccellere per le nuove varietà non solo apirene, sostenibilità dei disciplinari di coltivazione, innovazioni tecnologiche in campo e post-raccolta, vocazionalità complessiva di un sistema che, però, deve migliorare sul fronte organizzativo.

Il Simposio internazionale sulle uve da tavola svoltosi in Puglia e Sicilia nell’ottobre scorso, di cui questa Rivista ha dato ampio spazio (fascicolo 9, settembre, 2017), ha avuto una larga eco nel mondo degli operatori commerciali e della produzione. Le prime due giornate, tenutesi a Foggia, si sono focalizzate sugli aspetti economici, sulle risorse genetiche, sulle tecniche di protezione della pianta e sulla biologia e fisiologia delle produzioni. Le ultime sessioni hanno riguardato aspetti innovativi delle tecniche colturali, la cui trattazione si è prolungata anche nella sessione tenutasi a Palermo il 6 ottobre. Non sono mancate comunicazioni a proposito delle innovazioni nella difesa sanitaria e della conservazione post-raccolta, incluse novità sul packaging e sulla distribuzione.
Scelta varietale
I gruppi di tecnici e addetti alla ricerca italiani, afferenti sia a Istituzioni pubbliche che a gruppi privati, sono motivati e ben inseriti nel settore della ricerca scientifica, incluso il miglioramento genetico, anche a livello mondiale. A questo proposito, Grape & Grape Group ha recentemente brevettato tre genotipi senza semi, selezionate nell’ambiente pedoclimatico mediterraneo: Apulia, di colore “rosso cardinal”, con epoca di raccolta tardiva; Luisa, a bacca bianca con abbozzo di seme erbaceo e aroma moscato, con epoca di raccolta medio-precoce, ma adatta anche al posticipo; Fiammetta, a bacca rossa, interessante per l’epoca di raccolta media e per la facilità di colorazione.
Nuovi biotipi sono in corso di costituzione e altri sono già in valutazione anche in seno alla rete ICV (Italian Club Variety), che vede la partecipazione di numerose aziende operanti nel settore e di Istituzioni scientifiche, impegnata nello sviluppo di un programma di miglioramento genetico per la costituzione di varietà adatte alla coltivazione in clima mediterraneo, aromatiche e adatte alla frigo-conservazione. In Italia, in controtendenza rispetto alla richiesta di uve apirene, l’Università di Torino si è impegnata in una attività di recupero e caratterizzazione di alcuni incroci Dalmasso, con semi, al fine di mantenere la biodiversità legata ad essi. Dagli scambi con altri addetti ai lavori del settore è emersa la volontà, da parte di alcuni genetisti, di lavorare alla costituzione di biotipi di uva da tavola con polpa colorata: il riserbo, a tal proposito, è parso, durante i lavori del Simposio, piuttosto marcato ma non ci si dovrà stupire se ci imbatteremo a breve in acini con polpa colorata, nuova possibile frontiera del miglioramento genetico varietale in questo settore.
Nonostante le cultivar di uva da tavola più diffuse al mondo siano Red Globe, Thompson Seedless, Sugraone, Crimson Seedless e Flame Seedless, molti Paesi, tramite attività pubbliche o private o consorzi tra enti appartenenti ai due mondi, sostengono attività di selezione di biotipi a diffusione più o meno locale che rappresentano una riserva di biodiversità e che potrebbero essere lanciate nel mondo produttivo. L’intensa attività di ricerca nel settore della costituzione varietale nel mondo vede tra i protagonisti gli Usa, con i due principali centri di selezione in Arkansas (University of Arkansas) e California (International Fruit Genetics, IFG) che hanno prodotto cultivar quali Cotton Candy®, Candy Heart®, Candy Crunch® e Candy Dreams®, molto apprezzate dal consumatore americano ed inglese per le note aromatiche, la croccantezza e la dimensione delle bacche. La collaborazione tra queste due istituzioni ha anche prodotto Funny Fingers®, con acini rosso-blu, di grandi dimensioni ed allungati, molto ricercata dal consumatore americano, ma per la quale è ipotizzabile un notevole interesse anche in altre parti del mondo, incluse Europa ed Italia.
Anche il Cile non è nuovo alla selezione genetica nel settore dell’uva da tavola: il programma di miglioramento cominciato nel 1998 con l’ibridazione di Flame Seedless e Black Seedless ha portato alla costituzione di una varietà, la Inigrape-One, con abbozzi di semi, generalmente teneri, acini tondi, grandi e di colore blu-nero (Uquillas et al., 2013). In Spagna, da programmi di miglioramento genetico pubblici (Imida-Itum) sono derivate sedici nuove varietà tra uve a bacca bianca, rossa e nera. Alcune di esse sono coltivate e rappresentano circa il 10% della superfice coltivata nell’area di Murcia, la più importante area spagnola per la produzione e l’esportazione (Carreño et al., 2009).
Un’importante finestra sul futuro del “breeding” in questo settore è rappresentata dalla caratterizzazione genetica, agronomica e qualitativa di vitigni autoctoni armeni ed iraniani. Armenia ed Iran, rappresentando un’estesa porzione dell’areale di origine della vite, posseggono numerose varietà autoctone, una vera e propria riserva di biodiversità genetica dalla quale si potranno attingere biotipi con caratteristiche peculiari, inclusi aromaticità delle uve, serbevolezza e resistenza ai patogeni. A tal proposito, giova ricordare che la necessità di rispettare limiti di concentrazione dei residui di fitofarmaci, imposta da leggi nazionali ed internazionali, ben nota nel settore dell’uva da vino, è evidente anche nel settore dell’uva da tavola visto l’uso fresco del prodotto; ciò ha incentivato la messa a punto e la validazione di numerose metodiche analitiche, robuste e ripetibili, per l’analisi dei residui (Grimalt e Dehouck, 2016). Anche in questo contesto, il settore dell’uva da tavola italiano mostra di essere all’avanguardia con le attività di Agro.Biolab Laboratory, laboratorio analitico accreditato con sede a Rutigliano (Ba) il cui staff ha presentato dati sui residui di fitofarmaci da cui è emersa la capacità di discriminare tra “presenza in traccia” e al di sotto del limite di 5*10-3 mg/kg, a concentrazioni superiori a 1 mg/kg di uva.
Difesa
Interessanti sono stati gli interventi circa la lotta alle principali avversità che, oltre alla confusione sessuale contro Lobesia botrana con Isonet®, hanno riguardato la valutazione dell’efficacia di un insetticida a base di Beauveria bassiana (Naturalis®) per il contenimento di Frankliniella occidentalis e dei diffusori Isonet®PF per la confusione sessuale del Planococcus ficus. Il primo tipo di intervento può rappresentare un mezzo addizionale di protezione della pianta, da affiancare ai trattamenti insetticidi, essendo stato riportato che Isonet® in uso esclusivo non basta a contenere Lobesia botrana. Ciò consentirebbe, comunque, di ridurre il numero di trattamenti con insetticidi di sintesi e, conseguentemente, la presenza di residui sul prodotto. Isonet®PF, secondo quanto riportato da CBC Europe, Biogard Division, è in grado di fornire una protezione dalla cocciniglia simile o addirittura superiore rispetto a quella ottenibile con il controllo chimico, aspetto interessante soprattutto nei vigneti condotti in regime di agricoltura biologica; a tal proposito, in vigneti pugliesi e siciliani sono in corso prove tecniche di campo per comprenderne l’efficacia nelle differenti condizioni pedo-climatiche e colturali, nonché valutarne l’inserimento nelle strategie di lotta.
Innovazioni della tecnica colturale
La sessione sull’innovazione della tecnica colturale è stata la più ricca di interventi, sia in forma orale, sia con poster. Questa sessione è stata piuttosto illuminante circa l’importanza della gestione del vigneto ad uva da tavola; se questo concetto, nel settore dell’uva da vino è ben radicato essendo consapevoli che la qualità si fa soprattutto in vigneto, per l’uva da tavola ciò, è ancora più importante visto che è proprio il grappolo ad essere l’oggetto finale della commercializzazione.
Durante il Simposio è emerso come alcuni interventi colturali quali la gestione dell’acqua, il controllo del microclima attraverso l’uso di reti ombreggianti in copertura o di film riflettenti al suolo, lo sviluppo dei grappoli insacchettati in materiale cartaceo, possono influenzare in modo positivo la qualità della produzione, nell’ottica di ottenere un grappolo con caratteristiche ottimali in termini di zuccheri ed acidi, colorazione, ma anche pulito, privo di polvere, essendosi sviluppato “al chiuso” e a “residuo zero”.
Di interesse scientifico, difficilmente utilizzabile in un contesto di ‘sostenibilità’ della produzione viticola, gli interventi dei ricercatori del Grape and Wine Research Institute, di Nanning, in Cina: attraverso la forzatura del germogliamento (con idrogeno cianammide, ora vietata in Italia), la coltivazione sotto film plastico, specifici e numerosi trattamenti, inclusi incisioni anulari e somministrazione di inibitori della crescita, i ricercatori sono riusciti a forzare le piante di alcune varietà al fine di produrre due volte in un anno, con o senza sovrapposizione delle produzioni. Nel primo caso le vendemmie si realizzano a metà giugno/inizio luglio e a metà/fine dicembre; nel secondo, la prima vendemmia si realizza tra luglio e agosto, la seconda tra ottobre e novembre. La Cina, come è noto, è un Paese di enormi potenzialità in cui la coltivazione dell’uva da tavola sta rapidamente espandendosi, soprattutto in talune province del Nord. Al Sud, invece, la coltivazione della vite è resa difficile dal fatto che le gemme non riescono a soddisfare il fabbisogno in freddo, dunque l’unico modo per avere una produzione è forzare il germogliamento. Si tratta di un approccio tecnico che può risultare interessante, forse molto remunerativo, ma certamente poco sostenibile dal punto di vista ecologico.
Alcuni interventi si sono focalizzati sugli effetti della gestione agronomica su resa e qualità della produzione: interessante la possibilità di somministrare S-ABA al 10% (generalmente usato per aumentare il colore nelle bacche) per il diradamento dei fiori, riducendo il numero di acini per grappolo e l’incidenza di quelli di piccole dimensioni, senza effetti collaterali sulla fenologia della pianta (sia nell’anno del trattamento, sia l’anno successivo), senza effetti fitotossici e senza indurre danni apparenti su altri organismi dell’eco-sistema vigneto. Anche la gestione del suolo nel vigneto è stata trattata durante il congresso: sulla cultivar Italia, ad esempio, l’utilizzo del Trifolium repens come essenza da inerbimento incrementava la capacità di ritenzione dell’acqua da parte del terreno senza evidenziare condizioni di eccesso di stress idrico. Le piante in esame riducevano il vigore, ma ciò non aveva effetti su quantità e qualità della produzione. Associare a queste conoscenze una sensoristica di tipo “wireless”, capace di stimare il vigore vegetativo consentirebbe di ridurre i volumi di adacquamento, con evidenti vantaggi ambientali.
Su uve della cv. Sugranineteeen la lavorazione del sottofila, accompagnata dalla semina di Vicia sativa nell’interfilare, incrementava le performance fotosintetiche della pianta e le dimensioni dell’acino. Se nella cultivar Italia la riduzione del vigore si associasse ad un incremento dell’efficienza fotosintetica (come accade nella scarlatta Sugranineteen), si potrebbero avere effetti positivi sull’accumulo degli zuccheri e conseguenze anche a livello di accumulo di aromi. Su questa linea (che potremmo definire gestione della ‘biologia’ della pianta finalizzata all’ottenimento di peculiari caratteristiche qualitative, ferma restando la resa) è stato l’intervento di ricercatori californiani (“Extension service” di Usda e Usda-ARS). I ricercatori hanno sottolineato come l’induzione di un opportuno livello di stress idrico (potenziale idrico fogliare a mezzogiorno di -14 bar su Scarlet-Royal®) riduceva l’accrescimento giornaliero del tronco, il lume dei vasi xilematici e incrementava in modo sostanziale l’accumulo di ABA fogliare, noto responsabile del segnale di stress attiva numerosi metabolismi secondari coinvolti nella definizione della qualità della bacca (Ferrandino e Lovisolo, 2014). I ricercatori dello Usda hanno, infatti, rilevato un incremento del colore alla vendemmia e un anticipo dell’accumulo zuccherino nel corso della stagione nelle bacche di piante sottoposte ad un controllato livello di stress idrico. Lo sfruttamento di questa conoscenza, nota ed indagata da tempo sull’uva da vino, è di estremo interesse per il settore dell’uva da tavola che è coltura irrigua. Inoltre, come riportato da ricercatori argentini (Inta Eea di San Juan), è necessario ridurre i quantitativi degli “ethylen-releaser” (Ethephon) utilizzati per aumentare il colore delle bacche. I ricercatori hanno dimostrato che l’aggiunta di potassio al trattamento con Etephon migliorava la colorazione rispetto all’uso di Etephon da solo, consentendo una riduzione dei quantitativi di prodotto impiegati. Il ricorso alla gestione dello stress idrico nel vigneto ad uva da tavola, da solo o in associazione con altre tecniche, può consentire di ottenere uve adeguatamente colorate limitando o abolendo del tutto l’uso di ormoni o di molecole ormono-simili, con indubbi vantaggi economici ed ambientali (minor numero di interventi).
Un ulteriore campo di indagine emerso al Simposio ha riguardato lo studio della possibilità di indurre risposte specifiche della pianta a seguito di applicazione di bio-preparati di diversa natura (da quelli a base di funghi micorrizici, a quelli a base di miscele di prodotti minerali, alghe marine, resti delle lavorazioni in vigneto, ecc.). Nel settore dell’uva da vino, all’applicazione di questi preparati si attribuiscono generalmente ruoli positivi nell’induzione del metabolismo secondario: la pianta, infatti, risponde alla loro somministrazione incrementando l’accumulo di fitoalessine (stilbenoidi) se li percepisce come uno “stressor” di natura biotica e/o di polifenoli in generale, cosicché, quando ciò si verifica a livello delle bacche, si traduce in un miglioramento di alcuni tratti della qualità come colore, gusto e, a volte, note aromatiche.
In linea con questi concetti sono i risultati mostrati da Symborg SL e Cebas-Csic che, somministrando a piante di Crimson Seedless all’inizio dello sviluppo vegetativo 3 kg/ha di un preparato a base del fungo micorrizico Glomus iranicum var. tenuihypharum sp. nova, tramite irrigazione a goccia, hanno rilevato effetti positivi e persistenti (comprovati per due anni) sulla fisiologia della pianta, come il miglioramento dello stato idrico, dell’efficienza fotosintetica, dell’assorbimento di fosforo, potassio e calcio e della resa, nonché un anticipo della maturazione.
Timorex Gold® di Stockton (Israele) rientra invece nella categoria dei bio-fungicidi: da una sperimentazione condotta in Argentina sulla cv Red Globe è emerso che la somministrazione del prodotto su bacche entro i 12-13 °Brix, incrementava significativamente la resa ad ettaro rispetto al trattamento con solo Etephon e migliorava la colorazione, sia anticipandola, sia incrementando il numero di bacche più intensamente colorate alla raccolta. Indurre un anticipo di accumulo del colore nelle bacche, quando la concentrazione zuccherina è ancora limitata, potrebbe essere una opportunità per il mercato internazionale che va via via più frequentemente richiedendo ‘diet grapes’ cioè uve con acini di dimensioni e colorazioni adeguate, ma un livello zuccherino contenuto (anche inferiore a 12,5 °Brix). Timorex Gold® inoltre, visto che nasce come fungicida, potrebbe fornire una certa copertura contro lo sviluppo di patogeni in frigo-conservazione.
In controtendenza rispetto a quanto generalmente riportato, è stato il contributo di ricercatori sudafricani di ARC-Infruitec- Nietvoorbij e di Insect Science che non hanno rilevato alcun effetto sul colore a seguito della distribuzione di biostimolanti fogliari (leonardite, potassio e alghe). Effetti positivi sulla dimensione della bacca e sul tenore in zuccheri sono stati registrati quando i biostimolanti sono stati somministrati in miscela a Ethephon o Ethephon + ABA, ma non se distribuito da solo.
Conservazione e post-raccolta
La gestione efficiente della logistica, la capacità di sfruttare al meglio le opportunità della commercializzazione, il controllo puntuale della qualità delle uve durante i trasporti e le varie fasi della filiera commerciale sono state discusse dagli esperti di logistica e di conservazione (Associazione Italiana Imprese e Trasporti Automobilistici; Savino del Bene, Global Logisitcs and Forwarding Company; Cso – Centro Servizi Ortofrutticoli; Sealed Air, divisione Food Care), ma anche da rappresentanti del mondo istituzionale (Ita, Italian Trade Agency) e della compartecipata Verona Mercato. Dal confronto è emerso il ruolo centrale dell’Italia nel settore, testimoniato dai più di 3 Mlt di frutta destinati all’export, di cui circa 970.000 t sono di uva da tavola.
La ricerca scientifica, anche in questo settore, ha presentato risultati interessanti, a cominciare dalla possibilità di sfruttare la permanenza sulla pianta del grappolo per la sua conservazione; nella cv Italia, ad esempio, praticare una forzatura tardiva mantenendo il grappolo sulla pianta avrebbe effetti positivi sugli aromi, riducendo la formazione di molecole con impatto sensoriale non gradevole (etanolo e suoi esteri), situazione che si verificava, invece durante la frigo-conservazione, anche in atmosfera controllata (Piazzolla et al. 2016). In California, dove è comune confezionare l’uva da tavola dopo un periodo di permanenza in frigo-conservazione e atmosfera controllata, sono stati testati materiali come borse in plastica semirigida (“plastic tote”), plastica rigida (RPC), cartone ondulato, polistirene espanso, alcuni dei quali hanno già trovato applicazione. L’uso di film plastici capaci di emettere SO2 durante il post-raccolta e/o di dispenser di SO2 da collocare all’interno delle confezioni in vendita presso i centri di grande distribuzione, sono altre tecniche in valutazione, in attesa di trovare valide alternative all’uso ormai insostenibile dell’anidride solforosa.
Conclusioni
L’8th International Table Grape Symposium ha avuto il grande pregio di trattare il settore dell’uva da tavola con un approccio “olistico”, secondo il concetto “From Farm to Fork”: si è infatti trattato di tematiche relative alla coltivazione, alla raccolta e al post-raccolta, alla distribuzione, alla vendita al dettaglio, al consumatore (con focus principalmente sugli effetti sulla salute e sulla “comunicazione” del prodotto). Anche le visite in azienda, organizzate sia in Puglia, sia in Sicilia, hanno mantenuto questo taglio: infatti, accanto alle innovazioni nel settore della tecnica colturale (uso di nuovi materiali coprenti e riflettenti in vigneto, coltivazione fuori suolo, protezione e crescita dei grappoli in sacchetti di carta, uso di biostimolanti, ecc.) si è avuto modo di visitare imprese agricole con annessi magazzini di post-raccolta, controllo qualità, frigo-conservazione, imballaggio quali Agricooper, FRA.VA, OP Giuliano Pugliafruit, Op Agritalia, Peviani Group, Pignataro, Romanazzi, Serroplast – specializzata nella copertura dei vigneti –, tutti esempi dell’eccellenza pugliese nel settore. Non da meno le visite in Sicilia presso strutture come l’azienda biodinamica – (Golden Grapes), oppure Geva – F.lli Vita (con produzione fuori suolo, molto vocata all’innovazione) e importanti realtà di frigo-conservazione, imballaggi e spedizione (presso Az. Cervino Interfruit).

Italia ancora al centro del sistema produttivo delle uve da tavola - Ultima modifica: 2018-02-08T10:49:16+01:00 da Lucia Berti

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